Vari, 10 gennaio 2008
VARI ARTICOLI PECORARO SCANIO
Libero 9 gennaio 2008.
E lui fa il ministro di pizze, vacche e manette. Pubblichiamo ampi stralci del ritratto di Alfonso Pecoraro Scanio apparso nel libro "I compagni al caviale", volume a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta e che fa parte della collana "Ma nuali di Conversazione Politica" distribuiti da Libero. Nel libro "I compagni al caviale" sono stati descritti quindici personaggi della sinistra. ? L’utilità del leader verde, Alfonso Pecoraro Scanio, è inversamente proporzionale alla sua martellante presenza televisiva. Il giovanotto ci compare davanti ogni sera nei tre Tg della Rai, al termine di una giornata fatta di nulla. Mai che ci racconti cosa ha prodotto. Appare solo per mostrare la sua testa pettinata alla Bruto (in passato, ricciutella) e dire quattro parole di polemica politica. La Rai gli riserva uno speciale trattamento di favore. Da lustri, Alfonso cura con accanimento i rapporti con i media. Ai giornalisti piace per l’atteggiamento scanzonato e la simpatica disponibilità. Tutti hanno il suo numero di cellulare al quale risponde di persona e al primo squillo, pure ora che è ministro. Si presta sempre a fare dichiarazioni, a dare interviste, a fungere da tappabuchi in qualsiasi trasmissione. Si concede via radio, tv, cellulare, citofono. Dalli e dalli, ci è entrato nel sangue. La semi ufficiale Agenzia Ansa dirama sue notizie più volte al giorno, tutti i giorni, incluse le feste comandate. lui a farsi vivo col redattore di turno al quale chiede da esperto: «Qual è il fatto saliente di oggi?». Le risposte, ovviamente, sono le più disparate, ma nulla lo coglie di sorpresa. "Quadrupli ce omicidio a Catania", "Morsa di gelo sull’Eu ropa", "Mareggiata nel livornese". Su queste esili basi, il ministro costruisce con prontezza partenopea la risposta più confacente alla notizia del giorno e alla sua battaglia ideale di ecologista impegnato. Attribuisce il quadruplice omicidio etneo all’avanzata della desertificazione che prosciuga i cervelli, il gelo al riscaldamento del pianeta, la mareggiata livornese al moto di rivolta delle triglie contro la pesca alla lampara. turpazioni dei pannelli solari, l’invasione delle pale a vento, il lattice dei preservativi in favore dei quali ha condotto un’epica campagna per distribuirli gratis nelle scuole e a metà prezzo negli Atenei. Si batte per il bue di Carrù, il lardo di Colonnata, il cappone di Morozzo. La pannocchia nostrana è il suo dio e si inalbera alla sola ipotesi di una sua manipolazione, ibridazione o clonazione. invece aperto, addirittura spalancato in fatto di bebè. Li accetta in provetta, in alambicco, distillati al rhum, omologhi, eterologhi, geneticamente modificati, prodotti in laboratorio, fatti in serie, dotati di ricambi. Agli inizi della sua attività politica, corse voce che Alfonso si sarebbe incatenato per protesta al portone di Palazzo Capuano, sede del Municipio di Napoli (la sfortunata metropoli dove vive), e che ci sarebbe rimasto fino alla soluzione dei problemi cittadini, nettezza urbana in primis. Quasi subito fece però smentire l’intenzio ne, avendo intuito dopo più matura riflessione vanti alle tv: «Con questa decisione sto facendo risparmiare allo Stato milioni di lire (nel 2000 l’euro non c’era, ndr) per minore energia consumata». In quell’anno da ministro, Pecoraro ottenne la massima realizzazione su Terra dello slogan sessantottino la "fantasia al potere". Una ne diceva e cento ne pensava. Propose di proclamare "la pizza patrimonio dell’umanità" attizzando l’emulazione di Chirac che subito avanzò analoga candidatura per il Camembert. Fece un campagna contro l’al bero di Natale per salvaguardare le foreste e rilanciare il presepe napoletano di San Giovanni Armeno. Suggerì che ogni italiano adottasse la pecora sarda per proteggerla dall’estinzione. Nominò il cantante partenopeo Gigi D’Alessio patrono del pesce azzurro. Invitò il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, noto per il pollice verde, a riscattarsi dai suoi infiniti peccati diventando testimonial della Floricoltura italiana. Dimentichiamo sicuramente altre no lo forzasse, continuò: «Non sono né etero, né omo. Scelgo l’assoluta libertà sessuale». Come dire: per me mucca e toro pari sono. Equiparazione che spiega il qui pro quo nella stalla modello. In effetti, da quel che si sa, il ministro ha avuto imparzialmente fidanzate e fidanzati. Anche adesso che dopo sette anni è tornato a fare il ministro, Pecoraro esercita il suo mandato più con la fantasia che coi fatti. nel suo temperamento prediligere la fuffa. La più memoraFACCIA DA FUNERALE La serietà di Pecoraro Scanio è riassunta nella nota foto che lo ritrae nel maggio 2006 ai solenni funerali dei soldati morti a Nassiriya. Mentre le altre Eccellenze inalberano il viso di circostanza, Alfonso ride divertito. Ha il braccio appoggiato cameratescamente sulla spalla dell’altrettanto ridente Vasco Errani (governatore ds dell’Emilia Romagna) e gli sta dicendo qualcosa di irresistibile comicità. Per sottolineare lo spasso, tira fuori linguetta e la piega all’insù. Sprizza cordialità partenopea e calore mediterraneo. Pecoraro non è malvagio, ma è una fabbrica di luoghi comuni. l’ecologista da manuale. Dice di no a tutto, in nome del "principio di precauzione". Vede ovunque pericoli inesistenti, contraddetti dagli scienziati veri, da Tullio Regge a Renato Ricci, da Umberto Veronesi a Antonino Zichichi. Monta la panna di scenari catastrofici e approfitta per piazzare gli amici verdi in improvvisate commissioni di studio, fantasiose agenzie ambientali, esotici consigli di amministrazione, con ricchi appannaggi a spese del contribuente. Gli va però riconosciuto che, così facendo, toglie dalla strada una discreta fetta di umanità erratica e contribuisce all’oc cupazione più del serioso ministro del Lavoro, Cesare Damiano. Alfonso è contro il nucleare, le autostrade, i doppi binari, le antenne tv. Detesta il sapone di Marsiglia, i pali della luce, i tunnel, gli Ogm. Vede ovunque effetti serra, buchi dell’ozono, elettrosmog. Ama invece le deche correva il rischio di incanutire in ceppi, prima che la giunta decidesse, lo svuotamento di un solo bidone dell’immondizia. Questa fu la prima delle sue infinite prove di inventiva a fini di propaganda e carriera. IL GENIO DELLA LAMPADINA Dette il meglio di sé quando nel 2000 fu nominato ministro dell’Agricoltura del governo Amato II. Giunto al dicastero, ordinò la sostituzione delle normali lampadine con le fluorescenti a basso consumo. Le stesse che ora, da ministro dell’Ambiente, fa distribuire gratuitamente ai passanti delle città in cui si celebra il rito delle domeniche a piedi. Avvitate, dunque, le nuove lampade, il ministero fu avvolto da una luce color panna che dette ai burocrati la bucolica sensazione di trovarsi in una latteria. Si udì perfino qualcosa che somigliava al verso delle mucche. Era il ministro che, in una delle sue immedesimazioni, mugolava soddisfatto dameritorie iniziative, ma l’elenco rende a sufficienza quanto felice sia stata quella stagione per l’agricoltura, la zootecnia e la piscicoltura nazionali. In tanto tripudio, il ministro fece una sola leggera gaffe. Invitato a visitare una stalla modello, si arrestò davanti a un toro monumentale. «Bella mucca», disse ammirato. Col massimo tatto, gli fu spiegato lo scambio di bovino. «Non sono andato a guardare sotto il toro», rispose sbarazzino lo spiritoso ministro. L’episodio non suscitò commenti ridanciani come invece succederebbe oggi. All’epoca, infatti, Alfonso non aveva ancora fatto la sua celebre ammissione di essere bisex. L’outing avvenne pochi mesi dopo l’abbaglio del toro. Pecoraro era ancora ministro quando, alla vigilia del Gay pride del 2000, anno del Giubileo, disse in un’intervista: «Sono meridionale e mediterraneo, credo che la vita vada goduta fino in fondo». Pareva una semplice annotazione esistenziale finita lì. Alfonso, invece, senza che nessubile decisione presa finora, è stata spegnere tutte le luci del ministero per festeggiare l’anniver sario del Protocollo di Kyoto. Alfonso è riuscito a diventare avvocato sulle orme del papà. A 33 anni si è impossessato dello scranno alla Camera e, da allora, non schioda. L’ingresso a Montecitorio coincise con Tangentopoli. Nel turbinio di arresti e suicidi, Scanio scoprì di avere un temperamento furiosamente giustizialista. Il suo idolo era il procuratore Totonno Di Pietro. La sbornia fu tale che portò alla Camera una festosa torta con sopra dei ceppi da carcerato per celebrare il primo anniversario di Tangentopoli. Pannella, sdegnato per la degenerazione della sua creatura, lo ribattezzò: "Mister manette". Pecoraro è ormai tra i politici più in vista di Napoli, la città simbolo del disastro urbano. Il paradosso è stridente. Nel luogo più simile alle megalopoli brasiliane dense di favelas, vive e opera il leader degli amanti della natura, dell’aria pulita, della nespola biologica, della raccolta differenziata dei rifiuti. Mister manette che fustigava i colletti bianchi per un misero falso in bilancio, convive con la camorra sanguinaria. Sommerso dai rifiuti sottocasa, nelle vie limitrofe, lungo la costa nell’hinterland, Scanio osa indignarsi per i tunnel della Val Susa, le alghe rosse liguri, gli anticrittogamici sulle vigne dei Monti Bérici. Non riesce a fare pulizia in casa sua, ma fa le pulci al prossimo. DALLE MANETTE AL CAVALIERE Buona parte del successo che Mister manette riscuote a sinistra nasce dal suo antiberlusconismo spavaldo. il recordman degli insultatori del Cav. Il primato risulta per tabulas in Berlusconi ti odio, il libro di Luca d’Alessandro che raccoglie gli exploit di 89 politici specialisti della materia. Batte Max D’Alema, secondo classificato e la coppia Oliviero Diliberto-Totò Di Pietro, terzi ex aequo. Il povero Alfonsino ossessionato, diceva così: «Berlusconi è un po’ Nerone e un po’ Caligola». L’evocazione di Caligola viene a fagiolo per concludere. Caligola è il dispotico e impunito imperatore romano che per capriccio fece senatore il suo cavallo. Esattamente quello che ha fatto Pecoraro col fratello Marco, senatore verde di fresca nomina. Marco è il cadetto, di tre anni più giovane. un ex calciatore di serie A e B. stato una colonna, dell’Ancona, Cagliari, Genoa e Lecce. Quando smise di giocare per sopravvenuti limiti di età, il giovanotto era senz’arte né parte. Ci ha pensato il fratello maggiore a recuperarlo. Con uno dei soliti colpi di fantasia, si è detto: «Ha sempre calcato il campo verde. un ecologista nato». E se l’è preso tra i Verdi. Ad Ancona, dove aveva calciato, gli ha fatto fare l’assessore allo Sport. A Salerno, dove i Pecoraro sono di casa, l’assessore provinciale. Infine, lo ha candidato nella sua cerchia napoletana e lo ha catapultato a Palazzo Madama. Così, quando già uno era di troppo, abbiamo due Pecoraro Scanio da stipendiare.
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La Stampa 9 Gennaio 2008.
JACOPO IACOBONI
I giorni neri di Pecoraro Scanio. E come no, sarebbe meglio «abolirla, la spazzatura», come suggerì nel ”94 Alfonso Pecoraro Scanio tessendo l’elogio della raccolta differenziata, «gli inceneritori sono roba vecchia, preistoria». Come sarebbe meglio veder puniti i criminali, premiati i migliori, licenziati i fannulloni, andare a letto con Eva Green piuttosto che con una racchia...
«Se c’è una cosa su cui ho sbagliato - rivendica oggi il ministro - è che fui Cassandra inascoltata quando mi opposi all’appalto all’Impregilo per l’inceneritore di Acerra, che si è rivelata una delle più grandi truffe della repubblica». Per il resto, sostiene, «non è vero che l’ho bloccato io, è stato fermato dalla magistratura; semmai io ho firmato il via libera per l’altro impianto, a Santa Maria La Fossa; la discarica di Serre sì, la bocciai, ma solo perché era vicina a un’oasi del Wwf». Eppure sono almeno quattordici anni che in Campania si parla di termovalorizzatori, sono otto anni che Acerra è stato appaltato, e si sono spesi due miliardi di euro coi quali di termovalorizzatori se ne sarebbero costruiti 15: anni in cui Alfò ha battagliato sempre contro. All’epoca disse: «Dovranno passare sul mio cadavere». Messa così, nessuno se l’è sentita.
Certo, solo un terzo dei rifiuti sono smaltibili negli inceneritori, il resto deve finire nelle discariche; e in tanti hanno sfilato contro quegli impianti, An e Rifondazione, vescovi di destra accanto ad Alex Zanotelli, Beppe Grillo e persino Tonino Di Pietro, che un anno fa sul suo blog scriveva «stop agli inceneritori!» e oggi accusa il ministro dell’Ambiente «perché ha sempre detto no agli inceneritori»: meraviglie di coerenza all’italiana. Ma un termovalorizzatore almeno un po’ avrebbe aiutato la Napoli di queste ore, no? «Forse», ammette Pecoraro Scanio, che però ha sempre brillato come capofila del partito del no, il ponte sullo stretto, il tunnel della Tav, il nucleare a suo tempo, i raddoppi autostradali sull’Appennino, le antenne, la plastica, e appunto, in Campania, gli inceneritori.
Lui che da ministro (dell’agricoltura) fu malevolmente preso in giro perché un giorno vide un toro in un allevamento ed esclamò «ah che bella vacca!», era anche stato il ministro fantasioso capace di adottare pecore sarde, dichiarare la pizza «patrimonio dell’umanità», lanciare campagne contro l’albero di Natale, nominare Gigi D’Alessio patrono del pesce azzurro, proporre a Berlusconi di farsi testimonial della floricoltura: eppure su rifiuti e inceneritori non esibiva analoga ispirazione flessibile. Anzi. A ogni stormir di fronda, comitato civico, verde o magari soltanto nimby, «ovunque ma non nel mio giardino», Alfò c’era. Presente. Dal «li comprendo» rivolto agli afragolesi che bloccarono l’A1 al viaggio ad Acerra, nel 2004, a manifestare con la gente, «non passeremo sopra la vostra testa».
Salvo poi dire, ora: «Gli atti che ho disposto sono sempre stati pragmatici». Le parole, non sempre. Il governo ieri ha rilanciato quella legge 87 del 2007 che individua quattro siti per smaltire a’ munnezza, Serre, Savignano Irpino, Terzigno, Sant’Arcangelo Trimonte. Ma sono siti nuovi? Figurarsi, esistono da anni e da anni sono teatro di tristissimi stoccaggi d’emergenza, lugubri cortei locali, manifestazioni in buona fede di cui magari la camorra, sotto sotto, gioisce.
«La mia politica è sempre stata quando c’è un no deve esserci anche un sì, come è successo a Serre», dice oggi il ministro; e tuttavia a marzo 2007 diceva «continueremo a vigilare perché a Serre non ci sia una discarica», mentre a maggio, quando fu trovato un accordo con i cittadini passando da Valle della Masseria a Macchia Soprana, s’adeguò, «ha prevalso il buonsenso, come ho sempre chiesto io». Non era cambiato lui; era la realtà che s’evolveva.
Su Terzigno a maggio pareva irremovibile: «Non ci può essere una discarica». Scrisse una letteraccia a Prodi, e ciononostante si beccò la contestazione di un gruppo di super-attivisti verdi e militanti di comitati di Giugliano e Terzigno, che lo andarono a contestare al caffè Gambrinus sfogliatella in mano. Ora si dice d’accordo con Romano, che ha indicato Terzigno come uno dei quattro siti per smaltire l’emergenza.
E quando, nel ”94, Rastrelli (che ora Alfò definisce «un brav’uomo») firmò un piano rifiuti che prevedeva quattro inceneritori, tutti diedero addosso al governatore, i verdi di mister no, Rifondazione, persino An, che ha sempre manifestato, con Pecoraro, contro l’impianto di Acerra. Dunque cos’erano le scaramucce di Pecoraro con Fini, teatro? Nel 2001 Alfò gli disse «se lui è così tranquillo incenerisca tutti i rifiuti nel giardino suo e di tutti i dirigenti del Polo». Due anni dopo però concedeva, «si può anche discutere di realizzare piccole forme di inceneritori termici». E oggi: «Non sono contro gli inceneritori, sono per degli inceneritori moderni». Sosteneva Guido Bertolaso nel giugno 2007 che per finire Acerra sarebbe bastato, allora, meno di un anno. Dall’appalto erano già passati sette anni, continuiamo a perdere tempo.
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