Il Sole 24 Ore 08/01/2008, Alberto Alesina, 8 gennaio 2008
I candidati e l’economia: più amnesie che programmi. IL SOLE 24 ORE 8 gennaio 2008. Chi vincerà le primarie per i due partiti americani e poi le elezioni presidenziali? Che conseguenze vi saranno per l’economia degli Stati Uniti e, di riflesso, per quella europea? Il risultato della settimana scorsa in Iowa, che i sondaggi alla vigilia del voto di oggi in New Hampshire sembrano confermare, almeno tra i democratici, rende ancor più difficile le previsioni
I candidati e l’economia: più amnesie che programmi. IL SOLE 24 ORE 8 gennaio 2008. Chi vincerà le primarie per i due partiti americani e poi le elezioni presidenziali? Che conseguenze vi saranno per l’economia degli Stati Uniti e, di riflesso, per quella europea? Il risultato della settimana scorsa in Iowa, che i sondaggi alla vigilia del voto di oggi in New Hampshire sembrano confermare, almeno tra i democratici, rende ancor più difficile le previsioni. Ma sin d’ora si può affermare che l’esito avrà un forte impatto economico all’interno degli Usa, molto meno nel resto del mondo. Nel campo democratico Barack Obama e Hillary Clinton hanno scelto la vaghezza: cercando di dire il meno possibile su cosa farebbero se venissero eletti. Obama lo fa con bei discorsi retorici, pieni di magniloquenza e poverissimi di contenuti. Clinton contraddicendosi spesso e aggiustando il suo messaggio a seconda del pubblico che le sta di fronte. una strategia ragionevole per entrambi, perché prima devono vincere le primarie, appellandosi agli elettori democratici e quindi offrendo un messaggio "di sinistra". Ma non possono spingersi troppo a sinistra, altrimenti, dopo aver vinto le primarie, rischierebbero poi di perdere le elezioni presidenziali, abbandonati dagli elettori di centro. Fanno di tutto, quindi, per non sbilanciarsi. John Edwards ha invece scelto una strategia chiaramente populista, proponendo di tassare (e molto) i ricchi per dare ai meno ricchi. Non funzionerà per vincere le elezioni presidenziali, ma neppure le primarie. Nonostante l’aumento della disuguaglianza, negli Stati Uniti anche l’elettore di centro-sinistra della classe media rimane avverso a eccessive redistribuzioni di reddito; in questo gli americani sono diversi dagli europei. Nelle primarie repubblicane, le carte in tavola sono ancora più complesse, perché in questo partito il gioco è a più dimensioni, tra la destra religiosa (Mike Huckabee e Fred Thompson), i repubblicani del Nord-Est, cioè liberisti in economia, ma non conservatori socialmente (Mitt Romney e Rudy Giuliani) e una "wild card" (John McCain). Previsioni difficilissime. Anche qui le contorsioni verbali sono straordinarie. La difficoltà di vedere chiaro nelle primarie rende praticamente impossibile prevedere l’esito delle elezioni presidenziali, dato che il risultato dipenderà da chi saranno i contendenti. Nessuno dei due partiti ha la certezza di vincere, chiunque emerga dalle primarie. Ma (e questa è la seconda domanda) farà molta differenza per la politica economica americana? Per quella domestica sicuramente sì. Per quel che concerne gli effetti sul resto del mondo, e l’Europa in particolare, probabilmente non molto. L’aumento della disuguaglianza negli Usa ha diviso l’opinione pubblica e i politici in due campi grosso modo corrispondenti ai due partiti. Chi la vuole combattere (ma con moderazione, salvaguardando il laissez-faire americano) e chi pensa che vada accettata come il risultato delle forze di mercato e delle diverse abilità e impegno individuali. Queste divisioni si riflettono nel dibattito sulla progressività delle aliquote, sulla tassa di successione, sul mantenimento dei tagli fiscali di George Bush, sulla spesa sociale, sui programmi per l’educazione pubblica. Vi sono divisioni simili sulla riforma del sistema sanitario, problema pressante per gli Stati Uniti, anche se su questo punto le differenze tra i partiti non sono sempre nettissime, data la complessità del problema. Romney, per esempio, da governatore repubblicano del Massachusetts, ha introdotto un sistema di sovvenzioni pubbliche per l’assicurazione sanitaria che copre tutti gli abitanti del suo Stato, sistema che propone di assumere a modello per il resto del Paese, un piano forse meglio congegnato di quello di Hillary Clinton, che fallì quando suo marito era presidente. Queste differenze sono molto importanti per gli americani. Molto meno per gli europei. La politica monetaria americana è saldamente nelle mani di una Federal Reserve indipendente e ben diretta da Ben Bernanke, un ottimo economista al di sopra delle parti politiche. La svalutazione del dollaro aiuterà a ridurre lo squilibrio commerciale americano (e già lo sta facendo) e non c’è differenza di retorica tra i due partiti su questo. Più o meno tutti i candidati (anche se non lo dicono) sanno che dovranno ridurre il deficit pubblico. Lo farebbero in modo diverso, ma per l’Europa questo importa relativamente poco. Il dibattito sull’immigrazione ha spaccato i due partiti trasversalmente e dipenderà da un complesso gioco di costruzione di alleanze nel Congresso, più che da chi sarà il presidente. Qualche tendenza protezionistica appare sempre quando l’economia rallenta, ma la svalutazione del dollaro, favorendo le esportazioni, le manterrà sotto controllo. Teoricamente, un presidente democratico alla Edwards, che aumentasse così tanto le imposte e seguisse politiche così "anti-business" in un periodo già negativo per l’economia americana da gettarla in una recessione profonda, avrebbe effetti negativi sull’economia europea. Ma Edwards non sarà il prossimo presidente americano e Obama e Clinton sono ben diversi. Rimane poi la politica estera. Ma questo è un altro discorso. Alberto Alesina