La Stampa 12 gennaio 2008, Giancarlo Dotto, 12 gennaio 2008
Un uomo solo in coda. La Stampa 12 gennaio 2008. Beati gli ultimi» è l’epitaffio che si merita. Luigino Malabrocca, detto il Mala ma anche il Cinese per via degli occhi a mandorla, era un uomo ma soprattutto un romanzo, ultimo di sette fratelli con l’hobby della pesca e del paradosso
Un uomo solo in coda. La Stampa 12 gennaio 2008. Beati gli ultimi» è l’epitaffio che si merita. Luigino Malabrocca, detto il Mala ma anche il Cinese per via degli occhi a mandorla, era un uomo ma soprattutto un romanzo, ultimo di sette fratelli con l’hobby della pesca e del paradosso. Fuoriclasse inarrivabile del traguardo mancato, clown su due gomme della fuga per la sconfitta e del ritardo come arte, pedalando, si fa per dire, ogni volta alla conquista del disonore tra le rovine dell’Italia postbellica, e peccato non ci fosse un radiofonico Omero, quando arrivare penultimi era la più atroce delle sconfitte. Nella sua vita di ritardatario cronico Luisin Malabrocca ha anticipato solo una cosa, la morte. Ci ha lasciato lo scorso ottobre, a 86 anni, nella sua casa della non ancora famigerata Garlasco. Ancora tre mesi e sarebbe stato il primo, una delle rare volte nella sua storia di ultimo, a brindare alla grande notizia. La Maglia Nera torna, a partire dal prossimo Giro d’Italia, nella versione aggiornata del Numero Nero, per l’esattezza un numero bianco su fondo nero. L’accordo tra gli organizzatori del Giro con l’associazione dei corridori prevede anche una sorta di patto d’onore per non scadere nelle disdicevoli farse degli Anni 50. Che sia una competizione sana, senza trucco e senza inganno. La maglia nera torna dunque in contrapposizione al rosa, più di mezzo secolo dopo il suo ritiro ufficiale. Era stato Giovanni Pinarello l’ultimo degli ultimi, nel ’51, a sfilare a Milano con la maglia della gogna, l’equivalente dalla Lantern Rouge del Tour de France. Inventata cinque anni prima per premiare la sconcia fatica del gregario, diventò dal primo anno un trofeo ambitissimo. Fu eliminata su iniziativa dei corridori stessi, stanchi di subire le sublimi pagliacciate di Malabrocca e compagni. Ci fu un ritorno di fiamma alla metà degli Anni 70, celebrata da De Zan e dalla televisione. L’ultimo a vincerla fu Bruno Zanoni nel ’79. Gli sceriffi della corsa di allora, i Saronni e i Moser, mal sopportavano che l’ultimo avesse gli stessi spazi televisivi del primo. Luisin Malabrocca, la più grande maglia nera di ogni tempo, era tutt’altro che un brocco. Non potendo essere Fausto Coppi, suo conterraneo e coetaneo, scelse di diventare l’opposto di Coppi: un uomo solo lontano dal comando, reinterpretando in chiave esistenzialista De Coubertin, «l’importante è perdere». Tipo sveglio, capì in fretta che arrivare ultimi era più redditizio che arrivare secondi o terzi, senza contare l’aristocratico piacere di non confondersi nella massa. Le folle lo amavano per questo. Sapevano che bisognava sudare sette camicie per una maglia nera. Che c’erano tanta fatica e tanto genio nell’ascesi all’incontrario di questo uomo che spendeva tutto il suo talento per arrivare ultimo. E calcolare ogni volta al millesimo l’apparizione giusta al traguardo per non finire fuori tempo massimo. Una luminosa carriera, quella di Malabrocca, ma non tutto andò sempre per il verso giusto. Gli capitò di vincere ben quindici corse da professionista, incidenti di percorso, debolezze che si concedeva di tanto in tanto nella sua immacolata carriera di perdente. La sua rivalità con Sante Carollo, bruto manovale friulano ultimo per destino e non per scelta, mimava a rovescio quella tra Coppi e Bartali. Espedienti incantevoli e fantozziani per portare a casa la lauta borsa spettante alla maglia nera. I due si controllavano a vista in fondo al gruppo, dissolvendosi ogni volta tra fienili, osterie e cantine, in fondo alle scarpate o autoforandosi a ripetizione. Scoperto da un contadino in fondo a un pozzo, gli fu difficile a Malabrocca spiegare che stava correndo il Giro d’Italia. Era il tappone dolomitico del Pordoi. Arrivò ultimo. L’ennesimo capolavoro. Malabrocca centrò l’ultimo posto nel Giro del ”46 a più di quattro ore da Bartali, sfilandolo all’amico Tino Ausenda, e l’anno dopo a quasi sei ore da Coppi. La sua impresa più grande. Il giro d’onore alla fine, dopo Coppi e Bartali, toccò a lui al Vigorelli. Non partecipò all’edizione del ”48 e mancò la tripletta nel ”49 perché volle strafare. Luisin aveva una manciata di minuti su Carollo. Si dileguò nella tappa finale Torino-Milano, rifugiandosi prima in un’osteria e poi a casa di un amico a testare canne da pesca. Spuntò due ore e mezzo dopo il vincitore ai limiti del tempo massimo, quando i cronometristi se ne erano già andati. Il Malabrocca venne classificato con lo stesso tempo del gruppo. Stranito dalla delusione, rinunciò per sempre a questa competizione, lasciando nella costernazione anche Garinei e Giovannini che, al seguito del giro con il loro varietà radiofonico, avevano coniato per lui la strofa: «A ogni modo, a ogni maniera, hi che guaio è la maglia nera». Più telegenico del rosa che sfonda, il nero torna dunque negli anni in cui nero fa dandy e fa glamour, dopo Armani e tutta l’epopea del dark. Diventata negli anni metafora molto italica della vergogna di essere spesso ultimi in Europa, dai servizi alla sicurezza, dai salari alla pensione, la maglia nera ritorna evangelicamente sulle spalle degli ultimi che saranno i primi. Giancarlo Dotto