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 2007  dicembre 30 Domenica calendario

«Hong Kong al voto nel 2017». IL SOLE 24 ORE 30 dicembre 2007. SHANGHAI. A Hong Kong la democrazia può attendere

«Hong Kong al voto nel 2017». IL SOLE 24 ORE 30 dicembre 2007. SHANGHAI. A Hong Kong la democrazia può attendere. Almeno fino al 2017, quando i cittadini dell’ex colonia britannica potranno nominare direttamente il loro governatore con suffragio universale. Le libere elezioni per scegliere i rappresentanti del Consiglio legislativo della città, invece, potranno essere indette solo nel 2020. Dopo un lungo di periodo di pressioni da parte dei movimenti democratici della città-Stato asiatica, la Cina ha emesso il suo parere sulla spinosa questione dell’autodeterminazione politica della regione a statuto speciale tornata sotto l’egida della madrepatria nel 1997. Ma ha usato i dovuti condizionali: il testo della decisione presa ieri dal Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo (il Parlamento cinese), infatti, è infarcito di "forse" e di "potrebbe". Il che rende piuttosto aleatoria la riforma costituzionale fortissimamente voluta dalla maggioranza degli hongkonghini. Insomma, la democrazia come possibilità; ma solo a partire dal 2017. Per questa ragione, una larga fetta dell’opinione pubblica di Hong Kong ha salutato con irritazione e disappunto il verdetto del Governo cinese sul tanto agognato suffragio universale. la seconda volta che la Cina dice no alla democrazia a Hong Kong: nel 2004, il Governo della madrepatria aveva già respinto un’analoga istanza per indire elezioni libere nel 2007. L’ennesima doccia fredda ha spinto qualche centinaio di persone a scendere in piazza per protestare contro Pechino. Qualcuno ha esposto striscioni con frasi pesanti: «La democrazia ritardata è una democrazia negata», «Nessun compromesso con la Cina». Il fatto che la città "potrebbe" avere il diritto a scegliersi il proprio leader con voto diretto ben 20 anni dopo lo storico handover di Hong Kong dall’Inghilterra alla Cina viene considerato una violazione dello spirito della Basic Law, la mini-costituzione lasciata in eredità da Londra agli hongkonghini prima di ammainare l’Union Jack e ritirarsi dalla colonia asiatica. Alcuni temono perfino che la Cina, con una scusa qualsiasi, possa rimangiarsi tutto prima del 2017. Il suffragio universale, l’elezione diretta del governatore e la formazione di un "parlamentino" espressione della volontà popolare sono obiettivi espressamente previsti dalla Basic Law sottoscritta e accettata dalla Cina prima dell’handover del luglio 1997. Ma la mini-costituzione non prevedeva date certe, lasciando a Pechino pieni poteri sui tempi e le modalità della transizione di Hong Kong verso la piena democrazia. Così, dieci anni esatti dopo la ritirata degli inglesi, non è cambiato niente: la città è sempre guidata da un governatore eletto da un "comitato" formato da maggiorenti e notabili allineati con le volontà del Governo cinese. Sapendo che entro la fine di quest’anno Pechino avrebbe dovuto prendere una decisione in vista del 2012, quando scadrà il mandato del governatore Donald Tsang, negli ultimi mesi in città era maturata l’aspettativa che questa fosse la volta buona per la concessione del suffragio universale. Ma i fatti hanno dimostrato che era più una speranza che una concreta possibilità. In mezzo a tanta delusione, c’è anche chi vede il bicchiere mezzo pieno. Come per esempio il governatore Tsang, che ha definito la decisione di Pechino «una preziosa opportunità». Commento scontato, si potrebbe obiettare, visto che Tsang prende ordini dal Governo cinese, e quindi non è in condizione di criticare le scelte strategiche della madrepatria. Ciò detto, anche alcuni opinionisti vicini ai movimenti pro-democrazia hanno colto l’elemento di novità contenuto nella decisione di Pechino e hanno invitato gli scontenti a non trincerarsi nell’ostruzionismo.  vero, la Cina ha spento ancora una volta il sogno democratico di Hong Kong. Al tempo stesso, però, ha indicato esplicitamente il 2017 come una data "possibile" per il suffragio universale. Non è una cosa da poco: per Hong Kong la democrazia non è più una chimera. Forse. Luca Vinciguerra