La Repubblica 09/01/2008, RODOLFO DI GIAMMARCO, 9 gennaio 2008
Carlo Giuffrè. La Repubblica 9 gennaio 2008. ROMA. una quercia teatrale sanissima, è entrato sfoggiando una stazza gagliarda nei suoi 80 anni, ha all´attivo sei decenni di professione che gli sono valsi un Premio Speciale alla Carriera consegnatogli giorni fa dal ministro Rutelli al Quirino dove ogni sera spopola con Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, e gli è stato annunciato che venerdì riceverà la visita in platea del presidente Napolitano
Carlo Giuffrè. La Repubblica 9 gennaio 2008. ROMA. una quercia teatrale sanissima, è entrato sfoggiando una stazza gagliarda nei suoi 80 anni, ha all´attivo sei decenni di professione che gli sono valsi un Premio Speciale alla Carriera consegnatogli giorni fa dal ministro Rutelli al Quirino dove ogni sera spopola con Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, e gli è stato annunciato che venerdì riceverà la visita in platea del presidente Napolitano. Carlo Giuffrè è un primattore della scena consultabile come un´enciclopedia, approdato a uno dei testi più emblematici di Eduardo dove si prefigura il potere, a Napoli, di chi impartisce la giustizia al di fuori della giustizia ufficiale. Giuffrè, lei è alle prese ancora oggi con l´artista che lo svezzò... «Proprio così. Eduardo nel dicembre del ”48 cercava uno che sapesse parlare bene italiano per fare, dietro le quinte, lo speaker radiofonico nel suo La paura numero uno. Io ero ventenne, ero in Accademia, mi scritturò, e la mia prima battuta era da giornale-radio, "A proposito di una possibile invasione dell´Europa occidentale, il ministro ha detto, eccetera eccetera". Facevo anche la comparsa condominiale. Subito dopo, per sostituire un interprete ammalato, fui promosso a Portiere ne Le voci di dentro». C´è qualche insegnamento indimenticabile dell´Eduardo regista? «In prova esclamò: "Levate quelle palette ”e miezzo" per farmi contenere le mani, per non farmi sbracciare. E un´altra volta mi redarguì: "State recitando, che state facendo?" perché voleva che vivessi e non fingessi la parte. Insegnamenti pacati, essenziali». Lei ha lavorato poi anche con Marta Abba, Anna Magnani, con la Compagnia dei Giovani, per Visconti... «A oltre 50 anni, la Abba era affascinantissima, e ne La nuova colonia di Pirandello con regia di Vittorio Viviani, aveva carisma, ma parlava poco. La Magnani era meravigliosa, e mentre facevamo la rivista Chi è di scena era capace di ridere per mezzora e piangere per un´ora, ma si sfogava anche animando cene piene di gente vitale. Con Valli, la Falk e i Giovani ho trascorso otto memorabili stagioni di spettacoli, un tirocinio classico, etico ed estetico, e De Lullo mi insegnò un mistero del teatro, il parlare sottovoce e farsi sentire dall´ultima fila della platea. Poi un giorno impallidì quando gli chiesi di arrivare in ritardo alle prove per girare un Carosello, che non feci più. Visconti mi diresse nel ”70 nell´Egmont di Goethe, e con la sua ironia bella e robusta quando mi vide fare una passeggiata lungo tutto il proscenio mi rimproverò: "Carlo, non siamo a via dei Mille a Napoli!"». Non c´è genere di teatro che lei non abbia fatto. Per necessità o per versatilità? «Un po´ per vocazione e un po´ per destino, direi. Non mi sono fatto mancare Cechov, Ibsen e Shakespeare, ho avuto la fortuna di prendere parte a Metti una sera a cena di Patroni Griffi, e nella maturità ho cominciato a ridire battute di Eduardo da quando un anno prima che morisse, nell´83, mi concesse La fortuna con la effe maiuscola scritta assieme a Curcio. Col tempo, adottando i Petito e gli Scarpetta, ho scoperto che il pubblico s´appassiona per testi dove figurano le Concette e gli Sciosciammocca. E sono grato agli sceneggiati d´un tempo, quando nel ”55 andavamo in onda dal vivo, mentre adesso la tv rema contro». Nel Sindaco del rione Sanità lei mostra ancora una gran prestanza fisica... «Guardi, qui il discorso si fa contraddittorio. vero che anche la Falk m´ha detto sere fa in camerino: "Ma quanto sei fico!", ma questo benessere, ci crede?, m´ha persino dato più volte fastidio. Nel senso che quando ero giovanotto l´ho cominciato a vedere come un aspetto convenzionale, e speravo di soffrire, di avere un corpo più complicato. Ma forse tutto parte da una reazione alla miseria di quando ero bambino... ». Che successe? «Io ho vissuto in un collegio per orfani dagli 8 ai 14 anni. Entrai in collegio nel ”36, quando morì mio padre che era contrabbassista al San Carlo di Napoli, e di colpo noi ci ritrovammo a essere quattro figli poveri. Non avevo neanche le scarpe, e me la cavavo con gli zoccoli, andavo a mangiare dagli zii. Ma ebbi un forte spirito di sopravvivenza. E lì accettai qualsiasi cosa: suonavo la tromba, feci teatro con un atto unico di Marchesi e Metz, coi personaggi di Timiducci (ero io) e Franconi». Lei ha anche all´attivo un bel sodalizio con suo fratello Aldo... «Come no. Un bravissimo attore. Facemmo compagnia per una dozzina d´anni, dal ”72, e poi tornammo insieme negli anni ”90. Ho fatto davvero il comico dell´arte solo con lui. In scena ci lanciavamo in un argomento e inventavamo a non finire squarci e lazzi. Anche adesso le commedie serie o comiche "mi attraversano", le modernizzo, le cambio. Il prossimo anno replico questo Eduardo, magari in città del nord, in Emilia Romagna dove vorrei mettere piede. Prima dicevo che finché avrò le forze farò teatro, adesso dico che finché farò teatro avrò le forze». RODOLFO DI GIAMMARCO