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 2008  gennaio 11 Venerdì calendario

Abitare gennaio 2008. Dal 1839 in poi, l’archivio fotografico mondiale è andato aumentando con crescente velocità, moltiplicandosi in una congerie pressoché infinita di immagini che ricordano la vertigine di una biblioteca borgesiana

Abitare gennaio 2008. Dal 1839 in poi, l’archivio fotografico mondiale è andato aumentando con crescente velocità, moltiplicandosi in una congerie pressoché infinita di immagini che ricordano la vertigine di una biblioteca borgesiana. Questa incantevole tecnologia ossessiva ci accompagna da ormai così tanto tempo che siamo in grado di guardare, che so, una scena di folla o una via trafficata di fine Ottocento sapendo per certo che ognuna di quelle figure è morta. Non solo la coppietta di innamorati in posa nel parco, ma anche il bambino che gioca col cerchio, la fantesca inamidata, il solenne bebè seduto rigido in carrozzina: la loro vita ha fatto il proprio corso e tutta quella gente non c’è più. Eppure, così congelate sulla carta tinta seppia, queste persone ci appaiono curiosamente e intensamente dimentiche del fatto che devono morire; per dirla con Susan Sontag, "ogni fotografia proclama l’innocenza, la vulnerabilità di vite dirette verso la propria distruzione..." ’La fotografia, "dice ancora, "è l’archivio della nostra mortalità. Basta premere un tasto per conferire all’istante un’ironia postuma. Le fotografie ci mostrano individui presenti in modo inconfutabile e preciso all’interno delle loro rispettive esistenze; esse hanno il potere di radunare persone e cose che un attimo dopo si saranno già disperse, che saranno cambiate e avranno ripreso il corso del proprio destino individuale". Lo stesso, un giorno o l’altro, potrebbe accadere con una foto di tutti noi, oggi raccolti in questa sala. Provate a immaginare un futuro osservatore che ci scruti in una vecchia foto, tra un paio di secoli, e che ci trovi bizzarramente antiquati, assorti nell’evidente rilevanza dei nostri affanni, ignari del quando e del come si compirà il nostro destino sicuro, e morti da un pezzo. Morti, in massa, da un pezzo. Siamo allenati alle riflessioni sulla mortalità del singolo: questa è anzi l’energia che informa il racconto delle nostre esistenze. Si presenta già nell’infanzia sotto forma di fatto sconcertante, riemerge nell’adolescenza come tragica realtà che ogni cosa intorno a noi sembrerebbe smentire, sfuma forse nella frenesia dell’età matura per poi rifarsi viva all’improvviso, magari in un attacco premonitore di insonnia. Una delle più alte riflessioni laiche sulla morte compare in Aubade di Philip Larkin: ’L’estinzione certa verso cui viaggiamo E in cui ci perderemo, sempre. Non essere qui, Non essere in un luogo, E presto; niente di più terribile, niente di più vero". Affrontiamo la nostra mortalità attraverso conversazioni private, nel familiare conforto della religione che Larkin definiva ”quel vasto broccato musicale mangiato dalle tarme, creato per far finta di non morire mai". E la sperimentiamo in veste di tensione creativa, di paradosso fertile nelle nostre arti e in letteratura: giacché ciò che è descritto, amato o celebrato non può durare, l’opera deve sforzarsi di sopravvivere al suo creatore. Larkin, dopo tutto, adesso è morto. A meno di essere suicidi irremovibili e ben organizzati, non ci è dato di sapere la data del nostro decesso, però sappiamo che tale data si inscrive in un certo intervallo di probabilità e che, con il nostro invecchiare, tale intervallo è destinato ad approssimarsi sempre di più al punto esatto. Valutare le modalità e i tempi del nostro decesso collettivo, non nel senso di questa sala affollata, ma della fine di una civiltà, del progetto umano nel suo insieme, è ancora più arduo: potrebbe verificarsi entro i prossimi cent’anni, non verificarsi in due millenni, o ancora accadere con una lentezza impercettibile, con un piagnisteo, non uno schianto. Ma a fronte di questa inconoscibilità, sono spesso fiorite teorie sicure riguardo all’avvicinarsi della fine. Nel corso della storia, l’umanità si è lasciata incantare da racconti che predicono la data e il modo della distruzione totale, sovente irrobustiti dal concetto di castigo divino e redenzione in extremis; l’estinzione della vita sul pianeta, gli ultimi giorni, il tempo della fine, l’apocalisse. A molte di queste storie che raccontano il futuro nel minimo dettaglio, c’è chi crede con devozione. I movimenti apocalittici contemporanei, siano essi cristiani come musulmani, violenti oppure no, sembrano condividere la fantasia di una fine violenta, e influenzare profondamente la politica attuale. La mentalità apocalittica può essere demonizzante - in altre parole, può disprezzare i membri di altre comunità o fedi, i quali adorerebbero falsi dei e non avrebbero perciò speranza di essere salvati. Inoltre, la mentalità apocalittica ha tendenze totalitaristiche: si tratta cioè di idee monolitiche e onnicomprensive, fondate su credenze spasmodiche nel soprannaturale, immuni tanto alla propria dimostrabilità quanto al contrario, e indifferenti all’impatto di nuovi dati di informazione. Ne derivano momenti di pathos involontario, di comicità perfino, che forse ci rivelano qualcosa sulla nostra natura: giacché il futuro deve essere costantemente riscritto, occorre individuare nuovi Anticristi, nuove Bestie, Babilonie e Meretrici, mentre i precedenti appuntamenti con giudizio universale e redenzione vengono aggiornati a data successiva. Nemmeno il più superficiale degli studiosi dell’apocalisse cristiana potrebbe permettersi di ignorare l’opera di Norman Colin. La pubblicazione del suo magistrale I fanatici dell’Apocalisse risale a mezzo secolo fa e ha conosciuto continue ristampe. Si tratta dello studio di una varietà di movimenti del tempo della fine che si diffusero in tutta l’Europa settentrionale tra l’undicesimo e il sedicesimo secolo. Il tratto distintivo di tali sette, che solitamente si ispiravano al simbolismo del Libro della Rivelazione ed erano guidate da un profeta carismatico di origini modeste quando non decisamente umili, era la convinzione di una fine imminente, alla quale avrebbe fatto seguito l’insediarsi sulla terra del Regno di Dio. Per prepararsi all’evento, si credette necessario il massacro di ebrei, sacerdoti e possidenti. Fanatici facinorosi a decine di migliaia, oppressi e spesso miserabili diseredati, presero a errare di centro abitato in centro abitato, carichi di una speranza dissennata e di intenzioni omicide. Le autorità, laiche come ecclesiastiche, li reprimevano con efferata violenza. Qualche anno dopo, una generazione al massimo, forte di un nuovo capo e di un’enfasi appena modificata, nasceva un altro gruppo. Vale la pena di ricordare come la massa di straccioni che si accodò ai cavalieri delle prime Crociate inaugurasse il proprio percorso sterminando ebrei a migliaia nella zona dell’Alto Reno. Al giorno d’oggi, i musulmani di tendenze integraliste che emettono condanne lapidarie contro ebrei e crociate, farebbero bene a ricordare come, delle Crociate, tanto il Giudaismo quanto l’Islam siano stati a loro volta vittime. Ai nostri giorni, l’entità del massacro si è ridotta, ma il lettore del testo di Coluì non può non essere sorpreso dai fili che collegano il pensiero apocalittico medievale a quello contemporaneo. Primo: il generico ripresentarsi di previsioni riguardanti il tempo della fine - di quando in quando, in un lasso di mezzo miflennio, viene proclamata la data, non accade nulla, ma questo non impedisce affatto ai seguaci di stabilire una data successiva. Secondo: dal Libro della Rivelazione è scaturita una tradizione letteraria che ha mantenuto viva nell’Europa medievale la credenza di derivazione giudaica dell’elezione divina. Anche i cristiani potevano essere ormai il popolo scelto, i salvati o gli eletti, e nessuna misura repressiva da parte delle autorità è riuscita a soffocare il fascino che questa idea esercita su reietti e squilibrati. Terzo: si allude alla figura di un comune mortale assurto a un ruolo eminente, in apparenza virtuoso ma in realtà ammaliatore satanico: si tratta dell’Anticristo che, nei cinque secoli presi in esame da Cohn, è stato identificato nel Papa, come spesso accade anche oggi. Esiste infine la sconfinata adattabilità, l’inesauribile incanto esercitato dal Libro della Rivelazione, testo chiave del credo apocalittico. Quando Cristoforo Colombo raggiunse le Americhe sbarcando alle isole Bahamas, credette di aver trovato, per volere del destino, il Paradiso Terrestre promesso nel Libro della Rivelazione. Si convinse di aver svolto un ruolo attivo nel progetto divino per il regno millenario sulla terra. Lo studioso Daniel Wojcik cita queste parole tratte dalla cronaca del primo viaggio, redatta dallo stesso Colombo: "Dio fece di me il messaggero del nuovo paradiso e della nuova terra di cui egli parlò nell’Apocalisse di Giovanni... e mi mostrò il luogo in cui trovarla". Cinquecento anni dopo, gli Stati Uniti, sede di più dei quattro quinti della ricerca scientifica mondiale e tuttora terra dell’abbondanza, possono esibire al mondo un’infinità di analisi statistiche riguardanti le convinzioni religiose del paese. La litania è ben nota. li 90% degli americani sostiene di non avere mai dubitato dell’esistenza di Dio e si dice sicuro che ciascuno sarà chiamato a rispondere dei propri peccati. 53 americani su 100 sono creazionisti, convinti che l’età del cosmo sia di 6000 anni. Il 44% è certo che Gesù tornerà a giudicare i vivi e i morti entro i prossimi cinquant’anni. Soltanto il 12% crede che la vita sul pianeta si sia evoluta attraverso un processo di selezione naturale e senza l’intervento di un agente soprannaturale. Nel complesso, la credenza nella profezia biblica del tempo della fine in un mondo purificato dalla catastrofe e quindi redento e reso interamente cristiano e libero dal conflitto, grazie al ritorno di Gesù nel breve tempo della nostra esistenza, è più forte negli Stati Uniti che in qualunque altro luogo e accomuna gruppi economicamente disagiati e poco scolarizzati a milioni di persone in possesso di un’istruzione universitaria, fino alle élite governative e ai massimi vertici del potere. Secondo il sociologo JW Nelson le idee apocalittiche sarebbero ”americane come l’hot-dog". Wojcik ricorda il brivido che percorse il mondo nell’aprile del 1984, quando il presidente Reagan si dichiarò molto interessato alla profezia biblica dell’imminente battaglia di Armageddon. Per la mentalità laica, le cifre statistiche rappresentano uno shock piacevolmente eccitante: si potrebbe quasi pensarle come una forma di pornografia dell’ateo. Ma forse è necessaria una sospensiva prima di proseguire nell’argomentazione. Un certo grado di scetticismo rispetto alle suddette cifre può non essere fuori luogo. Per cominciare, esse variano enormemente: si va dal 90% di un esito, al 53% di un altro. Del resto, quale sarebbe il vantaggio di negare categoticamente l’esistenza di Dio rispondendo a un estraneo armato di questionario da compilare? Inoltre, chi racconta all’incaricato del sondaggio di credere che la Bibbia sia pura parola di Dio dalla quale discenderebbero tutti le leggi morali, è assai più probabile che si riferisca a principi genetici quali amore, compassione e perdono, piuttosto che al possesso di schiavi, alla pulizia etnica, all’infanticidio e al genocidio più volte incoraggiato dal geloso Dio dell’Antico Testamento. Senza contare poi che la mente è in grado di operare separazioni in compartimenti stagni secondo necessità; lo stesso individuo può ora credere sinceramente nella profezia dell’Armageddon entro i limiti temporali della propria vita e, l’attimo dopo, prendere il telefono e informarsi riguardo a un piano di risparmio per sostenere le spese universitarie dei nipoti, o approvare misure a lungo termine per rallentare il surriscaldamento del pianeta. 0 addirittura, votare per il partito democratico, come fanno molti letteralisti biblici di origini ispaniche. I tribunali di Pennsylvania, Kansas e Ohio si sono espressi con fermezza contro le richieste del movimento del Disegno intelligente, mentre gli elettori hanno espulso i creazionisti dai direttivi scolastici. Nel caso Dover, il giudice John Jones III, incaricato dal presidente Bush, ha emesso un verdetto che non solo costituisce un netto rifiuto di concetti soprannaturali applicati ai programmi scolastici di scienze, ma anche un elegante e acuto compendio del progetto scientifico in generale, e della selezione naturale nello specifico, nonché un saldo sostegno dei valori razionalisti dell’illuminismo che sono alla base della Costituzione. Ian McEwan Ian McEwan (Regno Unito, 1948) scrittore. Vive a Oxford, Regno Unito. Le opere di McEwan hanno acquisito un vasto consenso critico internazionale. Il suo romanzo "Espiazione" (2001) ha ottenuto il WH Smith Literary Award (2002), il National Book Critics’ Circle Fiction Award (2003), il Los Angeles Times Prize for Fiction (2003) e il Santiago Prize for the European Novel (2004). In 2006, ha vinto il James Tait Black Memorial Prize per il romanzo "Sabato” (2005). Il suo nuovo romanzo ”Chesil Beach” è pubblicato da Einaudi.