La Stampa 11 gennaio 2008, Fabio Poletti, 11 gennaio 2008
Un quarto dei rifiuti tossici finisce nel circuito illegale. La Stampa 11 gennaio 2008. In Puglia ce ne sono 600
Un quarto dei rifiuti tossici finisce nel circuito illegale. La Stampa 11 gennaio 2008. In Puglia ce ne sono 600. In Campania sono «solo» 140, tra illegali e no. In Sicilia nove anni fa erano 325, adesso sono «appena» 66. La mappa dell’Italia seppellita sotto montagne di rifiuti che traboccano dalle discariche più o meno in regola non tralascia nemmeno un angolo del Belpaese. Magari nessuno si sogna più di stoccare alcune migliaia di fusti radioattivi - tempo necessario per diventare inerti 99 mila anni - in un campetto alla periferia di Taranto, come quello scoperto nel 2000 dagli 007 del Corpo Forestale dello Stato. E a nessuno verrebbe più in mente di segare in due una nave piena di bidoni con rifiuti tossico nocivi, piantarla nel cemento e farci una banchina del porto di La Spezia come accadeva giusto dieci anni fa. Ma per due «siti» come questi, oramai ampiamente bonificati, ce ne sono altri che spuntano come funghi. Tossici quando va bene. Radioattivi quando capita. I dati elaborati dal Corpo Forestale dello Stato, dal Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e finiti nell’ultimo rapporto di Legambiente sulle Ecomafie sono tutt’altro che tranquillizzanti. Per esempio risultano spariti nel nulla una buona parte delle 108,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali - di cui 5,3 milioni classificati come pericolosi - prodotte nel 2004 nel nostro Paese. I rapporti di lavorazione assicurano che sono stati gestiti solo 82,4 milioni di tonnellate di rifiuti. Altri 26 milioni di tonnellate, praticamente il 24% dei rifiuti speciali prodotti nel nostro Paese, è finito ad alimentare il circuito illegale dello smaltimento. Quello dove prosperano imprenditori senza scrupoli per non parlare di camorra, n’drangheta e mafia spa. Ventisei milioni di tonnellate che mancano all’appello e che - hanno fatto due conti gli esperti di Legambiente - costituiscono una montagna di rifiuti con base tre ettari e alta 2600 metri, poco meno del Gran Sasso. A 200 euro a tonnellata per i rifiuti urbani e a 300 euro per quelli speciali, lo smaltimento delle scorie prodotte dalle nostre case e dalle aziende fa gola a molti. C’è chi ha fatto pure due calcoli. Il solo smaltimento illegale dei rifiuti speciali varrebbe 5850 milioni di euro. Nell’ultima relazione dei Servizi segreti al Parlamento, lo hanno scritto a chiare lettere: «Nel retroterra Vesuviano e nel Casertano agisce una camorra più strutturata, strategica e orientata verso qualificati interessi imprenditoriali come lo smaltimento dei rifiuti». Ma una distinzione netta, ammettono gli investigatori della Forestale è impossibile: «Illegale non vuol sempre dire grande criminalità. I fusti radioattivi che abbiamo trovato in provincia di Taranto erano gestiti da un imprenditore che non aveva rapporti con la criminalità. Indagando dieci anni fa sulla cava di Montanaro in provincia di Torino, scoprimmo che dietro c’erano alcune famiglie di Palermo». Non c’è Procura, non c’è Regione - ad eccezione della Valle d’Aosta - che non abbia aperta un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti. Se il 10,2% delle infrazioni compiute nel 2006 tocca la Campania, il 9,7% la Sicilia, il 9,3% la Puglia - i grandi clan coinvolti sono sempre quelli: i Nuvoletta, i Moccia, i Marfella, i La Torre, gli Anacondia o i Corleonesi dalle parti di Palermo - messe mica male sono il Piemonte che sta al quinto posto delle illegalità, il Veneto che è al sesto davanti a Calabria, Toscana, Lazio, Emilia e Lombardia. Un mare di infrazioni che hanno portato a 115 arresti e quasi 6 mila denunce due anni fa. «Un goccia nel mare di quello che succede ogni giorno...», giurano gli investigatori del Corpo Forestale. La Nuova Europa con l’apertura delle frontiere a Romania e Polonia apre nuovi scenari e altre rotte allo smaltimento dei rifiuti. Magari nel Mediterraneo non affondano più le carrette del mare, come la Jolly Rosso spiaggiata nel ”90 a Formiciche in provincia di Cosenza con il suo carico di rifiuti tossici e radioattivi che dovevano essere «sparati» con siluri, cinquanta metri sotto il fondo del mare. Magari non capiterà più così spesso che dai Lloyd’s di Londra arrivino fax allarmati alle autorità italiane sull’eccessivo numero di carrette del mare che affondano di proposito con il loro carico di dubbia origine. «Non conviene più. Meglio mandare le navi in porti sicuri», raccontano gli investigatori che ancora esultano quando riescono a intercettare la rotta di una nave carica di rifiuti. Della nave carica di 2800 tonnellate di bottiglie di plastica partita in modo illegale anni fa dall’Italia con destinazione la discarica di Pou Lin, a 200 chilometri da Hong Kong, gli inquirenti hanno oramai ricostruito tutto. Di quella montagna di rifiuti nocivi alta quasi come il Gran Sasso non c’è invece traccia. Stampa Articolo finisce nel circuito illegale In Puglia ce ne sono 600. In Campania sono «solo» 140, tra illegali e no. In Sicilia nove anni fa erano 325, adesso sono «appena» 66. La mappa dell’Italia seppellita sotto montagne di rifiuti che traboccano dalle discariche più o meno in regola non tralascia nemmeno un angolo del Belpaese. Magari nessuno si sogna più di stoccare alcune migliaia di fusti radioattivi - tempo necessario per diventare inerti 99 mila anni - in un campetto alla periferia di Taranto, come quello scoperto nel 2000 dagli 007 del Corpo Forestale dello Stato. E a nessuno verrebbe più in mente di segare in due una nave piena di bidoni con rifiuti tossico nocivi, piantarla nel cemento e farci una banchina del porto di La Spezia come accadeva giusto dieci anni fa. Ma per due «siti» come questi, oramai ampiamente bonificati, ce ne sono altri che spuntano come funghi. Tossici quando va bene. Radioattivi quando capita. I dati elaborati dal Corpo Forestale dello Stato, dal Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e finiti nell’ultimo rapporto di Legambiente sulle Ecomafie sono tutt’altro che tranquillizzanti. Per esempio risultano spariti nel nulla una buona parte delle 108,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali - di cui 5,3 milioni classificati come pericolosi - prodotte nel 2004 nel nostro Paese. I rapporti di lavorazione assicurano che sono stati gestiti solo 82,4 milioni di tonnellate di rifiuti. Altri 26 milioni di tonnellate, praticamente il 24% dei rifiuti speciali prodotti nel nostro Paese, è finito ad alimentare il circuito illegale dello smaltimento. Quello dove prosperano imprenditori senza scrupoli per non parlare di camorra, n’drangheta e mafia spa. Ventisei milioni di tonnellate che mancano all’appello e che - hanno fatto due conti gli esperti di Legambiente - costituiscono una montagna di rifiuti con base tre ettari e alta 2600 metri, poco meno del Gran Sasso. A 200 euro a tonnellata per i rifiuti urbani e a 300 euro per quelli speciali, lo smaltimento delle scorie prodotte dalle nostre case e dalle aziende fa gola a molti. C’è chi ha fatto pure due calcoli. Il solo smaltimento illegale dei rifiuti speciali varrebbe 5850 milioni di euro. Nell’ultima relazione dei Servizi segreti al Parlamento, lo hanno scritto a chiare lettere: «Nel retroterra Vesuviano e nel Casertano agisce una camorra più strutturata, strategica e orientata verso qualificati interessi imprenditoriali come lo smaltimento dei rifiuti». Ma una distinzione netta, ammettono gli investigatori della Forestale è impossibile: «Illegale non vuol sempre dire grande criminalità. I fusti radioattivi che abbiamo trovato in provincia di Taranto erano gestiti da un imprenditore che non aveva rapporti con la criminalità. Indagando dieci anni fa sulla cava di Montanaro in provincia di Torino, scoprimmo che dietro c’erano alcune famiglie di Palermo». Non c’è Procura, non c’è Regione - ad eccezione della Valle d’Aosta - che non abbia aperta un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti. Se il 10,2% delle infrazioni compiute nel 2006 tocca la Campania, il 9,7% la Sicilia, il 9,3% la Puglia - i grandi clan coinvolti sono sempre quelli: i Nuvoletta, i Moccia, i Marfella, i La Torre, gli Anacondia o i Corleonesi dalle parti di Palermo - messe mica male sono il Piemonte che sta al quinto posto delle illegalità, il Veneto che è al sesto davanti a Calabria, Toscana, Lazio, Emilia e Lombardia. Un mare di infrazioni che hanno portato a 115 arresti e quasi 6 mila denunce due anni fa. «Un goccia nel mare di quello che succede ogni giorno...», giurano gli investigatori del Corpo Forestale. La Nuova Europa con l’apertura delle frontiere a Romania e Polonia apre nuovi scenari e altre rotte allo smaltimento dei rifiuti. Magari nel Mediterraneo non affondano più le carrette del mare, come la Jolly Rosso spiaggiata nel ”90 a Formiciche in provincia di Cosenza con il suo carico di rifiuti tossici e radioattivi che dovevano essere «sparati» con siluri, cinquanta metri sotto il fondo del mare. Magari non capiterà più così spesso che dai Lloyd’s di Londra arrivino fax allarmati alle autorità italiane sull’eccessivo numero di carrette del mare che affondano di proposito con il loro carico di dubbia origine. «Non conviene più. Meglio mandare le navi in porti sicuri», raccontano gli investigatori che ancora esultano quando riescono a intercettare la rotta di una nave carica di rifiuti. Della nave carica di 2800 tonnellate di bottiglie di plastica partita in modo illegale anni fa dall’Italia con destinazione la discarica di Pou Lin, a 200 chilometri da Hong Kong, gli inquirenti hanno oramai ricostruito tutto. Di quella montagna di rifiuti nocivi alta quasi come il Gran Sasso non c’è invece traccia. FABIO POLETTI