Corriere della Sera 09/01/2008, Sergio Romano, 9 gennaio 2008
LA TURCHIA DI ERDOGAN ISLAMICA MA MODERNA
Corriere della Sera 9 gennaio 2008. La nuova Costituzione turca voluta dal governo Erdogan si propone di emendare il divieto d’indossare il velo nelle università e la fine dell’obbligatorietà delle lezioni di religione e di morale (utilizzate di fatto per insegnare l’Islam sunnita), queste ultime previste dall’art. 24 dell’attuale Costituzione. Le riforme hanno lo scopo di porre un freno allo statalismo kemalista nei confronti della religione, sottraendola in parte al controllo statale, e d’introdurre con un paradigma di laicità vicino alla tradizione laica occidentale, una sensibilità verso le minoranze etniche presenti nel Paese e verso una libertà di religione. Altre riforme costituzionali cercheranno di ridurre la partecipazione dei militari alla vita politica. Con il golpe del 1980 si costituì un nuovo organo con potere decisionale e tuttora attivo, ovvero il Consiglio di sicurezza nazionale. Presieduto dal Capo dello Stato e composto dagli alti vertici delle Forze Armate, negli anni ha sempre interferito nella vita pubblica del Paese come garante assoluto della laicità kemalista dello Stato. Le riforme ridurranno tale partecipazione e soprattutto renderanno difficile sciogliere i partiti così com’è avvenuto durante i golpe militari del 1960 e del 1980. Vi è poi un’apertura a possibili cambiamenti dell’articolo 301 del codice penale sul vilipendio all’identità nazionale e della legge del 1951 che punisce i crimini contro Kemal Atatürk, ovvero le norme che di fatto ostacolano una piena libertà di espressione. La vera questione è di carattere semantico e storico: per lei, che cos’è la laicità della Turchia di Atatürk e del kemalismo e cos’è la laicità inseguita dall’Akp, il partito dell’islamico moderato Erdogan?
Claudio Maggiolini
Caro Maggiolini,
Ho dovuto accorciare la sua lettera, ma credo di avere conservato la parte più interessante. Osservo subito che lei ha probabilmente ragione. Anche se proposta da un partito islamico, la nuova Costituzione turca potrebbe essere molto più liberale di quella voluta dai militari nel 1982. Il problema dell’art. 301 è stato discusso nel corso di un convegno a Istanbul, promosso dall’Unione d’amicizia fra Italia e Turchia e dall’Ambasciata d’Italia. Quando un giornalista ha sollevato il problema, un ministro turco ha risposto dapprima in termini generali parlando della necessità di approfondimenti e discussioni. Intendeva alludere probabilmente alle resistenze degli ambienti più tradizionalmente kemalisti. Ma a una seconda osservazione, più insistente e diretta, ha risposto di essere favorevole alla sua modifica. La discussione potrebbe iniziare in Parlamento nei prossimi giorni.
Anch’io, durante il mio soggiorno a Istanbul, mi sono chiesto più volte quali fossero le caratteristiche della laicità di Atatürk, fondatore della Repubblica turca. Fu davvero «laico», nel senso che la parola ha assunto nelle società europee? Credo che il suo modello, anche se non esplicitamente confessato, fosse la Russia dopo la grande riforma con cui Pietro il Grande soppresse il Patriarcato, assoggettò la Chiesa ortodossa a un Sinodo presieduto da un procuratore laico e conferì a se stesso un rango simile a quello dei sovrani inglesi dopo lo scisma di Enrico VIII. Come Pietro, anche Atatürk era convinto che il clero fosse un ostacolo sulla strada della modernità e che lo Stato avesse il diritto di delimitarne strettamente le competenze. L’abolizione del fez e del velo (che i turchi chiamano turban) fu per molti aspetti l’equivalente del taglio della barba che Pietro impose ai boiari. Fra questi due grandi modernizzatori esiste tuttavia una differenza. Pietro governò con durezza il clero, ma volle che l’ortodossia e le sue liturgie concorressero a esaltare la maestà del sovrano e il sentimento patriottico dei russi. Atatürk invece volle che la religione non avesse alcun ruolo nella vita pubblica del Paese.
Oggi è difficile sostenere che l’Islam, come è praticato dalla maggioranza della popo-lazione, rappresenti un ostacolo sulla strada della modernità. Il governo Erdogan ha fatto una coraggiosa politica di privatizzazioni e ha creato le condizioni per un impetuoso sviluppo della economia nazionale. Il prodotto interno lordo cresce annualmente del 7%. Il debito pubblico si aggira intorno al 40% del Pil (il nostro supera il 104%), il disavanzo è al 2% e il solo dato che non rispetti i parametri del Trattato di Maastricht è quello dell’inflazione. A questa politica liberale e modernizzatrice del governo corrisponde l’apparizione di nuovi ceti sociali molto intraprendenti che hanno con la religione un rapporto alquanto diverso da quello della classe dirigente della Turchia di Atatürk. Sono devoti musulmani, ma capitalisti, democratici e direttamente interessati allo sviluppo del Paese nell’ambito della economia europea. L’esperimento turco, caro Maggiolini, potrebbe diventare domani un modello per altri Paesi musulmani e dimostrare che esiste una via islamica alla modernità.
Sergio Romano