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 2008  gennaio 10 Giovedì calendario

Tata

L´uomo che inventò l´auto da 2 mila dollari. La Repubblica 10 gennaio 2008. Nel 1907 Jamsetji Tata, il fondatore della più grande dinastia industriale indiana, si candidò a fornire l´acciaio per la ferrovia costruita dal governo coloniale inglese. Sir Frederick Upcott, uno dei capi dell´amministrazione imperiale, trovò la pretesa così improbabile e presuntuosa che promise di «mangiare personalmente la prima rotaia prodotta da una fabbrica indiana». Le cronache non raccontano se Sir Upcott dovette ingoiare almeno la sua superbia, ma quell´episodio è stato ricordato a Londra un anno fa quando il discendente di Jamsetji, Ratan Tata, ha divorato d´un sol boccone l´ultima grande azienda siderurgica inglese, la Corus, staccando un simbolico assegno da 8,5 miliardi di euro. Lo stesso Tata si appresta ad infliggere un altro colpo all´orgoglio nazionale dei suoi ex dominatori: l´ex suddito coloniale è in procinto di conquistare anche il controllo di Jaguar e Land Rover, due marchi storici dell´auto di lusso. Eppure non sono questi i trofei più ambiti per il carismatico capitano d´industria che è stato definito il Gianni Agnelli della New India. A pochi giorni dal 70esimo compleanno, oggi al salone dell´auto di New Delhi Tata presenta la sua creatura prediletta: l´auto del popolo, l´utilitaria da duemila dollari. Un´invenzione a cui è così affezionato da aver rispolverato le sue conoscenze di design (ha una laurea in architettura industriale presa alla Cornell University) per collaborare personalmente con la task force dei progettisti. Come nel caso delle rotaie di Jamsetji Tata, il lungo parto dell´utilitaria da duemila dollari è stato preceduto dall´incredulità, dallo scherno, e dalle ostilità. Gli umoristi di quattro continenti si sono sbizzarriti per ridicolizzare una vettura nata così povera che più povera non si può (un noto comico italiano l´ha immaginata senza portiere). Un concorrente diretto, la Suzuki, ha sollevato pesanti dubbi sulla sicurezza per i passeggeri. Gli ambientalisti occidentali hanno accusato Tata di accelerare in modo irresponsabile la motorizzazione individuale in un paese di un miliardo e cento milioni di abitanti, con effetti disastrosi sulle emissioni carboniche e il cambiamento climatico. Anche in casa sua Tata ha dovuto superare forti resistenze: l´esproprio dei terreni per costruire la nuova fabbrica da 250.000 vetture all´anno è stato "benedetto" dal governo comunista del Bengala occidentale ma ha scatenato l´ira dei contadini e mesi di manifestazioni violente. Tata ha tenuto duro e oggi raccoglie i primi frutti della sua tenacia. Alla vigilia del battesimo nell´autoshow di New Delhi, come per incanto l´atmosfera attorno alla "utilitaria del popolo" è cambiata. Di colpo tutti la prendono sul serio, molto sul serio. Il New York Times le ha dedicato una prima pagina parlando di una "rottura contro la saggezza convenzionale". Il maggiore quotidiano americano ha coniato il termine di "design gandhiano", per indicare la ricerca sistematica delle soluzioni tecniche più essenziali, austere e frugali. Nell´èra del petrolio a 100 dollari il barile, la nuova strategia industriale indiana viene paragonata alla rivoluzione del toyotismo, i metodi del "just-in-time" e della qualità totale che segnarono il trionfo delle case nipponiche dagli anni 80 in poi. Forse c´è un po´ di esagerazione nel celebrare anzitempo un prodotto che deve ancora subire il test della strada e dei consumatori. Ma colpisce la scoperta che per i componenti della sua vettura ultraleggera Tata ha reclutato la società Ariba che lavora anche per Toyota e Bmw. Al New York Times il numero uno americano di Ariba, Daryl Rolley, ha dichiarato: «L´intera industria automobilistica mondiale può essere sconvolta da questa innovazione entro 5 o 10 anni». Gli avversari che fino a ieri diffondevano ironie e sospetti ora reagiscono in tutt´altro modo: Suzuki e Renault-Nissan hanno avviato lo studio di prodotti simili per reagire all´offensiva indiana. In quanto alle accuse degli ecologisti, Tata le prende molto sul serio perché è l´erede di una dinastia di capitalisti "con l´anima", noti per il loro impegno sociale. Ma il grande industriale ha una risposta pronta: "Questa vettura non inquina più delle moto già in circolazione, quindi non peggioreremo l´impatto ambientale". E ha in serbo il progetto di una versione ibrida non appena i consumatori indiani saranno pronti a pagare il sovrapprezzo per il motore più pulito. Non è la prima volta che questo austero signore dai modi gentili e l´accento oxfordiano deve navigare in acque tempestose. Tutta la sua vita è stata una battaglia contro le avversità. Di origine parsi, appartiene a quella minuscola minoranza religiosa seguace del culto di Zoroastro, fuggita dalla Persia dopo la conquista islamica. I parsi indiani hanno custodito regole antichissime ed esoteriche, a cominciare dal "funerale celeste" in cui le salme dei defunti vengono date in pasto a uccelli rapaci. Nato in un ramo minore della dinastia Tata, Ratan da bambino subì l´onta di un tempestoso divorzio dei genitori, la fuga della madre, ignominiosa in una società conservatrice e puritana. Fu adottato dallo zio, allora capostipite dell´azienda, noto con le iniziali J. R. D. Per molto tempo la sua indole anticonformista e innovativa venne castigata dagli insuccessi. Messo a gestire una piccola filiale di elettrodomestici (Nelco) nel 1971, Ratan avrebbe voluto diversificarla nell´elettronica ma il management anziano optò per chiuderla. Stesso fiasco nel 1977 alla testa di Empress Mills, l´azienda tessile del gruppo. Ma quella era un´altra India, ancora a metà del guado fra il socialismo dirigista di Indira Gandhi e l´economia di mercato. La biografia di Tata incrocia miracolosamente l´alba della New India nel 1991: è l´anno delle liberalizzazioni con cui New Delhi si apre all´economia globale; è lo stesso anno in cui Ratan eredita dallo zio J. R. D. il comando del gruppo. In pochi anni più del 60% del suo fatturato (50 miliardi di dollari) viene realizzato fuori dall´India. Le punte di lancia diventano la Tata Consultancy Services, colosso mondiale del software informatico, e la Tata Motors quotata al New York Stock Exchange. Tra i gioielli stranieri su cui Ratan allunga gli occhi dal 2007 c´è anche il gruppo Orient Express, i leggendari treni e hotel di lusso. Il management americano ha il cattivo gusto di rigettare la scalata considerando "squalificante" l´azionista indiano, che pure con la catena Taj gestisce alcuni degli hotel più lussuosi del pianeta. L´India intera si rivolta contro l´offesa, il governo di New Delhi denuncia la "discriminazione razziale", l´associazione confindustriale parla di "arroganza americana". Ratan Tata, che coltiva l´arte raffinata dell´understatement, liquida la reazione dell´Orient Express come "un infortunio maldestro". Ora che ha coronato il sogno dell´auto dei poveri, rivela che "in un mondo ideale questo sarebbe il momento migliore per andare in pensione". Non ha figli. Sarà l´ultimo dei Tata a dirigere l´impero che porta il suo nome. Non sembra gliene importi nulla. Anche questo fa parte della sua leggenda. FEDERICO RAMPINI