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 2008  gennaio 08 Martedì calendario

Stockhausen. La Repubblica 8 gennaio 2008. Alle famose Olimpiadi del 1972, a Monaco, fra la metallofonia degli altiforni e l´Apocalypsis cum figuris di Grotowski e i lampi dei laser nel buio vegetale sullo schiumeggiare dei flutti confluenti (e poi l´improvviso tragico massacro degli atleti israeliani), la profonda e struggente notte bavarese appariva più stregata e misterica che in Wagner, o in Berlioz

Stockhausen. La Repubblica 8 gennaio 2008. Alle famose Olimpiadi del 1972, a Monaco, fra la metallofonia degli altiforni e l´Apocalypsis cum figuris di Grotowski e i lampi dei laser nel buio vegetale sullo schiumeggiare dei flutti confluenti (e poi l´improvviso tragico massacro degli atleti israeliani), la profonda e struggente notte bavarese appariva più stregata e misterica che in Wagner, o in Berlioz. Sulle pendici boscose del Giardino Inglese, tra cespugli e fogliami "selvaggi" e hippies che fumano entro le pellicce afgane, cinque bande di strumentisti si dispongono in punti lontani, con amplificatori potentissimi alla luce delle torce. Avvolti in plaids e ponchos pesanti e protetti contro l´umidità dalle pettinature lanose, dispongono gong giganteschi e raffinate pentolacce sud-est-asiatiche, appese ai rami. E un trasalimento di sommessi rintocchi di gamelan, caro souvenir di Bali e di Artaud, incomincia a percorrere i complessi e le radure e le siepi, e noi: è la «musica per parchi», anzi «di stelle» (Sternklang) di Karlheinz Stockhausen. In questa disseminazione di melismi e bagliori, fra trattenuti accordi metallici, comincia a snodarsi come esitando (o stanno ancora provando?) un vocalizzo cantilenante simile alle litanie tantriche e mantriche apprese dagli eremiti shintoisti e indù ed eseguite da John Cage e Allen Ginsberg per placare gli animi assediando con blandizie ipnotiche i sensi, anche a Tangeri. Stupendi chioccolii repressi in gola, fra i mirabili coccodè delle chitarre elettriche e i solenni interventi delle percussioni ancestrali di Surabaja e Jogjakarta, combinati con la potenza elettronica tedesca e con le tradizionali lusinghe notturne dell´Englischer Garten. (Ma chissà se l´esecuzione è già cominciata?). Sempre più maestoso, il suono erratico si sposta da un gruppo all´altro, spegnendosi qua e sorgendo più in là, col pubblico dietro, sull´erba bagnata, fra barbagli di sigarette e televisioni e baruffe di cani a soggetto. Accompagnato da una grossa fiaccola, un suonatore di ocarina corre da un gong all´altro, mentre la chitarra di Liverpool si confonde con la sega dello Sri Lanka. In un´aura iniziatica da Flauto magico i poliziotti ridono sulle panchine, i maschiacci anche soft in cuoio nero si riprendono i loro territori. L´aroma dell´hashish si spande tra le frasche, un pittore con cavalletto e berretta ritrae i meditanti in sacchi a pelo. I musicanti continuano a tirare le loro vocali - «oo-ii-oo... uu-oo-uu... « - leggendo sullo spartito figure zodiacali (Sagittarius, Capricornus...) che rinviano a costellazioni nel cielo umido. Come se la lettura dei segni stellari sulla pagina di Stockhausen e nel cielo sopra Monaco fosse una buona preparazione all´ascolto dei misteriosi suoni degli astri. Torna Marsilio Ficino, tutto è perdonato! aspettavamo solo te? Ci si domanda perciò: quali effetti iniziatici analoghi potrebbe rendere una esecuzione identica (e ben monitorata, s´intende) alle Cascine piene di rificolone in calze a rete, al parking dei TIR sbrigativi a Scandicci, in un Parco Lambro affollato di Re Nudi, e magari in una Villa Borghese transennata o in un Auditorio RAI attrezzato ad hoc?[ * * * ] Passa una decina d´anni, siamo ad una Scala invasa da megalomanie impiantistiche ormai smisurate: sciami di cavi e cordami e furgoni fuori, tipo Cape Canaveral, batterie di consolle da disc-jokey spaziale, con falangi di tasti come quando i computer non erano ancora portatili. E tutto questo allestimento da Cia e Pentagono intorno a un titanico Pianeta Terra molto planetario montato da Gae Aulenti e Luca Ronconi con almeno un paio d´Afriche e Americhe del Sud. Squilli di trombe uso Bayreuth dalla terrazzetta sopra il Biffi Scala e la fermata del tram. Poi, dentro, lo spettatore-utente in preda ad associazioni mnemoniche e segniche molto denotative e pochissimo libere (come quando un crocifisso fa venire in mente Gesù Cristo, però fra due corna di cervo ricorda un amaro digestivo) magari non sospira «diviiino!» o «anche questa è fatta» come ai Sant´Ambrogi di prammatica, ma forse non evita qualche riflessione involontaria. Sul germanesimo, atavico e irresponsabile: dopo tutto, Wagner muore un anno prima della nascita di Hitler; e Bruckner, lì a Linz, poco dopo, senza ammazzare nessuno. Ma qui, fuori dalle contingenze politiche, e in base alla profondità e potenza del Geist (spirito) e del DNA etnico di una Stirpe e Schiatta forte - e irriducibile, come le "etnie" da Gerusalemme alla Mecca a Pechino o Tokyo - qui tutte le famiglie Wagner e Riefensthal e Speer potrebbero applaudire senza riserve il mega-rituale germanico tradizionale nelle Norimberghe di rappresentanza nazional-corale. Già nei Maestri cantori, senza aspettare gli anni Trenta: «Onorate i vostri gloriosi geni e maestri tedeschi, contro ogni fumisteria e cianfrusaglia meridionale!». E del resto, i tanti drammi epici sull´eroe teutonico Arminio celebrano la sua vittoria di Teutoburgo sopra i Latini, non contro i Giudei. I nemici romani, in pasto agli orsi emblemi di Berlino e delle birre, secondo Kleist: altro che camere a gas in periferia. Alla Scala, un quarto di secolo fa, si ebbe così la sensazione di recuperare le sensazioni anagraficamente perdute alle Olimpiadi berlinesi del ”36 e al Congresso degli scrittori a Weimar nel ”42, ove parecchi intellettuali italiani poi antifascisti nel dopoguerra famosamente accorsero, senza notare che vi era Buchenwald nelle vicinanze. Il programma di Donnerstag aus Lich è chiarissimo, senza infingimenti. Nascita e Infanzia e Adolescenza e Formazione e Apprendistato mitologicamente ancestrale ed elettronicamente attuale di un sempiterno Sigfridino assolutamente «chiamato e destinato» alle arti ariane inscindibili della musica e della caccia e della guerra e del progresso tecnologico. Precedute da un pellegrinaggio iniziatico planetario, e mirate a una dominazione prusso-renano-bavaro-sassone su questo e altri mondi. Basandosi su una ritualizzazione spiritualizzata e stilizzata di un Comando Supremo perentoriamente individuato con simboli graficamente precisi sulle uniformi di una Classe Eletta molto chiara, e dominante sopra i degenerati meridionali scuri. (Ma «Welsche», un´ingiuria secondo Wagner, era un complimento per Proust). Certo, ci si ripete continuamente, non bisogna fare d´ogni erba un fascio; né una svastica. E quindi, mai devi domandarti se la Nuova Oggettività germanica o l´espressionismo di Grosz colpivano di più il nazismo o la Repubblica di Weimar. O se gli oggetti rustici della quotidianità germanica in Joseph Beuys non siano inevitabilmente gli stessi delle famigliuole agresti in ascolto a una radio d´epoca nella pittura favorita da Goebbels. Nonché: il Sigfridino uno e trino in questo Giovedì da luce necessariamente riproduce o duplica il classico «fanciullo viandante» a piedi per sentieri boscosi in calzoncini e bretelle e scarponi e zainetto e bastone secondo la pittura ottocentesca da salotto come nelle foto realistiche di August Sander ormai un secolo fa. E nei manifesti razziali, anche. Il protagonista Michael, figlio del compositore e buon trombettista, accompagnato al piano dalla sorella Majella, sarebbe un bimbo prodigio nato povero in una famiglia spettrale, che gli insegna a cantare, danzare, pregare, cacciare, sparare, e far teatro. Ma presto il giovane deve affrontare una serie di esami (tutti con lode) davanti a una commissione estremamente meritocratica. Macché permissività, scegliersi un curriculum, contare sui voti collettivi ai figli dei fiori o della contestazione. Altro che mancanze di rispetto alle gerarchie accademiche. Sia ben chiaro che si esige tuttora una "Bildung" iper-elitaria presso una rigorosa e prestigiosa istituzione teutonica, per poi dominare come gran maestri di musica e pensiero le masse di sudditi sul territorio, gli utenti dei decentramenti, i fruitori della scolarità generalista, i borsisti delle ricerche su pinzillacchere, i convegnisti e gettonisti degli assessorati, e magari i mimi dell´animazione di strada. Ma le «associazioni libere» teorizzate da Freud circa la sventurata isteria possono qui agire, secondo quel sommo come tremendi «polipai di immagini». (Anche acustiche, dunque sempre peggio). Così, per chi da piccino stava attaccato alla radio, le prove del Michael-Sigfridino appaiono circonfuse da un´aura di «Ora Ritmosinfonica Cora» (EIAR, 1940...) col Maestro Semprini al pianoforte, in variazioni ballabili di Chopin a Brahms: come attualmente Uri Caine e altri, nelle manifestazioni festivalizie e filodiffusive. E assoli di legni e ottoni che senza il minimo «ironizzare» evocano burberamente un accigliato Duke Ellington che attraversa una rude Zarah Leander per raggiungere con la massima gravità Gorni Kramer e Natalino Otto, mentre i vecchi palchi della Scala si sciolgono in tenerezza anche in scena, credendo di riudire «La nebbia portata dal vento, là nella valle in fior, fischia il vapor sulla strada ferrata, quanto rumor nella notte stellata»... Beati, senza le tradizionali contestazioni in Piazza della Scala, dopo aver dribblato e scavalcato i cavi e camion dell´apparato elettronico industriale e padronale, i vecchi e nuovi palchi senza sottosegretari né mannequins da "evento" si inteneriscono per gli innocenti dialoghi fra trombe e tromboni adolescenziali che comunicano come Gelsomina e l´amico clown nella Strada con assai meno mezzi. Ma quando il bamboccio armato sale su una torretta da Lager, come servivano forse per sparare dalle ville Wilnifred contro chi scappava a metà dei Sigfridi anche prima di Hitler, la libera associazione freudiana fra Stockhausen e Mauthausen dà qualche brividino agli spettatori, forse. Ma mentre i personaggi si duplicano e triplicano in figure parentali-edipiche e astrali-iniziatiche (Eva, Luneva, la Mamma) un contrasto fra due strumenti a fiato può esprimere, infantile e adulto, una annosa disputa fra il Bene e il Male. Ancorché nel progetto o Messaggio la presentazione delle situazioni molto "universali" sia attentamente ecumenica, conciliare, terzomondista con le nipotine etniche di Turandot, Liù, Aida, Amneris, Dalila, Salomè, Madama Butterlfy, e forse anche Elektra, Isotta, Carmen, Cleopatra, Semele... Giacché il Sigfridino trombettiere sembra affacciarsi (come nelle riviste d´una volta, con samba-caramba e tipitipitìn, tulipàn) nei diversi paesi ove le avanguardie musicali degli anni Cinquanta hanno gustato vibrafoni e gamelan e tamtam e tomtom da Bali al Tibet all´Africa Fantasma ai più esclusivi romitaggi sopra Kyoto e fra i Poli. Ove l´orchestra in abiti di pinguini ci ricorda un´analoga scena dei Legnanesi: «Siam quaggiù - fra gl´iglù - siam venuti di lontano - ma ci par sempre Legnano». Le tappe sono le stesse dei viaggi mondiali di Papa Wojtyla. Le razze elette sfoggiano portamento eretto con tuniche chiare e gesti ieratici per gli interminabili rituali fra una guerra stellare e un´altra, presieduti da qualche Marlon Brando quale samurai-Parsifal-Pio XII. Segni e contrassegni con occhi e triangoli da Flauti Magici, croci e circoli pop come sulla schiena di Superman o sui muri con «la Balduina è nera». Nel libretto si incoraggiano altre stragi di Romani a Teutoburgo, e verghe virili che riducano gli avversari a tappetino e sgabello (come nei Salmi e in Händel, poi accontentati anche in Italia e Polonia). Frattanto cori invisibili e inudibili cantano una rara Apocalisse "siriaca" di Baruch, peraltro. Ma si annunziano «nuovi problemi» da parte di Luzifer: il contrario dei «no problem» attuali. E infatti irrompe un Maligno nero e dispettoso, molto in disordine, come quando turbava le Sante nei teatrini vaticani d´una volta. (E loro: «Scignore scialvami, la carne è debbole»). Ora, piuttosto, come gli zingari che turbano le caffetterie ferroviarie tedesche. Molta astrofisica misteriosofica; mantra, manga, iniziazioni con guru e swami. Numeri decisivi, come sempre: 3, 7, 12. Filmini giganteschi con sole in macchina fra betulle, e batteri osservati al microscopio. Ma la musica, i testi, le danze, le azioni e i gesti sono stati creati da Stockhausen, stesso, come i tre figli che partecipano all´esecuzione. E nell´immenso libro delle istruzioni vengono specificate le posizioni degli strumentisti e le installazioni tecnologiche con le tastiere computerizzate e gli anelli di luce e perfino gli innumerevoli cenni con le dita ad angoli prescritti. Ovviamente, il messaggio liturgico del «lasciatevi condurre dal bimbo piccolo per la salvezza dell´umanità» fa un po´ sorridere, affogato nella macchinosità mostruosa delle tecnologie che dovrebbero comunicarcelo. Ma l´impiantistica di Stockhausen è sempre arzigogolata anche nelle performance molto più piccole: come sovente, e anche recentemente, all´Accademia Filarmonica Romana. Si pone dunque, pesantemente, il solito problema della Ricezione. Vecchia solfa: che succede quando un messaggio viene emesso, ma non recepito? Esiste? Come un libro non letto? Come una lezione «ai banchi vuoti»? Per vari illustri studiosi, il lettore diventa addirittura coautore. (Bum?). Ma se recepisce i classici fischi per fiaschi? Sarebbe brutto? O non sarà comunque meglio, per l´autore stesso, se poi il fruitore della comunicazione fruisce Roma per Toma o viceversa, infischiandosi del manualone di istruzioni, invece di mandare "tout court" a quel paese le funzioni più astruse per i più "avanzati" maniaci dei telefonini e computer? Altro Big Problem. (Altro che i «wieder Probleme» causati da Luzifer). Se questi lavori così "mondiali" e minuziosi, e pedanteschi di Stockhausen verranno gestiti dai normali rinomati registi tedeschi che regolarmente da decenni nelle più illustri e sovvenzionate sedi mettono Wotan e le Valkirie e Tristano e le disgraziate di Schönberg nelle discariche ex-DDR e nei cessi graffiti dell´U-Bahn berlinese... Si sono viste SS e tute mimetiche sia a Gerusalemme sia a Micene, per Strauss. E Isotte in pensioncine con tappezzerie e stufette fetide. Paltoncioni, mollettoni rigenerati, archeologie industriali cadenti, gasometri in disuso, jeans tagliuzzati, magliette zozze con loghi di porcherie... Siamo qui in ansia, ripeteva Totò. Fruitori e utenti, secondo gli adepti di Barthes. «Studio - reihe neue musik» e «gruppen» o «carré» per tre o quattro o più orchestre e cori multipli, quando si era bimbi engagés e belli. E poi, magari, Nuovi Gruppi considerati magari vecchi scocciatori, nel Nuovo Millennio impietoso ma comodo. «E mo´?», ora che anche i graffiti e i postmoderni invecchiano tra fondazioni e sponsors, signora mia a Baden-Baden? ALBERTO ARBASINO