Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  gennaio 08 Martedì calendario

Il business della salute. La Repubblica 8 gennaio 2008. L´associazione americana degli studenti di medicina ha proposto di integrare il giuramento di Ippocrate: «Prenderò le mie decisioni libero dall´influenza della pubblicità

Il business della salute. La Repubblica 8 gennaio 2008. L´associazione americana degli studenti di medicina ha proposto di integrare il giuramento di Ippocrate: «Prenderò le mie decisioni libero dall´influenza della pubblicità. Non accetterò denaro, regali od ospitalità che mi mettano in conflitto di interessi con la professione». Negli Usa, che da soli ingoiano la metà delle pillole del mondo, le industrie farmaceutiche spendono per ogni camice bianco l´equivalente di 40mila euro in marketing. Fra i mezzi di pressione più usati: visite dei rappresentanti farmaceutici, campioni omaggio di farmaci, regali, inviti ai congressi. Ma nel bouquet del dirigente di marketing non mancano i finanziamenti alle società scientifiche (che raccolgono tutti gli specialisti di una disciplina), l´accordo con i medici affinché conducano nuovi esperimenti su un farmaco per allargarne il raggio di prescrizione o l´acquisto di pubblicità sulle riviste di settore. Si arriva così all´assurdo: per pubblicizzare un farmaco si spende il doppio di quanto non costi produrlo e testarlo. Il dato arriva da uno studio di due docenti dell´università del Québec di Montreal, Marc-André Gagnon e Joel Lexchin. «Le industrie farmaceutiche statunitensi nel 2004 hanno speso 57,5 miliardi di dollari per la promozione dei loro medicinali, contro i 31,5 miliardi spesi per ricerca e sviluppo di nuovi prodotti» scrivono sulla rivista Public Library of Science Medicine. In euro la cifra si traduce in 39 miliardi contro 21,4 ed è indice di cattiva salute per due ragioni: da un lato il piatto della bilancia della pubblicità è sempre più pesante (la spesa secondo Gagnon e Lexchin cresce di un miliardo di dollari all´anno); dall´altro la ricerca di nuovi medicinali gira a vuoto o quasi. Il 90% dei profitti delle case farmaceutiche arrivano da prodotti vecchi, in commercio da più di 5 anni. Quasi la metà delle pillole "blockbuster" (campioni di vendite) entro il 2009 non darà più profitto perché i brevetti sono in scadenza. E il mancato guadagno per le aziende toccherà i 106 miliardi di euro l´anno. «In psichiatria è dai tempi del Prozac che non abbiamo novità di rilievo. Si conducono sperimentazioni sempre più complesse e costose per affinare la conoscenza dei farmaci tradizionali, ma di veri progressi neanche l´ombra» spiega Giovanni Battista Cassano dell´università di Pisa. Se una gamba zoppica (l´innovazione), la reazione delle case farmaceutiche sembra essere quella di rinforzare l´altra: la pubblicità. La maggioranza dei medici nega che il marketing delle case farmaceutiche influenzi le loro prescrizioni. Ma il procuratore capo di Verona, Guido Papalia, la pensa diversamente. «Una nostra inchiesta nel 2003 ha coinvolto 2-3mila medici per comparaggio, ma la maggior parte dei casi è finita in prescrizione. Per altri professionisti accusati di corruzione e associazione per delinquere il dibattimento è ancora in corso. La casa farmaceutica Glaxo di fronte alle accuse ha finito con il patteggiare 2 milioni di euro per reato societario». Fra i regali ricevuti dai medici: computer, impianti stereo, libri o nei casi di comparaggio una percentuale sulle vendite dei farmaci. «L´inchiesta scattò a febbraio - racconta Papalia - e il mese dopo la Guardia di Finanza ci fornì i nuovi dati di vendita dei farmaci. In ogni regione d´Italia a eccezione del Lazio le prescrizioni erano diminuite tra l´8 e il 10%». Il conflitto di interessi travalica i confini della professione medica per toccare il giornalismo. A gennaio 2003, dopo un convegno a Santo Domingo con una trentina di reporter invitati a spese della Schering, uscì la notizia di una nuova pillola anticoncezionale in grado di rendere la pelle più bella. La Medicines Control Agency (agenzia britannica per la regolamentazione dei farmaci) bollò quegli articoli come "pubblicità ingannevole". «Le case farmaceutiche - concludono Gagnon e Lexchin - amano farsi raffigurare come enti impegnati a promuovere la nostra salute. Ma i nostri dati dimostrano che è il marketing la vera benzina che fa marciare i loro motori». Nel numero di venerdì scorso la rivista Jama (Journal of the American Medical Association) ha analizzato i rapporti finanziari fra singoli medici e industrie negli Usa. Sfruttando una legge sulla trasparenza che è stata introdotta in sei stati, la rivista è riuscita a documentare compensi che in alcuni casi sfondavano il tetto dei 600mila euro per un singolo professionista. Ma se in Europa e Stati Uniti alcuni codici etici e nuove leggi per la trasparenza aiutano quantomeno a far uscire dal torbido i legami fra medici e case farmaceutiche, è nei paesi emergenti che si consuma una vera guerra senza esclusione di colpi. Secondo l´azienda americana specializzata in studi di settore Ims Health, il futuro del mercato è nei 7 paesi "Pharmerging": Cina, Brasile, Messico, Corea del Sud, India, Turchia e Russia, che marciano con tassi di sviluppo del 12-13 per cento annuo. «Da noi - ha raccontato un medico indiano citato nell´ultimo rapporto "Farmaci, medici e cene" dell´associazione Consumers International - chi prescrive mille confezioni di un farmaco riceve un cellulare, 5mila danno diritto a un condizionatore, 10mila a uno scooter». ELENA DUSI ****** LA REPUBBLICA 08 GENNAIO 2008 MARCO BOBBIO Più pubblicità che ricerca: il fatto che la maggior parte delle multinazionali del farmaco investano generalmente più sul marketing che non sulla ricerca è un dato sostanzialmente noto da tempo e oggi viene confermato dallo studio pubblicata sulla rivista Plos Medicine. Su questo punto, inutile dirlo, le dinamiche seguono le leggi di mercato, in Italia come negli Stati Uniti. Ma perché la realtà sia quanto più vicina agli interessi della salute pubblica e non mascherata o ambigua è indispensabile che si realizzino due condizioni: primo, che la ricerca venga finanziata anche da agenzie indipendenti; secondo, che la promozione fatta dalle industrie sia pubblicità assolutamente esplicita. In Italia il ministero della Salute attraverso l´Aifa (l´Agenzia italiana del farmaco) finanzia un grosso numero di ricerche in campo farmacologico attraverso un processo di valutazione dei progetti di ricerca trasparente e ampio utilizzando come fondi proprio una parte di quei soldi che le industrie hanno investito nella pubblicità. Esiste dunque nel nostro Paese una sorta di meccanismo virtuoso per cui una percentuale delle spese destinate dai privati alla promozione del farmaco viene dirottata su un fondo utilizzato dall´Aifa per sponsorizzare la ricerca indipendente. L´anno scorso, per esempio, sono state inviate all´agenzia 454 lettere di intenti, cioè proposte di progetti di ricerca, e di queste ne sono state selezionate 99 che avevano una particolare rilevanza per il servizio sanitario nazionale. Una commissione internazionale di esperti le ha valutate a una a una e ha stabilito una graduatoria di quelle più meritevoli. Infine l´Aifa ne ha finanziate 51, per un totale di oltre 30 milioni di euro. Questo sistema assolutamente innovativo è italiano e credo unico in tutto il mondo. Nessuno mette in discussione che l´industria privata possa investire in pubblicità e possa farlo nella misura che ritiene più giusta. Il nocciolo della questione è la trasparenza di questa pubblicità perché spesso si tende a creare un equivoco tra quello che è l´aspetto di pura promozione e l´aspetto invece informativo. Molta industria finanzia congressi e campagne di informazione che in realtà mascherano vera e propria pubblicità. Noi medici quando parla un opinion leader non sappiamo se il giudizio che dà è un giudizio indipendente oppure se è condizionato in qualche modo dai finanziamenti che ha ricevuto dall´industria farmaceutica. Per questo serve più trasparenza e un sistema che garantisca l´informazione corretta. ********* ELENA DUSI REPUBBLICA 08/01/2008  "Trolley zeppi di creme e Rolex sul letto d´albergo". Roma. Le "Giornate pediatriche d´inverno" sono un congresso medico in programma da quasi trent´anni a Madonna di Campiglio. I lavori iniziano ogni giorno alle 16, a impianti chiusi, e si concludono con la gara di sci fra i pediatri. «Non c´è nulla di male. Incentiva la partecipazione» fa notare un pediatra. Rispetto agli scorsi anni il clima dei convegni è migliorato, complice Mani Pulite. Oggi la presenza di un medico a un congresso pagato dall´industria è subordinata all´accettazione ministeriale, e questo esclude gli inviti alle mogli. Gli extra degli alberghi non sono più pagati (niente più saune e massaggi gratis) e i regali per legge devono essere solo simbolici (penne e oggetti da scrivania). Le ditte stesse in molti casi si sono dotate di codici etici. «Ricordo in passato congressi su navi da crociera - dice Pietro Pietrini, biologo molecolare dell´università di Pisa - o colleghi che viaggiavano in Concorde». Oggi le case farmaceutiche rimborsano per lo più voli in classe economica e non prenotano alberghi con più di 4 stelle. La sera dopo cena organizzano visite ai musei, spettacoli o (nelle località più esotiche) serate con la danza del ventre. «Il clima è migliorato, ma molti congressi continuano ad assomigliare a bazar: pochi medici nelle sale e stand delle case farmaceutiche zeppi» racconta Giuseppe Novelli, genetista dell´università Tor Vergata, che prosegue: «In un congresso di dermatologia a Buenos Aires una ditta regalava dei trolley. C´erano i congressisti in fila dalle 8 del mattino. E quante creme di bellezza o novità per la depilazione finivano in quelle valigie». Mario Falconi della Federazione dei medici di medicina generale ricorda un convegno a Montecarlo: «In camera trovai un Rolex. Fu molto imbarazzante». I medici italiani, a detta di molti protagonisti, ai congressi si presentano volentieri ma non brillano per attenzione alle relazioni scientifiche. Orlando, meta dei grandi appuntamenti, ha strutture ricettive per eventi da 20mila persone. Ma è pericolosamente vicina ai parchi Disney e Cape Canaveral. Badge elettronici per i congressisti e questionari finali per valutare l´attenzione prestata non bastano a popolare le relazioni scientifiche. All´università della California a San Francisco, lamenta nel 2003 un articolo del British Medical Journal, «ogni giorno all´ora di pranzo compare un banchetto di pasta o pizza sponsorizzato da una casa farmaceutica». E tra il 2000 e il 2003 «la spesa farmaceutica dell´università è cresciuta del 12%». La stessa rivista nel 2006 denuncia una cena offerta dalla Roche a 300 oncologi nel ristorante della Sydney Opera House: caviale, sashimi e vini francesi portarono il conto complessivo a 39mila euro, verificò il Journal. Un´altra strategia delle case farmaceutiche consiste nell´offrire a un ospedale, un dipartimento universitario o allo studio di un medico di famiglia computer, stampanti o apparecchi diagnostici sotto forma di comodato d´uso. In alcuni casi i medici sono divisi in categorie: dai "grandi prescrittori di ricette" ai giovani con uno scarso "valore di mercato". Inviti ai congressi, richieste di consulenza, incarichi per condurre trials clinici, rimborsi per il reclutamento dei pazienti e compensi per le relazioni ai convegni variano a seconda della categoria cui un professionista appartiene. «Rimborsare un medico per un lavoro scientifico non è scorretto in sé - dice Francesco Violi del Policlinico Umberto I di Roma - ma andrebbe dichiarato. Invece da noi ricevere soldi da un´azienda è motivo di vergogna. E spesso si preferisce tacere». ******* LA REPUBBLICA 08/01/2008 Presto in commercio la pillola senza ormoni. Una pillola senza ormoni, e quindi con meno effetti collaterali dei tradizionali contraccettivi. E’ stata testata su cellule umane e su quelle delle cavie di laboratorio con risultati promettenti e tra qualche anno potrebbe essere in commercio. La pillola è stata presentata da Zev Williams del Brigham and Women’s Hospital di Boston al congresso annuale dell’American society of reproductive medicine a Washington. Permette di bloccare la produzione di una proteina che è indispensabile per far aderire gli spermatozoi alla superficie dell’ovulo e scongiura così l’ipotesi di una gravidanza indesiderata