Parrini, 13 gennaio 2008
aulenti
Sgarbi: il sindaco ha ragione, l’opera va spostata Piazzale Cadorna, l’Ago e Filo divide la città Daverio: c’è di peggio, lasciamolo dov’è. Tremila risposte sul forum di Vivimilano online: un milanese su due boccia il monumento L’Ago e il Filo in piazzale Cadorna (Newpress) Il gigantesco e coloratissimo totem, l’Ago e il Filo, piantato nel cuore di piazzale Cadorna «in omaggio alla industriosità dei milanesi» cinque anni fa, ha diviso e continua a dividere critici d’arte, architetti, urbanisti ma, soprattutto, i cittadini. A dare nuovo ossigeno alle polemiche è stata Letizia Moratti. Al suo debutto da sindaco ha rivelato di non amare particolarmente l’opera di Claes Oldenburg (• Vota: sei d’accordo?), uno dei grandi fondatori della pop art insieme ad Andy Warhol, scelto da Gae Aulenti che firmò il progetto di riqualificazione della piazza. L’Ago e il Filo «mi piacciono in assoluto, contestualizzati in quella piazza mi piacciono meno», ha detto il primo cittadino. Forse la scultura di acciaio e vetroresina, allegra e colorata, alta diciotto metri, farebbe una migliore figura in un parco? Degli oltre tremila lettori che, ieri, hanno partecipato al sondaggio di Vivimilano.it, il 52 per cento si è schierato decisamente con il Sindaco, bocciando l’opera multicolore e suggerendo di spostarla da lì. Gae Aulenti, con molta ironia, ribatte: «Casco dalle nuvole. L’Ago e il Filo è nel cuore di piazzale Cadorna da cinque anni. E Milano è piena di piazze, anche più nuove, anche meno belle, su cui fare commenti. Mi limito ad osservare che al suo primo giorno da Sindaco, la Moratti interviene... su un dettaglio». Vittorio Sgarbi è un fiume in piena: «Lode alla Moratti. Già l’intervento su piazzale Cadorna è di una violenza che la Soprintendenza aveva il dovere di impedire. C’era bisogno di mettere anche un ago nella piazza? Meravigliosa la dichiarazione della Moratti. Perché abiura a una invenzione della giunta Albertini e continuità non vuol dire cecità». Lo storico d’arte Philippe Daverio, già assessore alla Cultura del Comune, aggiunge: «L’Ago non è una genialata ma mi pare sia la cosa meno grave a Milano. La città è una catastrofe e un ago e filo in più cambia poco». Gillo Dorfles, studioso di estetica e critico d’arte, difende Gae Aulenti e l’opera contestata: «Ora che c’è, la lascerei. Ci sono monumenti più brutti a Milano. Gae Aulenti è stata coraggiosa nell’affrontare un problema molto difficile. La piazza è bruttissima e lei ha potuto fare solo una cosmesi parziale. L’Ago e il Filo, che pure è la meno divertente delle opere di Oldenburg, le ha dato almeno una prima atmosfera di modernità». L’architetto Italo Rota, che ha firmato con Gae Aulenti il progetto del Musée d’Orsay e per il Beaubourg, taglia corto: «Ormai è un monumento che fa parte del paesaggio della città. Semmai il difetto è che è troppo piccolo. Fosse stato alto 60 metri era tutta un’altra storia. E’ una creatura rimasta incompiuta, mi sembra faccia parte della Milano dei compromessi». di Paola D’Amico Quale? «Si attribuisce agli architetti la responsabilità del disegno urbano. Non è vero. Il responsabile del disegno urbano è chi governa. Si tratta di decisioni a monte rispetto al lavoro degli architetti. E il governo deve essere capace di governare il territorio della città. Barcellona insegna». Milano? «A Milano è mancato questo tipo di governo. Ha ragione Boeri quando parla della fascia verde che potrebbe fare da anello alla città. Invece questa responsabilità non è mai stata presa e la città si è frammentata». Che comporta la frammentazione? «Il peccato è quello di aver consumato il territorio invece di aggregarlo. I grandi parchi di chiusura dell’ abitato servono a creare dei limiti, delle regole e di evitare il fenomeno della periferia. Che è una nozione del XX secolo e coincide con la distruzione del territorio. Quando si parla di continuità dei tessuti intendo proprio questo. Il tessuto continua e finisce nei parchi. Quella dovrebbe essere la periferia, una periferia di qualità». Tutta colpa di chi amministra? Non è un bella scusante? «Non mi piace parlare di amministrazione ma di governo della città perché questo implica scelte e assunzione di responsabilità». Non è che lei ce l’ ha con la giunta perché di centrodestra? «Ce l’ ho con questa giunta. Perché non è propositiva. Ha giocato sempre a nascondersi preferendo una comunicazione bizzarra alle cose concrete». Comunicazione bizzarra? «Basta sfogliare quell’ opuscolo sui parchi distribuito all’ Urban center. Dove tutto viene definito parco, sia che si tratti dei metri quadrati riservati alla depurazione o di un pezzo di verde lungo e stretto. Quello si chiama viale». Lei ha lavorato alla riqualificazione di piazza Cadorna. Un intervento molto criticato, ma a stretto contatto con il Comune. Anche in quel caso è mancata la regia? «Non si può paragonare piazza Cadorna con i grandi interventi sulle aree dismesse. Quello era un brano di città a cui è stata ridata continuità». Maurizio Giannattasio Ago, Filo e Nodo è una scultura in due pezzi creata da Claes Oldenburg e dalla moglie Coosje van Bruggen e inaugurata nel 2000. Il gigantesco ago con il filo multicolorato che sbuca in un altro punto della piazza con il nodo finale, sono stati realizzati per il rifacimento della Stazione di Milano Cadorna e della antistante piazza alla fine degli anni novanta. Sono un omaggio alla laboriosità milanese e soprattutto al mondo della moda, che ha in Milano uno dei centri mondiali. Ago, lo e fantasia di Alessandra Mammì Un rossetto gigante. Un coltello che vola. E la scultura più controversa di Milano. Oldenburg e Van Bruggen raccontano il loro metodo. In attesa della mostra di Rivoli Vittorio Sgarbi, signor Oldenburg, mai sentito nominare? Claes Oldenburg scuote la testa con sguardo assente: " un critico d’arte e ora anche assessore alla Cultura a Milano...", precisiamo. "Ma sì, forse", lo corregge Coosje van Bruggen. Qualcosa a lei questo nome ricorda. Di certo però nessuno dei due, arrivati al Castello di Rivoli per lavorare con Ida Gianelli alla grande mostra in programma in autunno, era al corrente della tempesta polemica sulla loro opera: quell’’Ago, filo e nodo’ di piazzale Cadorna, finito nella lista nera dei monumenti da abbattere perché non piacciono a Sgarbi. Nessuno dei due sapeva che il Comune di Varese si candida a dare asilo politico alla scultura, che un sondaggio di ’Vivi Milano’ ha diviso nettamente in due la città, che il quadrilatero della moda è pronto a trovarle posto in una delle strade più glamourous d’Italia e che lo stesso Sgarbi alla fine si dichiara disposto a tenerla a patto di spostarla da lì: "Starebbe benissimo in un parco, magari in periferia". Pagine e pagine di rassegna stampa. Oldenburg le sfoglia irritato. Non per la polemica, ma perché in nessun articolo, titolo o didascalia compare Coosje van Bruggen. "Questa scultura è opera di due artisti. E qui c’è solo il mio nome. Già da questo si capisce che non sanno di cosa parlano, né che all’epoca fu firmato un accordo con il Comune che rendeva l’opera inamovibile per cinquant’anni". Non lo sanno probabilmente, come non sanno che Coosje e Claes fin dagli anni Settanta hanno unito vita e lavoro. Si conobbero nel 1971, lei nata a Groningen in Olanda nel 1942. Storica e critica d’arte con ottimo curriculum alle spalle, era allora curatrice al museo Stedelijk. Lui svedese di nascita e americano d’adozione, era artista già famoso a livello internazionale. La prima collaborazione creativa arriva nel 1976. Coosje curava il catalogo per una grande mostra in Olanda. Claes aveva progettato una gigantesca scultura a forma di cazzuola, ’Trowel’. "L’ho fatta per te", le dice. Ma lei: "Prima di tutto non devi fare queste cose per me. Secondo, non mi piace". "Perché non ti piace?". "Con questo colore argento più che uno strumento da lavoro sembra una paletta per dolci", è la risposta di Coosje. "E di che colore dovrebbe essere?", chiede umilmente il grande artista. "Blu, come la tuta di un operaio", Coosje dixit. E blu fu, sia l’opera che l’inizio di una nuova era. Quella dei ’Large scale projects’ firmati Oldenburg-van Bruggen. Un gioco di parole tra paesaggio e grande progetto, inventato da lei che con le parole e i concetti aveva sempre lavorato. Un gioco di proporzioni-simboli-colori che arriva da lui, artista immaginifico capace di rendere eroico il più banale oggetto del nostro quotidiano. la sua cifra, fin dagli anni Sessanta, quando trasforma un rossetto in un monumento costruttivista: quel ’Lipstick on Caterpillar Tracks’, ironico e post dadaista omaggio al ’Monumento alla III Internazionale’ di Tatlin. In nome del dio oggetto, Oldenburg fu subito d’ufficio iscritto nella lista dei pop artist: "Anche se io non sono mai stato un pop artist. Non ne condivido l’attitudine, né i programmi", ci spiega. Piuttosto il suo approccio è più concettuale ed europeo. "Coglie la miticità degli oggetti e offre un certo modo di guardarli. Rivela una loro enigmaticità che è straniante e ironica. Ne fa un teatro di sorpresa", ha scritto Germano Celant nella monografia dedicata a entrambi (Skira, 1999), raccontando come il sodalizio con Coosje radicalizzi il metodo. I ’Large scale projects’ coinvolgono il contesto urbano, richiedono non solo creatività individuale, ma un processo intero che va dallo schizzo al disegno, dall’analisi storica del luogo al controllo della produzione della scultura e della comunicazione. Un lavoro che nasce dal team, qui basato sugli opposti: uomo-donna, America-Europa, un passato di studiosa contro un’intera vita da artista. Come vi dividete i compiti? "Lo chiedevano sempre anche a Stanlio e Ollio", dice Coosje ridendo, "e rispondo come rispondevano loro ’Non ci pensiamo mai, succede e basta’". Tutto qui? "In realtà io sono più legata a un punto di vista storico-artistico, al significato iconografico e simbolico e al contesto in cui il progetto deve essere collocato. Claes punta più all’aspetto visivo e fisico del fare gli oggetti, alla loro qualità intrinseca di morbidezza o durezza". "Coosje ed io", aggiunge lui "abbiamo vissuto trent’anni insieme senza quasi mai separarci. Parliamo molto, discutiamo, ci confrontiamo. Abbiamo lo stesso amore per l’arte, lo stesso interesse per il rapporto fra esseri umani e oggetti, e a volte opinioni diverse". Chi vince in quel caso?"L’idea migliore. E devo ammettere che spesso è la sua", conclude lui. In effetti gran parte del lavoro di un ’Large scale project’ è appunto il progetto e il ’brain storming’ che lo CULTURA L’espresso extra 28-07-2006 9:39 http://espressonline.extra.kataweb.it:80/eolextra/print.jsp?id=1341865&giornale=espresso&idIndex=1341976 Pagina 1 di 2 precede. Qual è l’oggetto più significativo per quel luogo? Quali i colori giusti? Che rapporto proporzionale con l’architettura o il paesaggio? A chi è rivolto? Che velocità di fruizione? Nascono così le sculture che sembrano cadute dal cielo per trasformarci tutti in lillipuziani, frutto di un intenso ed elborato discutere. Segreto finora, ma dal 25 ottobre rivelato agli occhi del pubblico nel piano nobile del Castello di Rivoli nella mostra-diario ’Oldenburg e van Bruggen: Sculpture By the Way’(a cura di Ida Gianelli e Marcella Beccaria). Ogni disegno, maquette, studio, sculturina preparatoria è già pronto a uscire per la prima volta dagli studi dei due artisti per raccontare ad esempio la spettacolare performance che unì Oldenburg, van Bruggen e Frank Gehry nel far fluttuare sui canali di Venezia un immenso coltellino svizzero (’Il corso del coltello’, 1985). Oppure si narra la genesi del mirabolante progetto per le ’Pareti di una sala da pranzo’ del 1988 con gigantesco piatto rotto con uova strapazzate. Si recuperano i taccuini da cui nacque l’idea di ’Model for european desktop’, ispirato dalle poesie di van Bruggen sulla storia d’Europa o gli studi musicali e pittorici che precedono ’Resonance after J. V.’ dove si riproducono gli strumenti dipinti da Vermeer. E vedremo ricostruita dopo quasi vent’anni ’From Entropic Library’, nata per la storica mostra ’Le magiciens de la terre’ al Beaubourg: libri e fermalibri giganteschi per una allegoria sull’arroganza della cultura occidentale che si sente in diritto di scrivere anche la storia del resto del mondo. Tutto sarà chiarito: l’estraneità di Oldenburg alla pop art, le sue profonde radici europee, il ruolo di Coosje van Bruggen, il rapporto con l’architettura e con il teatro. E si capirà infine che l’’Ago e il filo’ non è solo un oggettone colorato, ma il simbolo dei tanti simboli di Milano: il serpente intorno alla spada, la chiave di violino omaggio alla sua profonda cultura musicale e il fare laborioso che ne ha fatto una capitale della moda nel mondo. E ci vuole coraggio a regalare tutto questo a Varese. n L’espresso extra 28-07-2006 9:39 http://espressonline.extra.kataweb.it:80/eolextra/print.jsp?id=1341865&giornale=espresso&idIndex=1341976 Pagina 2 di 2