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 2008  gennaio 10 Giovedì calendario

Per l’Orfeo di Gluck fischi e pompe funebri. La Stampa 10 gennaio 2008. Il rifacimento di un capolavoro è un’operazione tra le più delicate

Per l’Orfeo di Gluck fischi e pompe funebri. La Stampa 10 gennaio 2008. Il rifacimento di un capolavoro è un’operazione tra le più delicate. Bisogna avere intenzioni chiare, un progetto ben definito, sapere che cosa si tocca, perché, e che cosa si vuol dire. Può essere un’operazione rivelatrice, ma anche una piccola o grande catastrofe. L’intervento, condotto dai due Alagna - David regista e Frédérico scenografo - su Orphée et Eurydice di Gluck, nella versione parigina del 1776, brancola nel buio. Non esiste, in tutta la storia dell’opera, una vicenda più semplice e lineare. Atto I: funerali di Euridice e pianto di Orfeo; Atto II: discesa di Orfeo agli inferi e sua emersione alla luce dei Campi Elisi, dove trova Euridice; Atto III: ritorno sulla terra della coppia, seconda morte di Euridice punita perché ha indotto Orfeo a parlarle, e intervento di Amore che premia la fedeltà coniugale, facendo rivivere la donna. David Alagna invece, per sua stessa dichiarazione, trova questa vicenda ambigua, difficile, problematica. Quindi la cambia, tagliando, spezzando, ridistribuendo vari pezzi della partitura e togliendo il lieto fine. All’inizio inventa un prologo mimato: Euridice muore in un incidente d’auto, Orfeo si salva col naso rotto, i pompieri armeggiano con la berlina fracassata, tra fumi e luci psichedeliche. Poi inizia l’opera in costumi moderni. L’idea deprimente che la percorre è quella delle pompe funebri. Il funerale, bellissimo compianto attorno all’ara di Euridice nel mitico spazio della Grecia antica, è trasportato in un cimitero con inumazione della bara, roteare di becchini, corteo di persone che porgono le condoglianze ai parenti. Le porte dell’inferno, antro pauroso in cui Orfeo, con la sua lira, si addentra addormentando le furie, sono trasformate in un tempio crematorio: due feretri attendono di entrare nel forno, le furie sono bianchi esseri di gesso che impugnano bastoni luminosi, simili agli spartitraffico dei vigili urbani. Orfeo canta piuttosto bene, con la voce di Roberto Alagna, ma ogni tanto sviene ed è portato via a spalle, rigido come un cadavere, dai necrofori di turno. Terzo quadro: i campi elisi. La scena prevede luce, fiori, ruscelli mormoranti, prati verdi, mentre la musica, soavissima, anticipa la «Sinfonia Pastorale». La necrofilia dello spettacolo, invece, non dà tregua: tredici impiccati, che ogni tanto Orfeo tocca, facendoli oscillare come pendoli, costellano quel luogo di delizie, che appare qui grigio e tetro. Un tocco di soavità è dato dalla bella e brava Euridice (Serena Gamberoni) che nel terzo atto, però, fa cose strane: Amore trasformato da maliziosa figurina femminile con voce di soprano in un aitante baritono (Marc Barrard) se la palpeggia, lasciando capire perché, subito dopo, la resuscita: certo non solo per premiare la fedeltà di Orfeo... Il quale, invece, di godere del lieto fine, muore pure lui: e l’opera si conclude con la sua inumazione e la ripresa della scena funebre del primo atto. Assurdo. Alla fine pubblico diviso: applausi, ma anche molti fischi e urla. In tanta confusione e in questa fiera del cattivo gusto, l’esecuzione musicale diretta Giampaolo Bisanti si abbarbica a moduli scolastici e scorre distrattamente. Così l’occasione di ascoltare l’Orfeo di Gluck in versione francese, rara nei nostri teatri, si trasforma purtroppo in una grossa delusione. Bologna, Teatro Comunale, fino al 19 gennaio PAOLO GALLARATI