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 2008  gennaio 11 Venerdì calendario

Quelli che di aborto non si parla. Europa 11 gennaio 2008. Finché lo fanno Liberazione e il manifesto, passi: ognuno prova a fare il proprio mestiere come sa

Quelli che di aborto non si parla. Europa 11 gennaio 2008. Finché lo fanno Liberazione e il manifesto, passi: ognuno prova a fare il proprio mestiere come sa. Ma che adesso anche La Stampa si metta a spiegare alla sinistra come si fa la sinistra, e quanto sia sbagliato mettere in discussione le antiche convinzioni e ”aprire dibattiti” pericolosi, questo è un po’ troppo. Per fortuna si trattengono dall’esortare il Partito democratico a trescare meno con Montezemolo e a curare di più la Fiom, ma di questo passo anche lì arriverà il giornale della Fiat. Per ora si limita a citare, fra i cedimenti della sinistra ai valori altrui, aborto, coppie di fatto e la sicurezza: perché poi la sinistra non debba preoccuparsi di quest’ultima, aspettiamo che lo spieghino anche alla pensionata di Grugliasco e al commerciante di Nichelino. Con tutti i dubbi e le critiche che abbiamo rispetto alle leadership riformiste di questi tempi, è consolante scoprire che su alcune q u e s t i o n i cruciali esse sono avanti di un paio di ere rispetto alla pigrizia intellettuale e al conformismo benpensante di tanti commentatori. Peccato che, sospettiamo, l’opinione corrente a sinistra sia più vicina a questi ultimi. Accusati di debolezza nella difesa dei propri ”valori” e di subalternità alle campagne altrui (lo pensano e scrivono e scriveranno in diversi anche su Europa), in realtà tanti dirigenti della sinistra democratica stanno dimostrando l’esatto contrario, e non da oggi. Nessuna paura di guardarsi dentro, e di guardare dentro un nuovo pensiero molto trasversale, molto moderno e soprattutto molto presente anche fra le donne e gli uomini di sinistra, che non si accomoda più dietro l’ideologia o gli slogan per saltare a pie’ pari i problemi insoluti e dolorosi della vita, della morte, del male. Leggendo certe rampogne – oggi a Veltroni, ieri a D’Alema, Fassino, Rutelli, Bertinotti, Turco... – intuiamo gli spiriti deboli di coloro che si rifugiano in una descrizione guerresca del confronto sui valori e sulle relazioni famigliari, sociali, sessuali: per loro sono solo bandiere da impugnare, ammainare, tradire; trincee da difendere; postazioni da conquistare. Calati nell’armatura degli anni ”70, nascosti dietro la celata i dubbi che è impossibile non avere di fronte all’orizzonte del possibile disegnato dal progresso scientifico e tecnologico, i cavalieri della libertà illimitata elargiscono scomuniche laiche pur di non fare i conti con se stessi. Rispecchiandosi naturalmente nei tanti cavalieri della fede, per lo più improbabili, che anche in Italia (tra l’altro, meno che altrove) hanno cercato di trasformare i valori e la vita in campo di battaglia elettorale. Perfino Giuliano Ferrara, che secondo me prova solo a dare seguito pubblico, con le capacità, gli strumenti e le relazioni di cui dispone, a un percorso personale di riflessione che nessuno può liquidare senza rispetto, ha commesso un errore. Attento (magari per calcolo politico più che per sincera convinzione) a non investire direttamente la legge 194 nella sua pannelliana campagna sulla moratoria degli aborti, ciò nondimeno non nega di sentirsi lanciato in una piccola grande crociata: che è la parte egotistica e impossibile da condividere di una offensiva culturale che invece merita di essere trattata come tale. E che se nasce da una spinta interiore scatenata da fatti personali – il che lo accomuna e lo rende comprensibile a tanti – una volta affidata alla dimensione pubblica dovrebbe lì rimanere, senza troppe esibizioni di viscere: altrimenti i più si discostano, tranne che non siano state militanti femministe teoriche e pratiche del privato sbattuto in faccia. Qui poi le acque si confondono, o forse si chiariscono, perché il dialogo accettato da Walter Veltroni viene esecrato dentro e fuori il Pd con tanti e diversi argomenti (e figurarsi che cosa sentiremo oggi dopo il difficile incontro di ieri con Benedetto XVI). Subalternità culturale, rinuncia ai valori, calcolo politico, tresca col Vaticano. C’è poi chi non condanna ma prova imbarazzo, come capita ai cattolici democratici convinti che esista ancora una Chiesa del silenzio maggioritaria che pratica e preferisce tolleranza e mediazione, e si ritrovano per questo motivo bollati di inutilità dal giornale dei vescovi e perennemente spiazzati nel confronto sui temi etici. Ai più sfugge che il segretario del Pd non poteva esimersi dall’accettare il confronto, e pochi colgono quanto sia positivo che questo avvenga per ora fuori dalle dinamiche fra partiti, e fra persone che non calano in prima battuta la carta della propria fede o non fede. Chi non vuole che Veltroni e i democratici si mettano alla prova, anche sull’aborto e sui nuovi limiti della vita, dovrebbe preliminarmente affermare: è una cosa non importante, un tema fuori dalla vita reale della gente, una vicenda superata che non tocca più nessuno e non ha alcuna rilevanza collettiva. Non hanno il coraggio di dire questo, pure loro che accusano di debolezza chi si espone al dialogo, e dunque si rifugiano dietro le rassicuranti parole d’ordine: diritti civili, autodeterminazione della donna, la 194 non si tocca. I meno accorti scivolano, così esce fuori il diritto «a non tenere figli non desiderati»: infortunio (ahinoi La Stampa, di nuovo) che svela l’indicibile, cioè l’intima accettazione dell’aborto come metodo contraccettivo. Ora, anche i sassi sapevano che prima o poi in Italia si sarebbe tornato a parlare della 194. L’aborto non è un tema pacificato in nessun angolo del mondo ed è oggetto di controversia politica in tutte le democrazie. Non è con gli esorcismi che si sfugge a una discussione difficile o si respinge un’offensiva culturale. Dietro al rifiuto del confronto si intuisce solo il timore di venire sconfitti, negli argomenti se non nella conta numerica. E invece come si fa a non vedere che, per paradosso, proprio nel procedere della prevedibile e temuta offensiva antiabortista la legge 194 si sta rafforzando? Trasformata da totem in oggetto di confronto, ne esce confermata la qualità intrinseca non contraddetta ma innalzata da pacati ragionamenti su dove migliorarla, perché non sia passaporto per la futilità maschile e femminile ma al contrario piena tutela della maternità consapevole, riaffermazione del diritto alla vita da quando questa appare, priorità alla salute di madre e figlio. Veltroni fa solo, e bene in questo caso, il suo dovere di segretario di un grande partito progressista. Vede la strada per mettere al sicuro, senza lasciarla nei marosi di una permanente indefinita tempesta, la 194. Getta le premesse, speriamo, perché in un clima più temperato oltre a migliorare una legge già buona se ne possa, ben più ampiamente, correggere una cattiva come la legge 40 sulla fecondazione assistita, nei punti nei quali per rigidità ideologica si compiono ogni giorno autentici attentati alla salute di madri e figli. E infine esplora per il proprio partito il terreno di un’antropologia nuova, maturata negli ultimi decenni nella concretezza delle paure, delle speranze e delle esperienze di donne e uomini non definiti per credo religioso o convinzione ideologica. E proprio per questo possibile paradigma di autentiche scelte, non necessariamente fatte all’unanimità: nulla è più lontano dalla realtà quotidiana che lo sgranarsi ripetitivo degli opposti rosari di luoghi comuni, e già un Partito del Rispetto sarebbe di per sé maggioritario in Italia. Se il Pd saprà essere questo, qualcuno potrà lamentare che nella definizione della nuova biopolitica democratica abbia potuto mettere lo zampone Giuliano Ferrara. Non sarà del tutto vero, perché per esempio la rilevanza pubblica e non più solo privata della convinzione religiosa è già nella carta dei valori del Pd, e il direttore del Foglio non riuscirà a imporgli anche l’obbligo degli studi teologici, come è invece nel timone del suo giornale. Ma anche se ci sarà stata una spinta, un’intrusione, un condizionamento, sarà stato a fin di bene, e avremo dimostrato non a Ferrara ma all’Italia che qui c’è un partito che sa dialogare e cambiarsi dentro, proprio perché non ha paura di niente. Altro che ammaina bandiera. STEFANO MENICHINI