Il Sole 24 Ore 09/01/2008, Mariano Maugeri, 9 gennaio 2008
Nella città abusiva in mano agli ultras. IL SOLE 24 ORE 9 gennaio 2008. NAPOLI. I pini marittimi di via Montagna Spaccata, uno stradone che unisce Fuorigrotta a Pianura, sembrano essere sbocciati dalle aiuole di spazzatura
Nella città abusiva in mano agli ultras. IL SOLE 24 ORE 9 gennaio 2008. NAPOLI. I pini marittimi di via Montagna Spaccata, uno stradone che unisce Fuorigrotta a Pianura, sembrano essere sbocciati dalle aiuole di spazzatura. L’inedita cartolina di Napoli è una composizione di arte contemporanea. La sacralità dei pini e l’oscenità di esistenze che si svelano in sacchetti squarciati come budella che mostrano senza pudore il loro contenuto. Chilometri di cemento e spazzatura annunciano il quartiere di Pianura: abusive le case, abusivi i negozi, abusivo il lavoro, abusiva la caserma dei carabinieri, abusiva persino la cappella di Lourdes, costruita dal fondatore dei padri vocazionisti, don Giustino Russolillo, già venerabile e a giorni beato per volontà vaticana, che a chi gli chiedeva conto di quella cappella in cemento armato rispondeva indignato: «L’ho fatto per la Madonna!». I pianuresi, invece, non l’hanno fatto per la Madonna: cinquantaduemila abitanti, dice l’ultimo censimento del 2001. Il quartiere di Pianura è a venti minuti di automobile da Piazza Plebiscito, ombelico del centro storico di Napoli. Per trovarlo basta seguire la monnezza. Tutte le montagne di sacchetti che macerano sui marciapiedi, squarciati come budella gonfie di scarti portano a Pianura, in questo cratere insalubre sprofondato tra le colline miracolosamente intatte dei Camaldoli. Pianura è un monumento al cemento e alla spazzatura, una sospensione a divinis di leggi, decreti e regolamenti, una malattia contagiosa cominciata nella seconda metà degli anni 70, quando i napoletani cercavano appartamenti che potessero certificare la fine di un’esistenza grama. Pianura era una distesa si alberi di noci, nocciole, fichi e vigne. Alla discarica di contrada Pisani, approntata negli anni 50 in un vallone dimenticato, nessuno sembrava badare. Di monnezza ce n’era poca. La cultura contadina, allora dominante, imponeva la raccolta differenziata dettata dalla fame: nulla poteva essere sprecato. I latifondisti vendono pezzo dopo pezzo i terreni di questo catino naturale umidissimo d’inverno e con una cappa di aria stagnane d’estate. I napoletani vogliono una casa grande a basso prezzo. Un appartamento di cento metri quadri costa sei, sette milioni. La gente di Pianura si fa furba. Costruire abusivamente arricchisce. Le fondamenta si scavano di notte, meglio tra il venerdì e il sabato. Ciro Piscopo, occhialini da intellettuale, un cappello della polizia di New York e due mani grandi come badili, di palazzi ne ha tirati su una ventina: «In una settimana facevamo cinque piani», racconta sorridendo. La camorra nasce in quegli anni. I Lago, tre fratelli camorristi boss incontrastati del quartiere, sono figli di un casco giallo dell’Italsider. Il primogenito, Pietro, detto o sciòre, il fiore, diventa con la forza l’unico fornitore di cemento. Le vie non hanno nome, le strade non hanno marciapiedi, le case non hanno né luce né acqua né fogne, almeno fino a quando il Comune non chiude tutti e due gli occhi e provvede illegalmente agli allacciamenti. I neoproprietari, forse consapevoli di questa precarietà, picchettano con paletti d’acciaio e catene robuste ogni metro quadrato di spazio condominiale. Le case di Pianura sono intrappolate da sbarre di ferro alle porte e alle finestre. Pure i marciapiedi sono transennati da una sequenza di pali conficcati nell’asfalto e punteggiati dall’ironia involontaria di cartelli che recitano: «Via privata ai sensi dell’articolo 614 Codice penale». La paura che qualcuno possa violare questo spazio orrendo e vitale è una fobia. Nessuno si aspettava che la monnezza straripasse dai cassonetti per tracimare oltre robusti cancelli di ferro dei condomini che ostentano nomi aulici: Parco verde, Residenza delle mimose. Non è solo lo Stato a latitare. Il Comune di Napoli si è limitato a mettere a verde pubblico cinque piccole aree. E a costruire una casamatta di cemento armato con finestre che sembrano feritoie dove è ospitata la municipalità di Pianura, una commissariato di polizia e un ufficio postale. Alle due del pomeriggio di un giorno qualsiasi le porte della municipalità sono spalancate, gli armadi con le pratiche aperti, gli uffici della polizia municipale deserti. Dalla balaustra del primo piano ci si affaccia all’aula del consiglio di quartiere: sei scranni che galleggiano nel nulla sui quali campeggia una foto sbilenca del presidente della Repubblica sotto un crocifisso. Ora che le riunioni delle commissioni consiliari sono state elevate al rango di quelle dei consigli, i re delle preferenze di Pianura, alcuni dei quali eletti a tutte le tornate elettorali da una trentina di anni a questa parte, si riuniscono a casa di qualcuno di loro o al bar più vicino per decidere questioni di vitale importanza, come elevare la statua di don Giustino Russolillo che sorge all’inizio di via Montagna Spaccata. Ogni riunione i consiglieri intascano un gettone di 55 euro. Più riunioni, più soldi. Il recordman della Municipalità per età e successi elettorali è Espedito Lanzaro, 73 anni, transitato nella sua longeva carriera politica dalla Dc al Ccd, dalla Lista Dini alla Margherita. Mentre Lanzaro, insieme ai suoi sodali Gennaro Mele e Mario Paudice intascava gettoni di presenza, il ventre della discarica di contrada Pisani si gonfiava di veleni e monnezza. La discarica era comunale, è vero, ma un’inchiesta della Procura della Repubblica provò che nottetempo custodi compiacenti spalancavano i cancelli a camion che arrivavano dal Nord Italia con rifiuti ospedalieri e una volta persino una balena spiaggiata sulle coste liguri. Dai primi anni 50 al ’94, la discarica insieme all’edilizia selvaggia è stata l’industria più fiorente di Pianura. Del resto si è sempre fatto a meno. Come da sempre si fa a meno di un cinema, di un campo di pallacanestro, di un consultorio, di una biblioteca o di una rivendita di libri. I ragazzi e le ragazze portano a spasso jeans e gli occhiali griffati facendo lo slalom tra la spazzatura. Qualcuno si tappa il naso e la bocca, altri ostentano indifferenza. I più irrequieti si fanno chiamare "teste matte" e tappezzano Pianura di questa scritta a caratteri cubitali sullo sfondo azzurro. Sono gli ultras del Napoli che fino a ieri pomeriggio sgommavano con gli scooter di grossa cilindrata lungo la discesa che porta nelle viscere della discarica. Il messaggio era chiaro: i padroni di Pianura siamo noi. Sette anni fa, due ragazzi normali che amavano confidarsi tra loro nelle interminabili notti di agosto furono ammazzati come cani. Paolo Castaldi e Gigi Sequino, quarant’anni in due, chiacchieravano in macchina sotto casa dei Sequino, la cui unica colpa è quella di essere dirimpettati dei Lago. Un killer del clan Marfella li scambiò per i guardiaspalle della cosca rivale e fece fuoco. Un anno dopo l’omicidio una via senza nome fu intitolata ai due ragazzi. Via Sequino e Castaldi è l’unica strada di Pianura con l’illuminazione pubblica. Negozi abusivi, licenze abusive, esistenze abusive, sprofondate e sigillate tra una discarica di rifiuti e un cratere di cemen to. Mariano Maugeri