La Repubblica 09/01/2008, ETTORE LIVINI, 9 gennaio 2008
Aiuto non c’è più spazio nei cieli. La Repubblica 9 gennaio 2008. Troppi passeggeri e troppi voli da una parte, aeroporti troppo piccoli e troppo vecchi dall´altra
Aiuto non c’è più spazio nei cieli. La Repubblica 9 gennaio 2008. Troppi passeggeri e troppi voli da una parte, aeroporti troppo piccoli e troppo vecchi dall´altra. I cieli del mondo sono sempre più stretti. E rischiano di andare incontro nei prossimi anni a un ingorgo colossale. Il motivo è semplice: il traffico cresce a ritmi inattesi (+8% quello internazionale nel 2007), le compagnie potenziano l´offerta. Ma le infrastrutture a terra – messe alle corde anche dal giro di vite sulla sicurezza – faticano a tenere il passo con il boom. In qualche caso, come a Londra, mancano le piste e gli "slot" per atterraggi e decolli. Altrove – come a Fiumicino – è al limite (o oltre) il sistema di gestione bagagli. Problemi diversi, ma un unico risultato: il graduale peggioramento dei servizi a livello globale. Aumentano i ritardi (negli Usa il 26,8% dei voli parte almeno 15 minuti dopo l´orario previsto, un record negativo), cresce il numero delle valigie smarrite (+22% in Europa nel primo semestre 2007). E il peggio, dicono gli esperti, deve ancora arrivare: nel 2010 – secondo l´allarme lanciato dal Parlamento europeo – sei dei maggiori scali del Vecchio continente (tra cui Londra, Francoforte ed Amsterdam) saranno "saturi", mentre altri 20 saranno vicini al punto di crisi. E se il traffico continuerà a crescere ai tassi attuali (si arriverà a un +250% in 20 anni), nel 2025 ci saranno 20 aeroporti Ue costretti ad appendere il cartello "tutto esaurito" e 60 che faticheranno a tenere il passo con la domanda. Tanto che Bruxelles ha deciso di elaborare entro il 2009 un "Master plan" di interventi urgenti per disinnescare il rischio di una paralisi. I costi economici, sociali e ambientali di questa emergenza sono però già oggi elevatissimi. Le compagnie europee, secondo le stime della Iata, perdono due miliardi l´anno proprio per gli inconvenienti legati all´intasamento degli aeroporti. Un aereo fermo in pista in attesa del decollo per più di una ventina di minuti («al Jfk di New York mi è capitato di stare in coda come al casello di un´autostrada per quasi due ore», racconta un pilota Alitalia) consuma 200 kg. di kerosene in più. L´ormai rituale cerimonia dell´"holding pattern" sopra i cieli di Heathrow («spesso voliamo in circolo fino a 40 minuti prima di avere l´ok all´atterraggio a Londra») brucia una dose extra di quasi mille litri di carburante. L´effetto-ingorgo è pesante anche per gli Usa dove sotto Natale si sono moltiplicati gli allarmi per le collisioni sfiorate: la Federal Aviation Administration, l´organo di controllo dei cieli a stelle e strisce, stima un buco di 22 miliardi di dollari l´anno per l´economia del paese innescato da questi disservizi. «La congestione è un problema serio che rischia solo di peggiorare – conferma Giovanni Bisignani, numero uno della Iata, l´associazione delle compagnie mondiali ”. Gli aeroporti europei nel 2011 avranno 150 milioni di passeggeri in più. Ma i governi stanno rinviando decisioni vitali per potenziarli. Bisogna invece agire subito e coinvolgere nel processo anche i vettori internazionali». Anche perché il boom dei nuovi mercati come Cina e India sta moltiplicando i pretendenti a un posto nei cieli. «All´Europa servono almeno 25 nuovi scali entro il 2025 – dice Eurocontrol, il "grande vecchio" che gestisce il traffico aereo continentale – dieci grandi hub e 15 aeroporti medio piccoli. Solo così si riuscirà a evitare il collasso del sistema». Il problema, tecnicamente parlando, è semplice. Aumentare l´offerta di posti sugli aerei è relativamente semplice. L´unico limite è la disponibilità di mezzi (oggi tra l´altro piuttosto scarsa). Potenziare le infrastrutture di terra, invece, è molto più complicato. Per costruire un aeroporto servono molti soldi e molto tempo, dai 10 ai 20 anni. E i padroni di questi beni – spesso enti pubblici alle prese con problemi di bilancio – tendono a privilegiare la parsimonia alla lungimiranza. Così oggi in Europa i progetti di potenziamento sono pochi e si contano sulle dita delle mani. Heathrow, lo scalo più "intasato" del continente, è stato costretto a mettersi al lavoro. Disegnato per 45 milioni di passeggeri, ne gestisce oggi 68 milioni e ha il poco onorevole record europeo dei bagagli smarriti (la British Airways viaggia sui 30 per mille passeggeri, quasi il doppio della media) e dei ritardi. Situazione che potrebbe cambiare da marzo quando il varo del Terminal 5 (6 miliardi di euro d´investimento) consentirà di smaltire 30 milioni di passeggeri in più. Le alternative alla costruzione di nuovi aeroporti e nuove piste sono solo due: il potenziamento degli scali regionali (fattore che rilancia le quotazioni di Malpensa) e una regolamentazione più rigida dello status quo. George Bush ha scelto questa strada. I ritardi nei cieli americani sono ormai un problema cronico. Tanto che in piena bufera subprime – con Wall Street e l´economia a stelle e strisce sotto pressione – la Casa Bianca ha trovato il tempo per una riunione d´emergenza destinata al riordino degli aeroporti Usa. In particolare sono stati fissati "tetti" al numero di atterraggi e decolli in quelli più congestionati: New York Jfk, Newark, Los Angeles e Chicago. In alcuni casi (come in agosto al Kennedy) si era arrivati al paradosso di prevedere nelle ore di punta del primo mattino più partenze (67 all´ora) rispetto al limite di 44 imposto dalle autorità. L´Europa sta lavorando invece a una semplificazione dei suoi sistemi di controllo, che faticano ancora a parlarsi tra di loro, aggiungendo caos al caos. «Risolvere questo problema creando davvero un unico spazio aereo continentale sarebbe fondamentale», dice Francesco D´Arrigo, analista del Ceas e comandante Alitalia anche perché – come spiega Bisignani – «solo con questo provvedimento si taglierebbe di 12 milioni di tonnellate l´emissione di CO2 nei cieli europei». E l´Italia? Il problema dalle nostre parti si chiama Fiumicino. Il nodo non sono gli spazi aerei e le piste. In questo senso lo scalo romano – come la Malpensa – ha ancora tanto spazio per crescere e ha qualche difficoltà solo negli orari di punta (alle 9 di mattino e alla stessa ora di sera) quando gli aerei in avvicinamento, per evitare un eccesso di traffico, rallentano a 230 nodi la loro velocità già all´altezza di Pisa. Il collo di bottiglia sono invece i servizi a terra. In particolare quello di smistamento bagagli che ha trasformato la scorsa estate le vacanze di migliaia di italiani in un calvario. «Alitalia si scusa con i passeggeri per i disagi dovuti alla congestione dell´operatività che da tempo sta caratterizzando l´Aeroporto Leonardo da Vinci», recita un esplicito comunicato stampa della compagnia di bandiera del 3 luglio 2007. La colpa è di una privatizzazione pagata dagli acquirenti (Romiti-Falck-Sensi) con i soldi delle banche e finanziata scaricando i debiti sulle spalle di Adr. Gli investimenti promessi sono così rimasti al palo e adesso Fiumicino – che ha cambiato proprietario – sconta questa pesantissima eredità, con una situazione che rischia di aggravarsi con il trasferimento dei voli intercontinentali Alitalia da Roma alla capitale in occasione della vendita ad Air France. «Proprio oggi avrò una riunione con le compagnie e Adr per affrontare la situazione – dice Vito Riggio, presidente dell´Enac – Noi abbiamo fattto le nostre proposte per risolvere il problema in attesa nel nuovo sistema per lo smistamento bagagli che arriverà solo tra due anni. Ora chiederò impegni precisi. E se non mi convincono siamo pronti a tagliare la capacità per evitare disagi ai viaggiatori». ETTORE LIVINI