La Stampa 11 gennaio 2008, Fulvio Milone, 11 gennaio 2008
E in borgata è guerra tra poveri. La Stampa 11 gennaio 2008. Ci voleva il Papa...». Raimonda sorride «per non piangere» mentre si passa da una mano all’altra la borsa della spesa
E in borgata è guerra tra poveri. La Stampa 11 gennaio 2008. Ci voleva il Papa...». Raimonda sorride «per non piangere» mentre si passa da una mano all’altra la borsa della spesa. E si guarda attorno, spiando i rari passanti che attraversano a passo svelto la rotonda vicino alla stazione chiusa per lavori. «Ci voleva il Papa per riportare un po’ di luce su Tor di Quinto», dice sbirciando un sentiero pieno di buche e senza un lampione, chiuso fra due reti metalliche fra le cui maglie qualcuno non fa mancare mai un mazzo di fiori. Qui, il 31 ottobre, una donna è stata uccisa da un romeno che la gettò in un fosso dopo averla seviziata e rapinata. Si chiamava Giovanna Reggiani. «Ma sarebbe potuto capitare a me o a qualunque altra donna che vive in questa zona», mormora Raimonda. Tor di Quinto, così come Ponte Mammolo, buona parte di Tor Bella Monaca, Prima Porta, Castel Giubileo, Porta Romana, Laurentino, sono macchie impresse sulla coscienza di Roma. Le banlieue della capitale sono sempre sul punto di esplodere per la povertà economica e culturale, ma fanno anche da scenari per mille contraddizioni sociali. A Tor di Quinto, dove è stata uccisa Giovanna Reggiani, attorno vedi campagna incolta, con cespugli di rovi in cui rimangono impigliati vecchi stracci e bottiglie di plastica. Il campo rom in cui viveva Mailat è stato abbandonato, ma altre baracche sono state costruite un po’ più in là. Eppure, a poche decine di metri si scorge la pista in terra battuta e circondata da siepi perfette di un maneggio dell’Esercito. E poi basta spostarsi verso la Flaminia per entrare in un altro mondo: il lungo e pulitissimo muro di cinta di una caserma dei carabinieri, il complesso delle case della Marina in cui la donna abitava, il Circolo ufficiali con le aiuole curate. Chi vive in queste palazzine moderne si sente come assediato. L’allarme-romeni può anche diventare un paravento dietro cui nascondere un degrado, una povertà e una violenza nati e cresciuti in casa nostra. Se a Ponte Mammolo i rom accampati sulle sponde dell’Aniene possono costituire un rischio per la sicurezza, è altrettanto vero che gli abitanti del quartiere non scherzano: alle aggressioni degli «stranieri» seguono le risposte non meno decise di borgatari. successo, appunto, a Ponte Mammolo, ma anche a Tor Bella Monaca, dove un gruppo di romeni tre mesi fa è stato sprangato da una squadraccia locale, una di quelle stesse bande che, sospettano i carabinieri, riempiono i muri della borgata di scritte ultras e vanno a caccia di poliziotti dopo la partita. Vista così, la vita nelle periferie di Roma non è vita, ma sopravvivenza. Tanto più se alla paura si aggiunge la povertà, una brutta bestia che può spingere alle azioni peggiori. Francesca Zuccari, docente universitaria e assistente sociale della Comunità Sant’Egidio, racconta che alla miseria delle baraccopoli fanno da contraltare i palazzi fatiscenti occupati da italiani senzatetto. «La vera emergenza in quartieri come Prima Porta, Castel Giubileo e Primavalle, è quella della casa». Una crisi scatenata non dalla mancanza degli alloggi, ma dagli affitti che ormai una famiglia indigente, ma anche appartenente al ceto medio-basso, non può più sostenere. «Affittare un appartamentino in condizioni appena decenti, in quelle zone, costa non meno di ottocento euro», spiega Francesca Zuccari. E poi ci sono gli anziani: la pensione che fino a cinque anni fa consentiva una vita decorosa ormai non basta più. Sono sempre più numerosi quelli che chiedono aiuto alla Comunità di Sant’Egidio, per avere un cappotto o un berretto. Fulvio Milone