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 2008  gennaio 12 Sabato calendario

Non so se abbia fatto male o bene l’onorevole Violante a convocare 23 direttori di radio e tv per invitarli a non spaventare l’opinione pubblica con i loro servizi sulla criminalità

Non so se abbia fatto male o bene l’onorevole Violante a convocare 23 direttori di radio e tv per invitarli a non spaventare l’opinione pubblica con i loro servizi sulla criminalità. Quel che so, però, è che il ragionamento da cui pare essere partito è incompatibile con quel che si sa sull’andamento della criminalità in Italia. Il ragionamento, ridotto all’osso, è il seguente. Le indagini demoscopiche segnalano un aumento della paura del crimine, mentre i dati segnalano una diminuzione dei delitti: che la colpa sia (come il solito) dell’informazione? Vediamo allora quel che si sa sull’andamento dei delitti in Italia. Dal 1946 a oggi il numero di delitti per abitante ha avuto notevoli oscillazioni, ma la tendenza è sempre stata all’aumento: i delitti erano circa 71 ogni 10 mila abitanti negli Anni 50, sono saliti leggermente negli Anni 60, sono cresciuti impetuosamente e ininterrottamente nei due decenni successivi, dall’inizio degli Anni 70 ai primi Anni 90, in cui hanno toccato il massimo storico. Nel quindicennio della seconda Repubblica il numero dei delitti ha cominciato a oscillare intorno ai 2 milioni e 400 mila all’anno, ma a partire dal 2001 ha ripreso a salire costantemente e nei due semestri post-indulto ha toccato un nuovo massimo storico: quasi 2 milioni e 800 mila delitti l’anno. In breve, se negli ultimi anni l’informazione ha spaventato la gente, lo ha fatto in sintonia e non contro i dati «oggettivi». Da dicembre scorso, tuttavia, sugli organi di informazione hanno cominciato a circolare alcune tabelle fornite dal ministero dell’Interno, che indicano una diminuzione dei delitti (-9,8%) nel secondo semestre del 2007. E qui, devo dire, ha ragione l’onorevole Violante a sgridare i giornalisti: non tutti hanno fatto fino in fondo il loro mestiere. Ma non per aver alimentato paure ingiustificate, bensì per la ragione opposta: perché hanno dato credito, troppo credito, alle cifre del governo. Vediamo come mai. Primo: i dati diffusi dal governo a dicembre non potevano riferirsi all’intero secondo semestre dell’anno per il buon motivo che il secondo semestre non era ancora concluso. Secondo: le cifre del ministero non sono dati, bensì previsioni del ministero stesso basate sulle informazioni parziali disponibili al momento di predisporre le tabelle per i giornalisti (il ministero stesso dichiara che per il secondo semestre 2007 i dati utilizzati si fermano al 30 novembre). Terzo: l’esperienza degli ultimi anni dimostra che i dati provvisori diffusi dal ministero sono sempre sottostimati (e quindi ottimistici), presumibilmente perché alcuni uffici periferici non trasmettono tempestivamente tutti i dati. A questo proposito vale la pena ricordare l’ultimo infortunio statistico occorso al ministro dell’Interno: nell’agosto del 2006, da poco insediato nel suo dicastero, il neo-ministro Amato informò compiaciuto i giornalisti che finalmente i delitti stavano diminuendo, del 4,6% per la precisione. Quindici mesi dopo (ottobre del 2007), con l’arrivo dei nuovi dati ufficiali, si scoprì che i delitti non erano diminuiti bensì aumentati (del 2,0%): nel rapporto di Ferragosto 2006, al ministero erano sfuggiti ben 86.607 delitti commessi nel semestre allora appena trascorso, un numero più che sufficiente per ribaltare una tendenza. Ovviamente nessun membro del governo convocò i giornalisti per rettificare i dati, e la notizia dell’aumento dei delitti rimase quindi nella penombra. Come stanno le cose oggi? Tutto quel che sappiamo è che i delitti sono in costante aumento dal 2001, e che dopo l’indulto il loro tasso di crescita ha subito una brusca accelerazione (dal 2,5 al 14,4%). Questo è tutto quel che si può dire finché si usano dati e non stime o previsioni. Se poi proprio si vogliono usare le previsioni governative sul secondo semestre del 2007, quasi certamente errate per difetto, possiamo dire che all’inizio di dicembre il governo prevedeva che nel secondo semestre i delitti sarebbero stati 1.323.118 (curioso, dopo l’infortunio del 2006, fornire delle previsioni precise all’unità ...). E’ tanto? E’ poco? Ognuno giudichi per proprio conto. Quel che è certo è che il dato previsto per il secondo semestre 2007 è minore del dato registrato nel secondo semestre del 2006, ma maggiore dell’ultimo dato pre-indulto comparabile, ossia quello del secondo semestre 2005, in cui il numero dei delitti aveva praticamente eguagliato il record assoluto del 2003. Insomma, l’unico modo per sostenere che i delitti sono in diminuzione è sostituire i dati effettivi con delle previsioni (fatte dal governo), e inoltre assumere come termine di paragone un semestre - il secondo del 2006 - assolutamente anomalo, in quanto gonfiato dal picco dei delitti nei mesi immediatamente successivi all’indulto. Che oggi, in Italia, le paure della gente siano perfettamente giustificate non significa, naturalmente, che una parte di quelle paure non possa dipendere anche dal modo in cui giornali, radio e televisioni informano (o non informano) i cittadini. Su questo, però, per fortuna sappiamo molte cose. Per parte mia vorrei solo ricordarne una: a quel che risulta dalle inchieste demoscopiche, nell’Italia della seconda Repubblica le oscillazioni dei timori della gente dipendono soprattutto da chi è al governo e chi all’opposizione. Quando all’opposizione c’è la sinistra, la paura del crimine diminuisce perché la sicurezza non è un tema adatto alla propaganda di sinistra, quando invece - come oggi - all’opposizione c’è la destra la paura del crimine aumenta perché la sicurezza è un tema congeniale alla destra stessa. Insomma, è la politica a fare l’agenda dei media, più di quanto siano i media a regolare gli umori della gente. Il guaio è che nulla assicura che l’alternanza fra destra e sinistra sia ben sincronizzata con l’andamento effettivo dei delitti: alla fine degli Anni 90, con la destra a fare opposizione, la paura era tanta nonostante i delitti fossero in netto calo, negli anni del governo Berlusconi, con la destra al governo e la sinistra a fare opposizione, la paura era (relativamente) poca nonostante i delitti fossero in netto aumento. Oggi, miracolosamente, la percezione e la realtà sono finalmente in armonia fra loro. E’ vero, se la gente ha paura è anche perché la destra soffia sul fuoco, ma le «percezioni» della gente - purtroppo - una volta tanto sono in linea con la dura realtà dei dati. Michele Roccato MA IL TERRORE NON NASCE DAI MASSMEDIA Luciano Violante ha convocato i direttori di radio e Tg partendo da due presupposti: che la preoccupazione che gli italiani manifestano per la criminalità sia sproporzionata rispetto alla sua diffusione effettiva e che questa eccessiva preoccupazione derivi dal fatto che i massmedia trattano in modo troppo allarmistico le questioni legate alla sicurezza. I dati dell’Osservatorio del Nord Ovest mostrano che questi presupposti sono fondati solo per quel che concerne la convinzione che il crimine sia un grave problema per la nostra nazione: una forma di preoccupazione che fortunatamente influisce assai poco sulla qualità della nostra vita e che, stabilmente condivisa da più del 90% degli italiani, è effettivamente stimolata soprattutto dall’esposizione ai massmedia. Le cose sono però molto diverse per una seconda forma di preoccupazione, la paura di cadere personalmente vittima di un crimine, rispetto alla quale gli italiani si differenziano sensibilmente fra loro e che - a differenza della prima - può influire sensibilmente sulla qualità della nostra vita, stimolando ansia, sfiducia e la tentazione di investire spasmodicamente in comportamenti auto-protettivi. Ebbene, i dati mostrano sistematicamente sia che a livello regionale esistono relazioni piuttosto strette fra la diffusione oggettiva del crimine e il numero di persone spaventate, sia che l’esposizione ai massmedia non stimola questa paura, che invece deriva principalmente dal vivere in grandi città e, soprattutto, dall’essere stato vittima di un crimine. A parità di ogni altra condizione, possiamo scommettere 7 contro 1 che un italiano avrà paura di cadere vittima di un crimine se ne è stato vittima in passato. In definitiva, dunque, Violante sembra aver ragione solo per il corno meno importante del problema, la generica preoccupazione per il crimine come problema sociale. LE PAURE QUOTIDIANE ROMA E’ una polemica, quella sui direttori dei tg convocati per parlare del senso di insicurezza che la tv genera nei cittadini, che avrebbe volentieri evitato. «Non la capisco». E quindi, il giorno dopo l’esplodere del caso, Luciano Violante cerca di smorzare il tutto. «Non ho convocato io - dice il presidente della commissione Affari costituzionali - i direttori dei telegiornali e delle reti. L’ufficio di presidenza della commissione all’unanimità ha deciso di chiedere loro d’informare la commissione sul rapporto che passa tra informazione e fatti criminali». E comunque, scandisce, «non ho mai detto» che l’insicurezza è colpa della televisione. Precisazioni che però non sono sufficienti a placare l’opposizione. Anzi. «Solo il fascismo, il comunismo e il nazismo avevano saputo fare di peggio. Il diritto a informare e a essere informati è un principio base della nostra democrazia, una democrazia che qualcuno vorrebbe immolare a difesa di una indifendibile immagine del governo», dice il leghista Roberto Calderoli. «Dispiace che l’onorevole Violante si comporti come il ministro del Minculpop di tragica memoria», fa eco Francesco Nucara, pri. «L’informazione mette troppa enfasi nel raccontare i fatti di cronaca e questo genera nel Paese una percezione crescente di insicurezza? L’audizione si risolverà in una bolla di sapone», aggiunge Osvaldo Napoli di Forza Italia. Indignato si dice anche Bruno Tucci, presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio: «Che cosa vorrebbe l’illustre onorevole? Che fosse ignorata la realtà? Che si edulcorassero questioni delicate che sono sotto gli occhi di tutti per la tranquillità del Palazzo? Se non è censura, poco ci manca». / Stampa Articolo