La Stampa 08/01/2008, DOMENICO QUIRICO, 8 gennaio 2008
L’imperatore Sarkozy all’assalto di Le Monde. La Stampa 8 Gennaio 2008. PARIGI. Dimissioni date e poi ritirate, congiure, sospetti, assemblee furibonde, veleni giornalistici e soprattutto politici: è la grande, ribollente battaglia di Le Monde
L’imperatore Sarkozy all’assalto di Le Monde. La Stampa 8 Gennaio 2008. PARIGI. Dimissioni date e poi ritirate, congiure, sospetti, assemblee furibonde, veleni giornalistici e soprattutto politici: è la grande, ribollente battaglia di Le Monde. Chi ha il potere nel quotidiano simbolo della Francia? I giornalisti, come ha finora garantito una Magna Charta nata con i fervori ormai frusti degli anni della liberazione, o chi investe capitali e esige profitti? La battaglia non è limitata al palazzo di Boulevard Blanqui presidiato da una gigantesca frase di Victor Hugo sulla libertà di stampa. E’ una battaglia chiave della stagione sarkosista, che ha nel controllo dell’informazione uno dei suoi nodi cruciali. Il sarkosismo ha lanciato l’assalto finale a Le Monde, perché nessun fortilizio deve resistere al controllo dell’iperpresidente. Dopo la fine della stagione Colombani, durata tredici anni e chiusasi con una furibonda guerra di successione, il giornale sembrava avviato, almeno istituzionalmente, a navigare in acque più tranquille. Con dosaggi causidici e lunghe trattative era stato insediato un triunvirato: Pierre Jantet direttore generale del gruppo; un giornalista diventato navigato amministratore, Bruno Patino, inventore del fortunato Le Monde interattivo, alla vice presidenza e già con i galloni della successione cuciti sulle maniche; direttore del quotidiano Eric Fottorino, intellettuale raffinato, romanziere di successo. Dopo appena sei mesi i tre hanno dato fragorosamente e clamorosamente le dimissioni. Il problema chiave del gruppo Le Monde, che comprende anche una serie di riviste come Télérama, la Vie, il Courrier International, e ha 1600 dipendenti, è economico: perde 14,4 milioni di euro. Nel 2005 erano il doppio, un grande sforzo è stato fatto per sanare e ripianare ma a dicembre è stata annunciata una diminuizione di guadagni di «una dozzina di milioni di euro». Su questo sfondo le dimissioni del direttorio sono arrivate a scoperchiare la pentola, per molti in modo voluto e strumentale: la causa è stata indicata nella sfiducia della Società dei redattori, che è l’azionista di riferimento. Dopo una pausa di riflessione, solo Fottorino le ha ritirate per «senso del dovere», firmando un allarmato editoriale in cui ha invitato i lettori a serrarsi intorno al giornale in un momento di grande difficoltà. Il vero nodo dello scontro è il controllo della maggioranza delle azioni: statutariamente, da sempre, il 52% spetta alle varie società del personale. Tra gli azionisti privati, i più importanti sono i Lagardère, grandi nome della finanza francese, e la spagnola Prisa, proprietaria di El Pais. La società dei redattori è il custode del tempio, di quell’«anima» di granito fatta di autorevolezza e continuità nel fragore dello scorrere dei tempi e delle stagioni politiche, culturali, umane. E’, per molti aspetti, ormai più una aspirazione che una realtà; ma quel 52% si è tradotto in particolare su uno stretto controllo della nomina dei direttori. L’ultimo a farne le spese è stato proprio Colombani In questo scenario, che fa parte in certo modo dell’immutabile modello francese, gli azionisti privati hanno fatto spesso la parte di portatori d’acqua (e di miliardi). Stavolta hanno messo in gioco quello che per loro è un anacronistico strapotere, che renderebbe impossibile governare l’azienda Le Monde e risanarla. Scontro che si personalizza in due uomini: Alain Minc, capo del direttorio di controllo, grande consigliere dell’economia francese, che sarebbe il burattinaio della strategia degli azionisti; e Jean-Michel Dumay, giornalista di 46 anni, presidente della società dei redattori. E’ lui che ha fatto cadere Colombani e costretto Minc ad annunciare prossime dimissioni a marzo. Questa sarebbe, dunque, la vendetta del Gran Consigliere. Il nodo della lotta è la ricapitalizzaione del gruppo, che la società dei redattori considera non indispensabile, e soprattutto sospetta essere una manovra per rovesciare il rapporto di forze e trasferire la maggioranza a Lagardère. Tra i nuovi azionisti si affaccia anche il nome di Bolloré, un altro re della stampa, il miliardario che presta navi e aerei a Sarkozy. Dietro questa mischia, la grande ombra del presidente. Perché Alain Minc è stato suo consigliere durante la battaglia elettorale e Lagardère dice di considerarsi suo «fratello». E Sarkozy ha con la stampa, notoriamente, rapporti unilaterali: ama discutere direttamente con i proprietari. Amici suoi. DOMENICO QUIRICO