Quattroruote Gennaio 2008, Stefano Lorenzetto, 11 gennaio 2008
Abitacolo, l’ultimo pensatoio. Quattroruote Gennaio 2008. Sull’ultimo numero di «Quattroruote» ho dato ragione a un lettore, il quale sosteneva che in auto non si mangia, non si fuma, non si parla al cellulare: si guida e basta
Abitacolo, l’ultimo pensatoio. Quattroruote Gennaio 2008. Sull’ultimo numero di «Quattroruote» ho dato ragione a un lettore, il quale sosteneva che in auto non si mangia, non si fuma, non si parla al cellulare: si guida e basta. Rileggendomi, ammetto d’essermi trovato un po’ in disaccordo con me stesso (succede). In auto è infatti possibile, legittimo e persino auspicabile un altro esercizio fondamentale, piuttosto trascurato di questi tempi: pensare. L’auto, a ben vedere, è rimasta l’ultima nicchia di riflessione e di silenzio dell’uomo moderno. Sempreché a bordo vi sia soltanto il conducente. Se n’era accorto, trent’anni fa, anche il buon Giorgio Gaber: «Da solo / lungo l’autostrada / alle prime luci del mattino / a volte spengo anche la radio / e lascio il mio cuore incollato al finestrino». Non sempre ci prende «un’illogica allegria». Anzi, talvolta si è pervasi da una certa mestizia. Ma lì, al volante, dove nessuno può disturbarci, non c’è niente da fare: finalmente pensiamo. A tutto. Non solo al lavoro e agli affanni quotidiani. Anche ai nostri cari, agli amici, al futuro e alle inevitabili canagliate che commettiamo. Magari sbaglio, mi faccio fuorviare dalla natura del mio lavoro, per il quale non voglio scomodare il pomposo aggettivo, «intellettuale», che spesso gli attribuiscono. Però è un fatto che questo articolo l’ho pensato in auto. E persino il resoconto del funerale di Enzo Biagi me lo sono recitato mentalmente mentre percorrevo la strada che dal cimiterino in mezzo ai boschi di Pianaccio, l’ultima frazione dell’Appennino bolognese sul confine con la Toscana, scende a fondovalle. Ve ne sarete accorti anche voi, soprattutto ai semafori: ci sono guidatori che in auto riescono addirittura a intavolare un dialogo con sé stessi. Si fanno le domande e si danno le risposte, si muovono le obiezioni e si controbattono. Oggi è facile confonderli con coloro che parlano al telefonino usando il vivavoce. Ma questa mia osservazione risale ad anni non sospetti, quando i cellulari non erano ancora stati inventati. pensare a ruota libera Al volante, ci viene incontro il passato. Il paesaggio, e persino le insegne luminose delle aziende dislocate lungo le autostrade, esercitano sull’automobilista la stessa potenza evocativa che avevano per Marcel Proust le madeleines intinte nel tè. Sulla Piacenza-Torino, nei pressi di Voghera, leggi «Balma Capoduri & C.» e risenti nelle narici il profumo di mandorla della Coccoina, ti assale la nostalgia della colla nel barattolo argentato, con lo scomparto per il pennellino. Sull’Autobrennero, a Campogalliano, guardi l’edificio-monolito della leggendaria Bugatti, un parallelepipedo blu, e pensi all’ex patron Romano Artioli e alla caducità delle imprese umane, a cominciare da quella di un bolide mosso da un V12 alimentato a metano che arrivava a toccare i 352 chilometri orari. Toglietevi dalla testa l’idea che questa dell’auto-pensatoio sia solo una bizzarra suggestione. Al contrario, poggia su dati concreti. Credete forse che Radio Maria abbia la stessa audience di Isoradio - 4 milioni e passa di ascoltatori - solo perché può contare su 800 ripetitori (più della Rai) e un numero sterminato di frequenze (147 nella sola Lombardia)? Errore. «Radio Maria è la trappola di Dio. Il 25 per cento ci ascolta in auto, lo attesta la Abacus. Lei non ha idea di quanti camionisti abbiamo convertito», mi ha spiegato il suo direttore, padre Livio Fanzaga. la prova lampante che mentre si guida diventa più facile concentrarsi sulle cose dello spirito. Alain de Botton, gettonato scrittore svizzero residente a Londra, che ha fatto del viaggio, quello reale, quello interiore e quello letterario, il tema conduttore di molti suoi libri, a cominciare da «L’arte di viaggiare», ha dichiarato: «Se mi sposto in auto penso e guardo contemporaneamente molte cose. Sono momenti durante i quali posso abbandonarmi ai sogni con tempi che a casa mia non ho». C’è gente che in auto canta a squarciagola. O che avverte prepotente il richiamo dei sensi: ricordo un mio collega, ormai prossimo all’età della pensione, arrivato stravolto in redazione perché aveva notato nella vettura accanto alla sua, fermo a un semaforo, una nostra collaboratrice intenta a darsi il rossetto rimirandosi nello specchietto retrovisore. Ho anche conosciuto un segretario generale della Fieragricola di Verona che seminava centinaia di monete sui tappetini della sua berlina: l’identificazione totale col target contadino aveva preso il sopravvento. Tutti indizi, come si vede, di una spiccata attività cerebrale stimolata dall’auto. Ho temuto per lunghi anni d’essere io, l’anormale. Fino a quando, su un blog, non mi sono imbattuto in questa testimonianza: «Sogno di avere un registratore per pensieri; ne sento la necessità soprattutto quando sono in auto, luogo speciale di iperproduzione sinaptica». Confesso che ho risolto da tempo il dilemma: dalla macchina mi telefono. E siccome trovo la linea occupata (da me medesimo), scatta la segreteria telefonica, così posso dettare gli appunti. L’ultimo che ho registrato diceva testualmente: «Va bene pensare mentre si guida. Però la riflessione più importante per la propria e l’altrui sicurezza è che bisogna decidersi a smetterla di armeggiare nel traffico con cellulari, navigatori, Bluetooth, Ipod e Sms». Pensiero stupendo, commenterebbe Patty Pravo. Stefano Lorenzetto