9 gennaio 2008
Denise Karbon è nata a Bressanone (Bolzano) il 16 agosto 1980. Figlia di Arnold, allenatore di sci e commesso in un negozio sportivo di Castelrotto, e di Rosemarie, un tempo parrucchiera ed ora custode premurosa della figlia
Denise Karbon è nata a Bressanone (Bolzano) il 16 agosto 1980. Figlia di Arnold, allenatore di sci e commesso in un negozio sportivo di Castelrotto, e di Rosemarie, un tempo parrucchiera ed ora custode premurosa della figlia. [1] Ha due fratelli, Martin e Pirmin (in onore di Zurbriggen, fuoriclasse svizzero del passato). Già a tre anni seguiva i genitori sullo skilift che dista 200 metri da casa sua. [2] Prima maestra Frida Senoner, figura carismatica che tira su i futuri campioni. [3] Denise è cugina dell’azzurro Peter Fill. «Da piccolo, era un fifacchione. Poi, appena s’è ritirata la sorella che era più brava di lui, è diventato un temerario». [4] Sono cresciuti insieme a Castelrotto, sull’altopiano dello Sciliar: «Da ragazzini eravamo una banda. Io sono di due anni più vecchia di Peter e con noi uscivano sua sorella e mio fratello Martin più altri ragazzi, anche più grandi. Si andava a sciare fuori pista fra gli alberi». [5] Quando erano ragazze Denise e Sarah Fill dominavano i fratelli. La Karbon: «Eravamo rapide, veloci, reattive. Mio fratello Martin, invece, tornava a casa sempre graffiato. Una volta l’ho visto fare un salto incredibile, ha cercato di scavalcare una strada. atterrato sull’asfalto. Non ho avuto il coraggio di guardare. Adesso fa il maestro di sci, si è calmato». [6] Da bambini si è elastici, quasi di gomma. Denise: «Facevamo tardi la sera e più di una volta sono venuti a cercarci... Ricordo quando abbiamo costruito un dente di neve, una sorta di trampolino, per scavalcare una strada che attraversava il prato, il nostro campo di gara. Di solito il primo tentativo lo faceva un nostro amico più grande, ma era un onore se toccava a uno di noi fare il primo salto sperimentale. Che botte!». [7] Arnold Karbon ha cresciuto i figli in modo spartano. Denise: «Per evitare che sciassimo troppo arretrati e quindi assimilassimo un difetto che diventa incorreggibile nel tempo, ci segava gli sci dietro agli attacchi, così eravamo costretti a stare in avanti per non cadere. Era divertente, un modo di abituarsi anche all’equilibrio». [7] Presto cominciò a conoscere le sale operatorie. Nel marzo 1993, tradita da alcune rotaie ghiacciate nascoste da un leggero manto di neve fresca, le si staccò il legamento del ginocchio sinistro insieme ad un pezzo d’osso: «Mi ero appena ripresa. Era novembre e sono uscita a sciare. C’era un nebbione, sono uscita di pista e finita in un fosso: femore sinistro rotto». [7] Il presidente dello Sci Club Castelrotto, Franz Went, ricorda quella ragazzina in ospedale che gli ripeteva: «Non preoccuparti, tornerò. Non posso fare a meno dello sci». [8] A 18 anni debuttò in Coppa del mondo a Bormio, a 19 vinse l’oro ai Mondiali juniores. [3] Subito dopo, si stirò il tendine del ginocchio destro. Nel 2001 le saltò il crociato del ginocchio destro: «Ho faticato molto a recuperare, perchè anche dopo la guarigione continuava a gonfiarsi. Ho temuto di essere arrivata alla fine della carriera. Avevo un discreto album di ricordi, dei sesti posti in coppa del Mondo...». [7] E che avrebbe fatto? «Avrei comunque continuato. Ho un diploma di ragioneria ma la contabilità non mi appassiona: ho fatto quella scuola perché al pomeriggio non c’erano lezioni e potevo andarmi ad allenare». [9] Il 13 febbraio 2003, a Sankt Moritz, fu seconda dietro la svedese Anja Paerson nello slalom gigante valido per il titolo mondiale. Poi, durante un allenamento in Cile nell’agosto del 2004, subì la rottura del legamento crociato, del menisco mediale e del piatto tibiale del ginocchio sinistro. [3] Pierangelo Molinaro: «La federazione si era dimenticata di chiedere per lei lo status di infortunata, così al rientro, nell’ottobre 2005 a Sölden, si era trovata nell’umiliante condizione per la sua classe di partire vicina al numero 30». [10] Papà Arnold: «La cosa la depresse molto e quando, nella prima gara americana, si infortunò al ginocchio sinistro nella sua testa entrò anche l’idea di smettere». [11] Altri, o altre, al suo posto avrebbero smesso da tempo. Paolo Rossi: «Ma essere altoatesini vuol dire avere le stimmate della durezza, saper sopravvivere alle intemperie della vita». [12] Molinaro: «Un carattere così non è casuale, ma figlio di una cultura della famiglia. Nonna Giuliana, pur dovendo assistere per anni in ospedale nonno Angelo vittima di un gravissimo incidente sul lavoro, lavorando come cameriera negli alberghi di Castelrotto (Bz) ha tirato grandi 5 figlie, fra cui Rosemarie, la mamma di Denise, e Lucia, la mamma di Peter Fill. Nonna Giuliana fa parte di quella generazione che lavorando da bestia ha reso ricco il nostro Paese, ha creato dopo la guerra futuro e speranza. Adesso è in pensione, ma ancora vuole stirare per tutte le figlie». [10] Ci vuole tempo, pazienza, determinazione per allontanare quelle ombre che costano decimi di secondo ad uno sciatore. Chiusano: «Il terrore di non vedere bene, il rischio di farsi male. Le Olimpiadi di Torino le bagna con un pianto tra le braccia del fidanzato». Il 13 febbraio 2007, quattro anni esatti dopo l’argento di Sankt Moritz, vinse la medaglia di bronzo ai mondiali di re con una straordinaria rimonta dopo il 12º posto nella prima manche. [7] Dopo l’impresa, un altro infortunio. Dal Corriere della Sera del 3 marzo 2007: «La sorte ha di nuovo bastonato, con cinica puntualità, Denise Karbon. In un allenamento di slalom in Val di Fassa, in vista delle ultime gare della stagione, la ragazza di Castelrotto, medaglia di bronzo un paio di settimane fa nel gigante iridato, si è fratturata la caviglia destra». [13] Perone destro rotto, sei settimane di gesso. Flavio Vanetti: «Denise, che forse non si è ancora fatta male solo lavorando a maglia, la sua passione, scherza: ”Non ricordo quante operazioni ho fatto; ma la rottura del perone, dopo aver sfasciato le ginocchia, mi è parsa una fesseria”». [14] Mamma Rosemarie: «Sono andata a prenderla a Predazzo. Ho pensato che forse avrebbe potuto smettere, invece ha pianto per metà viaggio, poi ha cominciato a parlare del futuro». [15] Dopo l’ultimo infortunio, Denise ha investito in una preparazione atletica diversa dal solito. Esercizi all’aria aperta proposti da Michael Bont, ex allenatore della nazionale femminile finlandese che ha preferito dedicarsi solo alla preparazione atletica di un piccolo team (con Denise ci sono Tanja Poutiainen e Tina Weirather). «Il bello è che si usano le cose che ci sono per allenarsi, così per misurare la distanza per gli scatti metto i vasi della zia davanti a casa. E per migliorare l’equilibrio tiro una corda tra un albero e l’altro e poi ci cammino sopra. All’inizio cadevo sempre, poi ho cominciato a fare qualche passo, adesso riesco ad andare avanti e indietro senza cadere». [16] Questa stagione ha esordito vincendo il 27 ottobre a Sölden, in Austria. Daniela Cotto: «Una gara perfetta, scia da manuale». [17] Vanetti: «Le statistiche fanno da damigelle: primo successo azzurro, tra uomini e donne, sul ghiacciaio sopra Sölden, dove da anni si celebra il via della stagione; seconda vittoria nell’era delle ”overture” a quota 3000: l’altra fu nel 1997 a Tignes, con la Compagnoni. E proprio il paragone, appena sussurrato, con la Debby nazionale, fa sobbalzare la cugina di Peter Fill: ”Pensare che sono meglio di Deborah mi sembra troppo”». [14] Il 24 novembre, secondo slalom gigante e secondo successo, in Canada sulla pista di Panorama. Arianna Ravelli: «Una seconda manche perfetta su una neve impossibile». [18] Denise: «Ho trovato gobbe, cambi di pendenza. Sono riuscita a sciare con tecnica, ma la vittoria per me resta una sorpresa. Sarei stata felice anche col secondo o terzo posto». [19] Il 28 dicembre, a Lienz (Austria), terzo successo consecutivo. Chiusano: «Miglior tempo nella prima manche, miglior tempo nella seconda. Un secondo e 28 su Julia Mancuso, campionessa olimpica in carica. Se il gigante di Lienz è una specie di rodeo in cui nessuna è immune da errori, Denise limita al minimo le imperfezioni e cala un ritmo impressionante tra una porta e l’altra, nelle trappole disseminate dallo sloveno Bergant nella seconda manche, in cui vanno di traverso la Hosp, la Moelgg, la Gius, la Putzer addirittura esce dal percorso, niente di serio rispetto all’americana Stiegler che nella prima manche s’è rotta un braccio, una gamba ed i crociati». [20] Il 5 gennaio, quarto gigante e quarto successo. Vanetti: «Non è più solo una sciatrice. Denise Karbon è ormai la Harry Potter dello sci: efficiente come il maghetto dei libri di Joanne Kathleen Rowling, ha stregato pure la pista che non aveva mai digerito, a Spindleruv Mlyn, il paesotto ceco che ha un nome simile a uno scioglilingua». [21] Ormai va così forte che quando arriva ”solo” terza come sabato a Maribor c’è quasi da restar delusi. «In ricognizione prima guardavo i punti dove c’era pericolo di cadere, adesso cerco quelli in cui si può andare più veloci. Vedo tutto in modo positivo, non sento più la paura». [22] Michael ”Much” Mair, direttore tecnico delle azzurre: «Scia bene, ma non è solo quella la sua forza. Perché potrei portare 100 persone che sanno fare bene una curva, anche se nel caso di Denise lei ne fa bene 108 su 110. Ma non vince solo per quello, lo fa perché è in uno stato psico-fisico ideale». [23] Denise è un metro e 59 per 59 chili. [19] Il fisico minuto è diventato un arma «perché la tecnica può battere peso e potenza. E noi donne siamo più testarde nell’inseguire certi obiettivi». [8] Giorgio D’Urbano, consulente tecnico e preparatore atletico delle azzurre: «Il successo di Denise dimostra che anche se uno è meno dotato fisicamente di altri, se è meno alto o potente, non conta. Perché se uno ha la benzina, se tecnicamente è superiore, emerge sempre». [23] Mario Cotelli: «Nello slalom gigante non è opportuno accelerare perché, oltre i 25/30 km orari, qualsiasi tentativo di spinta non produce alcun aumento di velocità. Nello sci vince solo chi è capace di ridurre le decelerazioni, chi frena meno in curva, chi scia con fluidità e rotondità, con il minor attrito possibile. Come Denise Karbon, appunto, uno scricciolo dotato di piedi buoni e di grande sensibilità motoria». [24] La Karbon sa usare i piedi in maniera eccezionale, con una sensibilità straordinaria. Stefano Costazza, tecnico delle azzurre: «Nel sentire lo spigolo, nel sentire lo sci che taglia la neve». [23] Denise: «Quando scii tra i piedi e la neve ci sono sci, placche, attacchi, scarponi, ma tu senti lo stesso quello che succede sotto. Senti se la lamina sta ”tagliando” la neve nel modo giusto, senti quando devi premere per fare la curva bene ma senza rallentare, senti se lo sci frena e allora diminuisci la pressione. davvero così, anche se è strano, ma questa è la sensazione che provo quando scio: avere la neve sotto i piedi. Così riesci a iniziare una curva senza buttare fuori le code degli sci, così non derapi e non perdi il tempo e nemmeno la linea giusta». [25] Denise è leggera come una farfalla, potente come una locomotiva. Molinaro: «Solo Deborah Compagnoni era capace di sciare così, con quella lievità che la rendeva unica, con quella disinvoltura nell’affrontare le difficoltà della pista e del tracciato che faceva sembrare diversa la sua gara rispetto a quella delle avversarie, più facile. Per riuscire a far sembrare la sciata come la danza di un cigno ci vuole una dote che solo Mamma Natura regala, una straordinaria proprioaccettività, parola difficile: significa avere sensibilità sotto i piedi, fa avvertire prima che agli altri il terreno, le sue rughe, i suoi tranelli. L’aveva Deborah e ce l’ha Denise». [10] Deborah Compagnoni è l’unica azzurra ad aver conquistato la coppa del gigante, dove, fra il 1997 ed il 1998, infilò 8 vittorie consecutive: «Sì, le sue curve sono leggere come erano le mie perché riesce ad utilizzare al massimo le qualità di equilibrio». [26] Denise: «Per la Compagnoni ho una stima infinita: sapeva stravincere, legava l’eleganza alla cattiveria agonistica. Per me, era di un altro pianeta. Così come Isolde Kostner, che forse sento più vicina perché è della mia terra e l’ho conosciuta meglio. Sì, la prima era un mito, una specie di extraterrestre; la seconda una persona più raggiungibile. Però provo a prendere dall’una e dall’altra: della Compagnoni cerco di imitare la tecnica, della Kostner vorrei la mentalità. Isi mi piace anche per come vive al di fuori dello sci». [27] «Denise Karbon è una giovane donna minuta che è piacevole avere intorno quando si è di malumore perchè ride sempre. Di una risata leggera, contagiosa. A volte inspiegabile ma benefica» (Marco Ansaldo). [28] Ogni volta che torna a casa, ad aspettarla c’è lo strudel di nonna Julia e la sfida a carte (lab biaten o watten) con il nonno Engelbert (Angelo), «che come lei ama barare sul punteggio. Qui ricarica le batterie, in una casa in cui come dice nonna Julia: ”L’importante è che lei e Peter non si facciano male”. E il nonno va ad accendere le candele in chiesa per i nipoti che si lanciano in picchiata». [15] Un piccolo rosario l’accompagna nelle picchiate tra le porte larghe del gigante. Chiusano: «Un talismano che viaggia sotto la calzamaglia, che ha la forma degli oggetti che piacciono tanto a mamma Rosemarie, presidente di un’associazione cattolica a Castelrotto». [1] Denise è fidanzata con Roland Fischnaller, azzurro di snowboard: «Stiamo insieme da sei anni, ci siamo conosciuti a un corso per maestri, poco dopo l’Olimpiade di Salt Lake City». [22] Arruolata nella Guardia di Finanza, in questa stagione ha già vinto più di 100 mila euro: «La metà andranno in tasse, ma anche 50 mila euro sono molti soldi e vorrei comprare una Volkswagen California, attrezzarla a camper con la cucinotta e i divani per girare insieme a Roland». [9] A Natale, col fidanzato hanno impastato e infornato il pane che poi ha regalato a casa, alle zie e ai nonni. [15] La conosciamo sul podio con le braccia levate al cielo, ma Denise Karbon è una donna molto più complessa. «Leggo e sento di tanti giovani in crisi, senza ideali, speranze, sogni. Faccio la mia modesta proposta: venite in montagna. Ma portate con voi un accessorio fondamentale. No, non vi parlo di vestiario o dell’ultimo i-pod, quassù serve soprattutto umiltà. Perché la montagna va rispettata, e se lo fai, ti può insegnare molte cose. Anche quando hai gli sci ai piedi. Non bisogna mai cercare di strafare. Con i materiali che utilizziamo adesso si rischia di pagare caro gli errori. Bisogna sempre tener presente la propria forza e le proprie capacità tecniche, e quando si è stanchi bisogna fermarsi. Il bello dello sci è sentirsi una cosa sola con la neve e per fare questo non servono forzature. Ma torniamo alla montagna che vi voglio raccontare. Quanti di voi conoscono il silenzio, quello vero? Bisogna provarlo. No, non vi sentirete soli, ma parte di una grande cosa. E avete mai provato a camminare in un bosco dopo la pioggia? Ci sono profumi sottili e incredibili, che non troverete mai in una profumeria». [29] «L’unico limite che ho è il rapporto con gli animali, forse perché in casa non ne abbiamo mai avuto uno. Giro alla larga dai cani e, anche quando attraverso un prato in cui le mucche pascolano, ho un po’ di soggezione. Ricordo quando ero piccola e andavo nella stalla di mia zia, le mucche erano placide ma lo stesso non ero a mio agio, sarà per la loro stazza, ma pensavo che se mi fossero cadute addosso mi avrebbero schiacciato». [29]