La Repubblica 08/01/2008, EZIO MAURO, 8 gennaio 2008
Così lo Stato si arrende all´immondizia. La Repubblica 8 gennaio 2008. NAPOLI. Il giorno in cui lo Stato sembrò arrendersi, era un sabato qualunque
Così lo Stato si arrende all´immondizia. La Repubblica 8 gennaio 2008. NAPOLI. Il giorno in cui lo Stato sembrò arrendersi, era un sabato qualunque. Ventinove dicembre 2007, Capodanno alle porte e una gran paura che i botti (venti tonnellate scoperte a San Giuseppe Vesuviano, una famiglia arrestata a Massa di Somma mentre acquistava cento chili tondi di razzi, tre quintali di petardi proibiti sequestrati al bidello della scuola materna di Afragola, che li teneva nascosti nella caldaia) incendino i rifiuti, bruciando la plastica e liberando diossina. Per il resto, un giorno normale: temperatura media 12,1, cielo sereno, vento debole da Nordovest. All´inizio di via della Montagna Spaccata, in sette lanciano le corde attorno al primo lampione stradale, poi lo piegano, lo curvano saltandoci sopra e lo abbassano fino ad attraversare la strada, bloccandola. Attorno massi di cemento, il sedile di un divano, cassette di legno. Quel lampione abbattuto e sospeso è come un passaggio a livello che separa la città che produce rifiuti dalla città che deve ospitarli. Perché quella strada che spacca la montagna, attraverso tre curve, tre rotonde e una discesa al buio porta direttamente al Mostro: la discarica di Pianura che per 42 anni ha ingoiato l´immondizia di tutti, Napoli, la Campania, pezzi d´Italia e d´Europa, gonfiandosi di colline marce d´erba falsa e ingannevole, di alberi malati, di odori e vapori. Poi ha chiuso, giurando che era per sempre, nel 1996, promettendo al posto dell´immondizia un campo da golf a 18 buche, con una passeggiata aperta a tutti. Adesso, all´improvviso, Pianura riapre e il fantasma ritorna, perché Napoli non sa più dove mettere i suoi rifiuti, abbandonati come una minaccia e una resa a ogni angolo di strada. Può soltanto sotterrarli, dove l´ha sempre fatto dai tempi di Lauro in poi. Tutta la Campania geme sotto il peso di centomila tonnellate di rifiuti, e Napoli da sola (otto per cento del territorio regionale, 40 per cento della popolazione) ne produce 1500 al giorno. sempre così, ma adesso sembra di vederle tutte. Hanno provato a ripulire il centro per i giorni di festa, ma non ci sono riusciti. Dovunque c´è un cassonetto, sembra funzionare soltanto come un richiamo e come un segnalatore d´emergenza. Sta con la porta in alto spalancata, traboccando, e tutt´attorno è un lago bianco, azzurro, marrone, nero di sacchi, sacchetti, pacchi, cartoni, bottiglie, bicchieri colorati di plastica. Anche davanti all´ingresso del palazzo della giunta regionale, a Santa Lucia, dove i sacchi si allargano per strada. Anche in via Toledo, la strada dello shopping, proprio all´incrocio con Santa Brigida e poi davanti al Disney store, tappa natalizia: cumuli di rifiuti alti fino a due metri, larghi dieci, con fornelli arrugginiti, stufe rotte, ventilatori fuori stagione coricati tra gli imballaggi. Al Vomero in via Caldieri e via Martini si arriva fino al primo piano delle case. A piazza Trieste e Trento, a due passi dal Plebiscito, i sacchi oscurano le vetrine, coprono i saldi. In via Scarfoglio, dove c´è il comando Nato del Sud Europa, si è formato un lago di liquame e pioggia, perché i tombini sono intasati dall´immondizia che esce dai sacchi neri accatastati dovunque. Eppure il sangue di San Gennaro si era sciolto, poco prima delle feste, dunque nulla lasciava intravvedere questa emergenza, nelle strade e nelle piazze che il cardinale Crescenzio Sepe si chinò a baciare quando entrò per la prima volta da arcivescovo di Napoli nella paura di Scampia. Cos´è successo? Semplice, dice il senatore Roberto Barbieri, presidente della commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite che si tira dietro: è successo che in cinquant´anni Napoli non ha saputo inventare altro che i buchi delle discariche - quelle legittime e quelle illegali gestite dalla camorra - per nascondere i suoi rifiuti seppellendoli, e adesso sono finiti i buchi. Dunque dai sette impianti Cdr, combustibili da rifiuti, che accumulano le ecoballe (e già sarebbero fuori norma perché non sono frutto di uno smaltimento differenziato, come vogliono le procedure, e dunque non sono bruciabili perché si brucerebbe di tutto) non sanno più dove portarle. I termovalorizzatori, dove finiscono le ecoballe in tutto il mondo, qui in Campania non esistono. I depositi sono pieni, gonfi di immondizia "talquale" pressata per un esito finale che non ci sarà. C´è soltanto il buco, ma i buchi sono ormai saturi e per di più circondati e piantonati dalle paure e dalle diffidenze dei cittadini. Dietro i sacchi dei rifiuti sparsi in ogni angolo, c´è dunque l´immondizia condensata inutilmente in sei milioni di ecoballe, simbolo gigantesco di un Paese che segue le procedure a metà, avvia un processo sapendo che non arriverà mai in porto, mima una regola che non è capace di seguire e finge una normalità che non esiste. Ma c´è forse qualcosa di più, che conferma quel "magma sociale" che a giugno un´inchiesta di Giuseppe D´Avanzo definì "vittima e carnefice" della falsa emergenza rifiuti, un´emergenza che dopo 14 anni, 780 milioni di euro ingoiati all´anno, un bilancio fallimentare di 15 mila miliardi di lire in dieci anni, è purtroppo normalità quotidiana. Ma il prefetto Alessandro Pansa aggiunge ancora un dubbio. La verità, spiega, è che a ottobre Napoli era uscita dalla crisi dell´immondizia, stava per tirar fuori la testa, poteva farcela. E la cosa non è piaciuta per niente a troppa gente: ai sindaci dei Comuni che incassano la Tarsu (la tassa sui rifiuti) e non la versano al commissariato, che vanta 250 milioni di crediti solo dalle amministrazioni municipali, ma deve farsi dare i soldi dallo Stato, perché i comuni non pagano. La fine dell´emergenza non piace, secondo il prefetto, nemmeno a tutti coloro che non vogliono la trasparenza, non vogliono la gestione pubblica, perché si sottrarrebbe al mercato di smaltimento più caro d´Italia quella quota enorme che viaggia in nero e finisce nelle casse della camorra o dei suoi consanguinei. Infine, non piace nemmeno ai politici, perché la trasparenza dei problemi, delle scelte e delle responsabilità - invece della politica dei buchi - crea impopolarità. E allora, spiega Pansa, meglio ingigantire le paure vere e inventarne altre finte, così se muore una pecora ad Acerra si urla contro il termovalorizzatore, dimenticando che in tutta la Campania non ce n´è nemmeno uno in funzione. Ma la paura è una brutta bestia, e Napoli deve farci i conti. Basta risalire via della Montagna Spaccata per vederla in faccia ai ragazzi, alle madri che portano ai blocchi stradali i bambini in carrozzella per evitare le cariche di polizia, ai vecchi che al tramonto attraversano la strada con due sacchi chiusi di immondizia in mano dirigendosi verso i cassonetti, come se la situazione fosse normale. Come se fosse la strada che porta all´inferno, e non solo alla discarica, i ribelli hanno bloccato tutto, gli accessi, le uscite e soprattutto la raccolta dei rifiuti. Ci sono quattro posti di blocco, incarogniti e nervosi, dopo quel lampione abbattuto per fermare il traffico. Alla prima curva, i rifiuti sono accatastati in massa sul lato destro della strada, contro i cancelli delle case. Un muro di rifiuti, come non avevo mai visto, e che spiega i 25 topi per abitante di questa città, contro i 4 della media nazionale. Sacchetti con tutte le marche dei supermercati, pacchi di pompelmi tagliati a metà e spremuti al caffè Moreno, bottiglie di aranciata a metà, una lavatrice, cartoni di ogni genere, file di lampadine fulminate a Natale su qualche albero, addobbi natalizi spiegazzati e curvati nei sacchi. All´altezza del Circolo Caritas, un prefabbricato dove ci sono state le primarie dell´Ulivo e dove adesso quattro uomini anziani e due donne giocano a carte, i cassonetti sono rovesciati come ovunque su questa strada, per far barriera ma anche per significare che i rifiuti devono pesare sulla città, debordare per strada, occupare Napoli, sporcarla e in qualche modo imprigionarla. A ogni rotonda, la folla di ribelli aumenta. I capi, pochi, fermano le auto di abitanti del quartiere che hanno il permesso di muoversi dentro il recinto chiuso, gesticolano, spiegano e quando è il caso urlano. Gli altri guardano, fumano, stanno chiusi nei loro giubbotti, partecipano in piedi sui muretti. Ci dev´essere un´organizzazione, perché qualcuno davanti al supermercato Despar è andato in qualche cantiere a prendere una decine di barriere d´acciaio e le ha disposte come una rete notturna attraverso la strada, spaccando i blocchi di cemento usati per la base, e trasformandoli in sassi pesanti. Cinquecento metri più avanti, lo spartitraffico è stato spezzato e girato da qualche gru, e ora occupa la strada come una barriera invalicabile. Più in alto ancora, superato l´ultimo rondò, c´è uno sbarramento finale fatto di pneumatici di camion, più un materasso e la carcassa di una Smart. A qualche segnale, i rifiuti bruciano, una fila intera, si anneriscono i segnali stradali delle scuole e dei pedoni, la plastica si attorciglia, resta nell´aria l´odore che dura giorni interi. Oltre le barriere, dentro la rete d´acciaio s´infilano soltanto i ragazzi in scooter col berretto e la sciarpa, quelli che hanno riempito i muri delle case di scritte da ultras, e che adesso passano su e giù, guardano, controllano, sfiorano e accompagnano, portando ordini, allarmi, messaggi, voci. Alle sette, i blindati della polizia e le camionette col vetro protetto dalla rete mettono in moto, lasciano il parcheggio sotto una stella cometa dorata che non era stata ancora spenta, e se ne vanno in colonna. La notizia corre e risale via della Montagna Spaccata, va oltre l´ultimo sbarramento, scende nella strada al buio e arriva al presidio davanti all´ingresso della discarica. Abbiamo vinto, dicono quattro ragazze trionfanti, Prodi ha capito che avevamo ragione e i poliziotti se ne vanno. C´è quasi una festa notturna davanti alla discarica, i ragazzi si aggrappano alle reti, salgono sui cancelli, vogliono vedere. Ma i vecchi continuano a spostare i sacchi dei rifiuti, come un´autoprotezione, un esorcismo, una garanzia, come se solo l´immondizia potesse proteggerli. Quando alle nove il sindaco e il governatore Bassolino finiscono la riunione in prefettura, e tra mille cautele dicono che Pianura deve riaprire, certo insieme a tutte le altre discariche della Campania, ma deve riaprire, scatta la delusione, la rabbia, la furia. Un autobus viene trascinato fino alla rotonda Russolillo, messo di traverso come un trofeo, bruciato, un camion paralizza gli accessi in via Sartania. O la discarica di Pianura riapre, o è finita, dice Bassolino prima di partire per Roma: mi piange il cuore perché l´ho chiusa io, ma non c´è altro modo, in attesa di quel maledetto termovalorizzatore che arriverà tra un anno. Doveva arrivare nel 2007, poi nel 2008, conta a voce alta il sindaco Iervolino, adesso dicono nel 2009. Speriamo che non sia il 2025. E le responsabilità, per favore, se le prenda chi le ha, e anche chi ha i poteri: è il commissario, non siamo noi. Bassolino ammette che ha pensato di dimettersi, di mandare tutto al diavolo, di finire questa rincorsa infinita all´immondizia che dura da più di dieci anni, visto che già nel ´95 doveva scortare personalmente, a piedi, i camion che raccoglievano i rifiuti strappandoli alla camorra che voleva invece bruciarli: ma io, aggiunge, non lascio la città a chi non è in grado di prendersela democraticamente, dopo che contro i termovalorizzatori ho visto marciare tutti, destra e sinistra, giornali e intellettuali, e in prima fila i vescovi con la croce in mano come se ci fosse da respingere il demonio. E con loro, la camorra, naturalmente. Per questo il governatore non vuole andare alla Montagna Spaccata a parlare ai ribelli: quella, dice, è camorra a 18 carati, con loro non tratto. Usiamo un po´ di Stato, mettiamo un po´ di gente in galera, poi parlamentiamo. Ma in realtà, come sempre nella disperazione, come spesso a Napoli, con la camorra si mescola la gente comune, che ha paura. Che devo fare, si chiede il prefetto, lanciare le cariche contro questa gente, sapendo che finirebbero sotto le donne, i vecchi e i bambini? Preferisco parlare, trattare, ascoltare, anche se si perde tempo, e noi non ne abbiamo più. Tu prefetto, mi chiedono, manterrai le promesse? Chi ce lo assicura? E io li ascolto, ma penso che siamo con le spalle al muro, il nostro tempo è già scaduto, ormai raccogliamo e smaltiamo solo una piccolissima parte dei rifiuti che Napoli produce. Dobbiamo riaprire subito la discarica di Pianura. E la discarica è qui, in fondo al buio della Montagna Spaccata. Fuori dai cancelli la gente dice che qualcuno ha bucato il prato davanti alla prima collina con il bastone, ed è uscito un fumo verde. Una donna racconta dei rifiuti delle concerie finiti qui. Un vecchio assicura che hanno sotterrato rifiuti tossici tedeschi. Uno dice scarichi medicinali. Tutti guardano le montagne intossicate, col falso verde notturno, l´erba malata nata dai rifiuti, gli alberi giganteschi ma con le radici che pescano giù sotto, in quel terreno che si muove e che dopo aver formato una montagna alta 220 metri, negli ultimi undici anni di quiete e di chiusura si è abbassato di venti metri. La verità – dice Cesare Moreno che fa il maestro di strada, rifiuta i sacchi di plastica dai negozi, tiene i rifiuti in giardino – è che noi ci specchiamo nella nostra immondizia, e il cittadino suddito le uniche cose che riconsegna a una classe dirigente che lo amministra male sono gli escrementi. Vado via dalla montagna del mostro pensando alla crisi di una democrazia che si arrende ai rifiuti in una sua capitale: peggio, che usa i rifiuti per parlare, per protestare, per dialogare con il potere. Poi, in via del Parco Margherita, vedo un signore col cappotto e la sciarpa che porta un´intera cucina davanti al cassonetto stracolmo, e la posa accanto a due valige, come se tutto a Napoli fosse normale, in quel mare di sacchetti abbandonati. EZIO MAURO