Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  gennaio 11 Venerdì calendario

La stampa cattolica si difende. Il Giornale 11 gennaio 2008. Sarà pure un «elefante», ma Giuliano Ferrara ha i riflessi veloci

La stampa cattolica si difende. Il Giornale 11 gennaio 2008. Sarà pure un «elefante», ma Giuliano Ferrara ha i riflessi veloci. Era già accaduto due anni fa con la legge 40, quando il direttore del Foglio, che ama firmarsi con la silhouette di un pachiderma rosso, aveva acceso la miccia sotto le dogmatiche certezze del pensiero dei laici. Il direttore di Avvenire, Dino Boffo, colto di sorpresa, avviò a tempo record l’inserto vita . Oggi il tema non è più l’embrione, ma l’aborto, e il valzer è ripreso sul quotidiano più sottile d’Italia. I cattolici ancora una volta inseguono, anche se dissimulano il fiatone. Famiglia cristiana nel numero in edicola titola «Libere di scegliere», copertina che, alla maniera dei Paolini, rilancia il dibattito sulla 194. Insomma, la moratoria sull’interruzione della gravidanza suscita un cocktail di sensazioni: ammirazione, imbarazzo, forse qualche autore-vole direttore con la tonaca ne parlerà sul lettino dello psicanalista dopo aver garbatamente eluso le nostre domande. Difficile, dopo un tour nelle redazioni del mondo cattolico, far uscire allo scoperto tutto il ventaglio delle reazioni, ma qualcosa emerge. La sorpresa e il desiderio di traghettare insieme verso sponde meno laiciste un pezzo d’Italia: «Io credo spiega Maria Pia Bonanate, condirettore de Il nostro tempo, prestigioso settimanale torinese che ha sempre cercato il dialogo con altre culture -che Ferrara abbia avuto grande ascolto perché la sua predica arriva da un pulpito laico. Se la moratoria l’avessero proposta Il nostro tempo o Famiglia cristiana non ci sarebbe stato questo fiume di lettere». Biglietti entusiasti che giorno per giorno Ferrara pubblica riempiendo pagine e pagine. Da dove sbucano questi lettori? Forse fino all’iniziativa di Ferrara non avevano diritto di cittadinanza? Erano apolidi anche se abbonati ad Avvenire o ad altre testate dell’arcipelago cattolico? «Ma no replica Bonanate - noi abbiamo sempre scritto con chiarezza, anzi con angosciata chiarezza, la verità su questa tragedia. Intanto perché si parla di una legge che con inaccettabile leggerezza ha introdotto l’aborto in forma contraccettiva, come dimostrano i numeri impressionanti di questa ecatombe, e poi perché la soppressione del feto è una ferita, una lacerazione che la donna porterà sempre con sé, anche se magari non lo racconterà mai ad alta voce. Io credo proprio che Ferrara abbia fatto centro perché è considerato un laico, sia pure devoto. E di questo sdoganamento siamo felici». Sulla stessa linea Cesare Cavalleri, raffinato intellettuale e animatore della rivista Studi cattolici. Anche lui, con il suo passo meno legato alle pulsioni della cronaca, segue Ferrara e al direttore del Foglio dedica l’editoriale di Studi cattolici attualmente in stampa: «Ci volevano proprio la libertà di spirito e la limpida intelligenza di Giuliano Ferrara per rimettere al centro della discussione culturale, sociale e politica la questione dell’aborto che stava fossilizzandosi in tabù». Ma la standing ovation non porta all’autocritica per il modo in cui il tema è stato trattato sul giornale dei vescovi italiani in questi lunghi anni. «Abbiamo sempre detto e scritto che l’aborto è un abominevole delitto, mi pare che siamo sempre stati netti e chiari». E allora come mai Ferrara incendia gli animi un po’ infetriti e rompe il tabù? «Ma no - riprende Cavalleri - è che Ferrara crea un evento perché molti leggono il Foglio e magari non aprono Avvenire». Certo, il sassolino di Ferrara si è trasformato in un macigno che rotolando travolge incertezze e dubbi. Avvenire e Famiglia cristiana, come ha spiegato Michele Brambilla sul Giornale, hanno peccato di prudenza e si sono imbarcati in una difesa impossibile degli aspetti buoni o meno cattivi di una legge inacettabile? «No - taglia corto Cavalleri - semmai si è detto in questi anni che non c’erano i numeri in Parlamento per modificare o eliminare questa norma e allora non rimaneva che giocarsela sugli elementi positivi, che pure ci sono, della 194: la difesa della maternità, la scelta del l’aborto come extrema ratio. Ma nessuno ha mai rinunciato alla battaglia per l’ideale. Qualche ambiguità si è sentita in Parlamento, ma quelli sono i politici, che magari si dichiarano cattolici ma non sono con Avvenire». solo una questione di toni, di dosaggi degli ideali? O magari conta l’aver azzeccato con l’idea della moratoria una sorta di slogan fortunato? «Nessuno ci venga a dire - risponde don Giusto Truglia, vicedirettore di Famiglia cristiana e direttore di Telenova e Telesubalpina che siamo stati senza coraggio o paludati. Noi sul tema abbiamo prodotto nell’arco di anni e anni una vera e propria biblioteca. Sostenere che siamo in ritardo sul punto è come voler affermare che il Papa non va in chiesa. E poi, mi lasci dire che noi non ci limitiamo a predicare contro l’aborto, alla Ferrara, ma difendiamo la famiglia in tutti i suoi aspetti: parliamo di asili, scuole, costo della vita per chi ha figli, dell’embrione, del feto, dei centri di aiuto alla vita e di tutte le altre tematiche connesse». C’è il rischio di diventare un po’ noiosi, di apparire ripetitivi e scontati, dietro il paravento rassicurante dell’ appartenenza alla grande famiglia cattolica. E ci sono quei lettori prima senza voce e ora intercettati da Ferrara, come notava sempre Michele Brambilla. Bussano alla porta del Foglio solo per una riuscita operazione di marketing culturale? «Da anni - risponde don Truglia - riceviamo centinaia di lettere su tutti i temi, anche sull’aborto. Credo che il nostro impegno non sia secondo a nessuno». Niente squilli di tromba, invece, sulla scrivania di Gianpaolo Barra, direttore de il Timone, mensile a suo modo corsaro e lontano dagli schemi un po’ ingessati dell’editoria di punta: «Diciamo la verità. I grandi giornali cattolici, gli intellettuali, il vertice parlano in modo poco chiaro. La base, il popolo, che è assai numeroso e sempre sottorappresentato, cerca invece un corifeo, qualcuno cui guardare, un compagno di viaggio con cui dialogare e a cui rivolgere domande, preghiere, riflessioni, drammi personali sempre un po’ censurati, magari per mancanza di sensibilità. Quando lo trova, e con Ferrara è successo, quel popolo si scatena, rompe le dighe delle buone maniere, del politically correct che, invece, affiora tra le pagine dei fogli cattolici con la C maiuscola. Insomma, c’era e c’è un vuoto che il Foglio ha finalmente riempito». Il dibattito è aperto. C’è chi si mette in scia, qualcuno ritiene che in fondo Ferrara sia riuscito ad aprire una breccia proprio per il lavoro di sminamento andato avanti in condizioni difficili per tanto tempo. Don Giorgio Zucchelli, presidente della federazione che riunisce i 168 settimanali cattolici - una potenza di fuoco da un milione di copie - considera il direttore del Foglio una sorta di allievo: «I ragionamenti di Ferrara dimostrano proprio che la nostra lunga, lunghissima battaglia, era giusta. Non era una questione confessionale, da discutere nel chiuso recinto del nostro mondo, ma un tema che interrogava la coscienza di tutti, anche dei più laici. Insomma, ci siamo dati da fare e ora qualcuno premia il nostro lavoro, riconoscendo la dignità dei temi trattati». Chissà se i cattolici e l’ateo devoto Ferrara faranno un tratto di strada insieme. «Speriamo di sì», è l’augurio di Zucchelli. Sempre che il direttore del Foglio non sia già altrove: corpo a corpo con qualche altro dogma del pensiero dominante.