La Repubblica 09/01/2008, MASSIMO LIVI BACCI, 9 gennaio 2008
QUELLA PEPITA GRANDE COME UN MAIALINO
La Repubblica 9 gennaio 2008. Anticipiamo parte del primo capitolo di "Eldorado nel pantano" (il Mulino, pagg. 180, euro 14), il saggio di che ricostruisce il mito dell´Eldorado nel ´500 dei conquistatori.
Nel 1501, sui monti del Cibao, non lontano da Santo Domingo, un´india al servizio di un cercatore spagnolo di nome Miguel Diaz fece una scoperta davvero notevole. Nelle vicinanze del fiume Hayna, dove setacciava l´oro, trovò una pepita di enormi dimensioni («come un gran pane di Alcalá») che pesava 3.600 pesos (circa 16 chilogrammi), di cui appena 300 (secondo minatori esperti) composti da pietrisco. La pepita venne portata in città e pesata, fu esposta all´ammirazione dei coloni – la vide Las Casas («io la vidi, e bene») – e venne conservata per mostrarla in Spagna al re e alla regina. A Miguel Diaz e al suo socio Francisco de Garay venne pagato l´equivalente in oro, detratto il «quinto» spettante alla Corona. Gonzalo Fernández de Oviedo narra che quando l´india portò ai suoi padroni la pepita «questi, tutti allegri, decisero di cenare e di mangiarsi un maiale da latte bello e grasso, e disse uno di questi: " da molto tempo che avevo la speranza di poter mangiare in piatti d´oro, e poiché con questa pepita se ne possono fare parecchi, voglio mangiare sulla pepita". E così fecero, e su quel ricco piatto si mangiarono il maialino, e ci stava tutto il maialino su quella pepita, perché era così grande come ho detto».
La cena fu allegra e succulenta, ma la pepita fece una brutta fine. Era l´inizio di luglio del 1502 quando venne imbarcata sulla flotta che riportava il governatore Francisco de Bobadilla in Spagna – 30 navi con circa 600 persone, nonché 200 mila pesos di oro e altri preziosi – che incontrò un fortunale a dieci leghe dalla costa. Solo 7 o 8 navi scamparono e fecero ritorno in Spagna; Bobadilla, 500 persone e tutto l´oro scomparvero nei flutti. Si noterà che Bobadilla era il governatore che, due anni prima, era giunto a Hispaniola, e aveva arrestato Colombo e i suoi fratelli, Bartolomé e Diego, accusati di malgoverno, rimandandoli in Spagna in ceppi. Perdonato e assolto dai reali, ma con il divieto di ritornare sull´isola, Colombo era ripartito per il suo quarto viaggio ed era riparato nella baia di Puerto Hermoso il 29 giugno, in attesa che il tempo minaccioso migliorasse per riprendere la navigazione. Las Casas riferisce che avesse consigliato al governatore di non far salpare la flotta, presago dei rischi. Ma non fu ascoltato. Questo però non c´entra con la nostra storia.
L´episodio della pepita suggerisce che l´ansia della ricerca dell´oro («la mortifera fame dell´oro», come la definì Pietro Martire cronista della Conquista) fosse sostenuta da episodi effettivamente straordinari che, amplificati e diffusi, alimentavano la leggenda e fomentavano la febbre del prezioso minerale. Molti dei 2.500 componenti la spedizione di Ovando, il governatore dell´isola che sostituì Bobadilla nel 1502, divennero cercatori improvvisati, avventurandosi in zone impervie, senza adeguate attrezzature, scorte di cibo e conoscenze di base. Molti – e tra questi non mancavano persone di rango ignare del lavoro manuale – fecero una misera fine. Nell´isola, dove fino a un terzo degli indigeni adulti veniva impiegato nella ricerca dell´oro (scavando nei depositi fluviali, setacciando, lavando), venne effettivamente trovato molto oro, e dalle fusioni autorizzate ne partivano alla volta di Siviglia più di sei quintali all´anno nella prima decade del secolo, ma se ne scavava sicuramente molto di più. Con l´esaurimento dei giacimenti e il rapido assottigliarsi della popolazione indigena, l´oro mandato in Spagna divenne un rivolo e infine cessò. Così avvenne a Cuba e Portorico e, più tardi, nella «Castilla del Oro» (la costa caraibica degli attuali Costarica e Panamá).
però negli anni 1530-1540 che il mito dell´oro, mai tramontato, raggiunse il suo zenit. L´orrendo ricatto di Pizarro – oro e argento in cambio della vita e della libertà di Atahuallpa, prigioniero degli spagnoli a Cajamarca – accese la fantasia dei conquistatori. Promise il disgraziato Atahuallpa (sono le parole di Francisco de Xeres, che per incarico di Pizarro scrisse e firmò la relazione nel luglio del 1533) «che avrebbe riempito d´oro una sala di soggiorno, dove il governatore [Pizarro] sostava durante il giorno, che era lunga 22 piedi e larga 17, fino a una striscia bianca di calce a metà altezza della sala, alta dal suolo un estado e mezzo (2,35 metri) [...] e che avrebbe riempito d´argento uno spazio doppio, e che avrebbe compiuto la promessa in due mesi». Per settimane gli indios affluirono a Cajamarca «in fila indiana», portando a spalla gli oggetti preziosi d´oro e d´argento per riempire la sala destinata a raccogliere il riscatto fino all´altezza del braccio alzato di un uomo.
Oggetti votivi, vasellame, piatti, bacili prelevati da templi, sepolcri e palazzi; provenivano da varie parti dell´impero, perfino dal Cuzco, che distava 200 leghe (più di 1.000 chilometri). Al Cuzco furono spediti tre spagnoli, con accompagnatori locali, per accelerare la consegna del riscatto, che incluse 700 lastre d´oro strappate a un tempio. Giorno dopo giorno, per due mesi, gli oggetti si accumularono sotto gli occhi meravigliati e avidi degli spagnoli, fino al compimento della promessa di Atahuallpa e al tradimento di quella di Pizarro. «Di tutto questo oro, la maggior parte era costituita da assi come quelle dei cassoni di legno, di tre o quattro palmi di lunghezza e di un palmo o più di larghezza, e le avevano strappate dalle pareti dei templi, ed erano bucate per essere state inchiodate alle pareti».
A partire dal 13 maggio 1533 un esercito di artigiani e operai indios si affannò attorno a nove fornaci per l´opera di fusione; il metallo fuso in barre venne pesato, marcato, e ripartito; l´opera venne conclusa il 25 luglio. Si conteggiarono in totale 1.326.539 pesos di «buon oro» (quasi 6 tonnellate) e 26 mila libbre d´argento (circa 12 tonnellate). Oviedo pensa che una buona parte dell´oro del riscatto sia stata sottratta alla fusione; comunque sia, si trattava di una quantità enorme. Detratto il compenso per il fonditore, fu conteggiato il «quinto» reale che, assieme a oggetti di gran pregio e bella fattura sottratti alla fusione per il re, fu inviato in Spagna sotto la guida di Hernando Pizarro, fratello di Francisco, che a corte ricevette onori, privilegi e ricompense.
La nave Santa Maria del Campo approdò a Siviglia il 9 gennaio 1534 con 463 mila pesos in barre, senza contare, per Sua maestà, 38 vasi d´oro e 48 d´argento e un´aquila d´argento il cui corpo poteva contenere due cántaros d´acqua, e due pentole grandi, una d´oro e una d´argento, così capienti che in ciascuna poteva starci una vacca tagliata a pezzi; e due sacchi d´oro, ciascuno dei quali poteva contenere due fanegas di grano; e un idolo d´oro delle dimensioni di un bimbo di quattro anni [...]. Questo carico fu sbarcato al molo e portato alla Casa de Contratación, il vasellame a spalla e il restante in 27 casse, che un par di buoi ne trasportavano due in una carretta.
Tornando al riscatto, una piccola parte venne riservata ad Almagro e ai suoi duecento compagni, giunti quando oramai Pizarro e i suoi avevano già compiuto l´opera; un´altra parte fu riservata agli ottanta compagni di Pizarro lasciati di guarnigione a San Miguel; oro ne ebbero anche marinai e mercanti che erano sopraggiunti a Cajamarca. Il resto – cioè la maggior parte della fusione – venne diviso tra i compagni di Pizarro, come risultò da documenti debitamente compilati e firmati. (...)
L´oro non era dunque una favola: tutti l´avevano visto e ricevuto; i templi ne erano ricoperti; le case di principi e signori ne erano piene; il paese era sterminato, popoloso e sconosciuto e le possibilità di arricchirsi erano concrete per chi avesse voluto e potuto affrontare i rischi. Nel 1535 l´oro non era un mito ma una realtà, un argomento privilegiato di cui si discuteva a corte, nelle case, nelle taverne, negli accampamenti durante i lunghi trasferimenti, sulla coperta delle navi.
MASSIMO LIVI BACCI