corriere della Sera 09/01/2008, Benedetta de Micheli corriere della Sera 09/01/2008, RICCARDO CHAILLY corriere della Sera 09/01/2008, Alessandro Cannavò, 9 gennaio 2008
3 ARTICOLI SULLA RICORDI
200 anni di Ricordi. Corriere della Sera 9 gennaio 2008. il 1808: a Vienna Beethoven compone la Pastorale, in Italia il ventitreenne Giovanni Ricordi getta le basi della futura multinazionale della musica firmando l’atto costitutivo di una piccola tipografia. Da allora a oggi, è una lunga storia di grandi intuizioni (come l’invenzione del diritto d’autore), grosse sfide, nuovi progetti. La Ricordi fa parte dal 1994 della tedesca Bertelsmann, tra i primi gruppi mondiali nel settore editoriale e dell’entertainment, ma il fascino della Casa originaria è rimasto intatto e riemerge nel bicentenario. Documenti, lettere, fotografie, partiture originali di maestri come Bellini, Donizetti, Rossini, Verdi, Puccini: è il patrimonio del grande archivio storico che adesso viene riproposto con una serie d’iniziative. Mostre, concerto alla Scala, pubblicazioni editoriali e discografiche, borsa di studio, concorso per giovani compositori: si parlerà molto della Ricordi nelle prossime settimane.
L’11 gennaio si comincia con «Ricordi, due secoli di grande storia», prima di cinque esposizioni che si succederanno ogni due mesi nella Sala Maria Teresa della Biblioteca Braidense. Come in un film scorrono le testimonianze più forti: il primo contratto siglato da Giovanni Ricordi, il libro con i diritti acquisiti dai musicisti, l’autografo di Rossini e di Listz, la prima edizione della Messa di Verdi data a nolo, la lettera di Verdi su Wagner, i documenti della Società di Mutuo Soccorso, le immagini degli stabilimenti, gli operai, il primo disco della Callas che interpreta
Medea (quest’anno si celebrano anche i 50 anni della Ricordi come casa discografica) e avanti così, fino alla musica contemporanea. «L’archivio non è soltanto la memoria storica dell’azienda, è anche il suo futuro – dice Tino Cennamo, presidente del Comitato Nazionale Ricordi e vicepresidente di Bertelsmann ”. E presto, attraverso il web, diventerà una fonte di conoscenza accessibile a tutti, oltre che a studiosi e musicologi. il nuovo corso voluto dalla Bertelsmann: la ricchezza della Ricordi alla portata di chiunque».
Per tornare alle celebrazioni, sempre l’11 gennaio Riccardo Chailly dirige alla Scala musiche di Verdi, Rossini, Puccini-Berio e dello stesso Giulio Ricordi che da compositore adottò il soprannome di Jules Burgmein.
La serie delle mostre alla Braidense continua invece il 18 febbraio con l’esposizione su «I fantastici cinque», un viaggio tra le partiture originali di Verdi, Puccini, Rossini, Donizetti, Bellini e altri preziosi documenti appartenuti ai grandi musicisti. Quindi, il 7 aprile, «La digitalizzazione: Puccini e Verdi in rete», un assaggio delle opportunità offerte dal web. Particolare interessante: il materiale storico che riguarda il compositore di Lucca è già tutto consultabile in Rete. Infine, l’8 settembre, sono di turno «Scenografia e cinema» e, il 3 dicembre, la mostra sulla «Moda».
Ma il capitolo delle rassegne non finisce qui. C’è ancora la grande esposizione internazionale: in tre anni, dal 2008 al 2010, farà conoscere l’archivio storico a sei capitali del mondo. A Berlino, Pechino, San Pietroburgo, Londra, New York e Miami l’opportunità di guardare da vicino il tesoro dell’azienda italiana.
Benedetta de Micheli
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Con mio padre compositore in via Berchet Poi nel caveau tra i segreti di Toscanini. Corriere della Sera 9 gennaio 2008. A volte mi rivedo ragazzo accompagnare mio padre Luciano, che era compositore, alla sede della Ricordi in via Berchet. Lui aveva sotto braccio l’ingombrante manoscritto della sua musica, note che amava comporre con la penna stilografica su fogli enormi. Mi affascinava questo passaggio dalla fantasia della mente alla penna fino alle bozze di stampa. Come per magia si materializzava qualcosa che prima non esisteva.
Più tardi sono diventato un appassionato frequentatore di biblioteche. E tale sono rimasto. Grazie all’assistenza di Lionello Semprini prima e di Cristiano Ostinelli e Gabriele Dotto oggi, ho passato tanti lunghi pomeriggi nel caveau di via Salomone alla ricerca di meravigliose partiture di musica sinfonica. Una volta trascorsi lì dentro un’intera settimana avendo la possibilità di consultare la prima edizione a stampa della «Fanciulla del West» con le correzioni di pugno fatte da Arturo Toscanini.
Sono centinaia, molte riguardavano le parti corali per renderle più efficaci nel vecchio Metropolitan di New York, così avaro di acustica; molte riguardavano invece la scrittura strumentale. Aveva il senso del teatro il grande direttore e Puccini accettò gli interventi toscaniniani. Certo che la versione originale della «Fanciulla», quella che non abbiamo mai ascoltato, era in alcuni passaggi più rarefatta, neoimpressionista, direi più moderna. Forse bisognerebbe riproporla, un giorno. Tornerò a consultare quei documenti, se potrò, io che ho la mania delle versioni originali.
Per un musicista il nome Ricordi rappresenta un punto di riferimento della musica stampata italiana. La casa editrice si distingueva per l’attenzione particolare nei confronti dei compositori, ma anche per il coraggio di cercare il nuovo e di rischiare. Chi rappresentò particolarmente questo atteggiamento fu Giulio Ricordi, un personaggio affascinante che aveva la volontà, la capacità, l’autorevolezza di relazionarsi, di interferire e a volte di scontrarsi con gli autori, siano stati anche Verdi o Puccini. Questione di passione? Non solo, anche questione di tempo. Il tempo di mettere radici, di far crescere un legame, di lasciare il segno. Invidio di quell’epoca la longevità dei rapporti, che oggi sono spesso consumati in pochi anni.
Un vero personaggio, Giulio Ricordi. Era anche compositore. Nel programma del concerto di venerdì alla Scala casa Ricordi ed io abbiamo voluto inserire una novità: l’Intermezzo de «La secchia rapita », un’opera da lui scritta nel 1910, due anni prima di morire. Come autore di musica, Ricordi si firmava con l’enigmatico pseudonimo Jules Burgmein.
Un vezzo o piuttosto un segno di pudore e di rispetto nei confronti dei grandi compositori che pubblicava? Non so, ad ogni modo non condivido lo pseudonimo: la sua musica ha dimostrato che Ricordi conosceva molto bene l’orchestrazione e aveva dunque l’autorità di poter dialogare con le personalità di spicco che lui pubblicava.
Ma la serata scaligera che suggella il bicentenario della storica casa renderà innanzitutto omaggio ai tre giganti della musica italiana coltivati da Ricordi. Si comincia con i ballabili dell’«Otello» di Verdi, quasi sempre eliminati nelle esecuzioni teatrali dell’opera, eppure tra le pagine sinfoniche più preziose del maestro di Busseto per la fantasia timbrica e la bellezza strumentale. Altrettanto affascinanti sono le Danze del «Guillaume Tell» di Rossini, altro momento del programma in un ideale dialogo tra la prima e l’ultima parte dell’Ottocento, tra la nascita della Ricordi con Giovanni e il suo apogeo con Giulio.
La conclusione della serata sarà dedicata a Giacomo Puccini, da me profondamente amato, con l’Atto III della «Turandot ». Dell’opera incompiuta del compositore non proporremo però l’abituale finale di Franco Alfano, ma quello scritto nel 2002 da Luciano Berio, (anche qui si tratta di un debutto scaligero) che io ebbi l’onore di dirigere per la prima assoluta alle Isole Canarie e poi ad Amsterdam in forma scenica. Berio compì un’operazione interessante nonché suggestiva: alternò il suo linguaggio contemporaneo a quello ricavato dai tanti schizzi lasciati da Puccini. Un lavoro di assemblaggio e di reinterpretazione che è una ricostruzione drammaturgica oltre che musicale.
C’è un bellissimo episodio dietro questa ipotesi di soluzione. A Viareggio, poco prima di morire, Puccini suonò al pianoforte per il giovane amico Salvatore Orlando il finale che avrebbe voluto per la «Turandot». Lo stesso Orlando poi lo raccontò all’allora giovanissimo musicologo Leonardo Pinzauti descrivendolo come «delicato, poetico, evanescente, in positivo e senza clangori, concludendosi in pianissimo».
Parole che Pinzauti riferì in seguito a Berio, il quale ha trasferito in musica questo desiderio che rispecchia in pieno la forza dell’amore trovato infine da Turandot, principessa di morte. Insomma, una staffetta orale nel corso del tempo. Che racchiude l’eternità della musica. Ma anche quella sua capacità di rinnovarsi, di guardare al futuro propria di Casa Ricordi.
RICCARDO CHAILLY
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Lettere, figurini, ossa rotte. Corriere della Sera 9 gennaio 2008. L’ ultima lotta è tra Puccini e uno scanner. La partitura autografa della «Fanciulla» è enorme, la scrittura musicale del maestro elegante e fantasiosa, le note sono ricche, le cancellature un tocco «artistico» di saliva. Ma la tecnologia ha le sue regole, questo piccolo capolavoro palpitante deve essere digitalizzato per garantirgli un’eternità di consultazioni online. Maria Pia Ferraris, direttrice dell’archivio Ricordi, non si perde d’animo. «Troveremo la soluzione – assicura rinfrancata dal suo piccolo esercito di aiutanti ”. Ormai tutto il materiale di Verdi e Puccini è stato computerizzato».
Siamo dentro l’Accademia di Brera, qui la biblioteca Braidense voluta da Maria Teresa è il simbolo dell’antica e gloriosa cultura milanese. Ma allo stesso piano, nell’ala che si affaccia sull’orto botanico, l’archivio Ricordi è l’altra miniera di una storia tutta italiana, quella legata alla musica e soprattutto al melodramma. Una storia che per l’intero Ottocento e per una parte del Novecento si è identificata con una famiglia diventata la dinastia delle edizioni musicali. I Ricordi furono come i re dei media odierni: editori, talent scout, impresari, pubblicitari. Passavano con disinvoltura dalla pubblicazione della musica della «Butterfly» (offrivano le arie in anteprima al pubblico, con un’astuta operazione di marketing, sul loro mensile, la «Gazzetta Musicale») a quella dei manifesti del circo Barnum o dell’Acqua Uliveto, pubblicità che portava peraltro la prestigiosa firma di un illustratore come Metlicovitz. «I Ricordi si distinguono dal naso grosso », diceva Giulio parlando di Giovanni, il fondatore della Casa. E non si trattava certo solo di una caratteristica fisiognomica. Agli inizi dell’Ottocento, nella Milano napoleonica che freme di spirito d’iniziativa, Giovanni ha già una copisteria. Il Bonaparte avrà portato in Francia le nostre opere d’arte ma ha anche aperto gli orizzonti d’Oltralpe. Ricordi sa che Lipsia è la patria delle tecniche di calcografia musicale, va a vedere i macchinari che permettono grandi tirature. E a imparare. Quando torna apre una tipografia. Nasce così nel 1808 (tra l’8 e il 16 gennaio, la data non è del tutto chiara) la Casa Musicale. Prima pubblicazione, «Le stagioni dell’anno» per chitarra di Antonio Nava, datata 18 gennaio. Nel 1814 Giovanni si garantisce un’esclusiva con la Scala per copiare tutti i materiali di canto e d’orchestra, nel ’25 acquista l’archivio musicale del teatro e si può presentare, tra l’altro, come «Editore delle Opere complete ed originali di Rossini». Fu lui ad accaparrarsi nel 1839 per 1600 lire la prima opera di Verdi, «Oberto conte di san Bonifacio» e l’anno successivo (1840) ad intraprendere la battaglia che avrebbe portato al diritto d’autore.
Maria Pia Ferraris sa che tra gli ordinati scaffali si nascondono ancora testimonianze sconosciute della creatività artistica alimentata dal proficuo rapporto dei compositori con questi imprenditori-mecenati. Era venuta qui dentro per la tesi di laurea su Adolf Hohenstein, il primo direttore artistico della casa, non è più andata via. «Abbiamo 15 mila lettere autografe di librettisti, musicisti, cantanti; 10 mila bozzetti e figurini, 9 mila libretti, 8 mila fotografie, 105 manifesti originali. E la radiografia di un osso rotto: quello della gamba che Puccini si fratturò nel 1903 in un incidente d’auto. Il compositore la mandò a Giulio Ricordi. E anche questo testimonia quanto fosse confidenziale il legame tra i due».
Dopo Tito, figlio di Giovanni, appassionato di musica non strettamente operistica (fondò a Milano la Società del Quartetto), Giulio Ricordi, un passato risorgimentale nella II guerra di indipendenza, fu il grande tessitore dei rapporti, l’uomo che rese internazionale la società con l’apertura delle sedi di Parigi e New York, dopo quella di Londra. Tutto ordinatamente documentato. Custodiva una rubrica in cui era segnato ciò che era andato in scena alla Scala sin dalla sua apertura nel 1778. Alle prime dei suoi spettacoli usava mettere le notazioni sui libretti: minuti di applausi e numero di chiamate. Non lo fece solo con «Butterfly» perché alla Scala fu un fiasco. I libri mastri, i copialettera, riportano, anno per anno, in carta velina le risposte alle missive degli artisti e i pagamenti. Per «Otello» nel 1887 il contratto di Verdi prevede 200 mila lire, più il 40% dei noli e il 50% sulle vendite oltre alla cessione dei diritti per Francia e Belgio. «Verdi era precisissimo e guardingo: pretendeva clausole con fortissime penali, 100 mila lire, se non si fossero rispettati i tempi dei pagamenti». Ma Ricordi sapeva come far fruttare la star. In una celebre foto appare col maestro di Busseto e la sua famiglia durante una visita all’anziano compositore nella casa di campagna di Sant’Agata. Le immagini scattate in quella gita sarebbero poi state trasformate da Metlicovitz in acquarelli per cartoline, una linea di merchandising che stava prendendo piede.
«Giulio chiamava Verdi il padrone dell’azienda e sapeva di essere definito il tiranno di via degli Omenoni. Un tiranno alla mano, però. Che magari chiedeva ai musicisti diretti a Parigi di andare a dare una controllatina alla vetrina del negozio. E amato dai dipendenti (per loro fondò una società di mutuo soccorso) che nel momento di maggior attività furono 300. Il discorso del 1908 per il centenario della casa, era tutto dedicato a loro: alcuni erano lì da 52 anni». Le tavole con i figurini e le piante sceniche sono un piccolo tesoro in sé. Per i costumi del «Trillo del Diavolo» di Falchi, Alfredo Edel alterna disegno a raffinati pezzi di stoffa vera; Ludovico Pogliaghi fa risaltare i gioielli dello sfarzoso «Nerone» di Boito con matita e biacca. Ma la collezione più preziosa è quella delle 42 tavole di Filippo Brunelleschi per la «Turandot». Costumi straordinari che non si riuscì però a realizzare in tempo per la prima scaligera.
La sala delle partiture autografe è un sacrario della musica italiana: si va dai «Puritani » di Bellini al «Prometeo» di Nono. Con un certo timore reverenziale, la Ferraris sfoglia le pagine di «Otello», le più gettonate da esperti e visitatori insieme con quelle della Bohème. «Subito al principio all’attacco delle trombe dovrebbe comparire un gruppo di Schiave Turche che ballano svogliatamente e di mal umore perché schiave », annota il maestro accanto al pentagramma delle Danze, composte per la versione parigina. E quelle parole sono già come aprire il sipario.
Il negozio La prima succursale aperta a Napoli nel 1864. Di lì a poco toccò a Firenze, Roma, Londra, Palermo e Parigi
Alessandro Cannavò