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 2008  gennaio 07 Lunedì calendario

Con tre dipendenti laureati su 4 siamo la Microsoft delle scarpe. Il Messaggero 7 gennaio 2008. DEL CONDUCATR, del condottiero ha il piglio, l’istinto strategico, l’ambizione, la fantasia

Con tre dipendenti laureati su 4 siamo la Microsoft delle scarpe. Il Messaggero 7 gennaio 2008. DEL CONDUCATR, del condottiero ha il piglio, l’istinto strategico, l’ambizione, la fantasia. Ha creato dal nulla un impero sul quale non tramonta mai il sole. Un impero che Mario Moretti Polegato, insonne, guida e che si espande a vista d’occhio e di fatturato. il Carlo V delle calzature, ma, a differenza del sovrano asburgico, non cova aneliti mistici. Ha fatto di Montebelluna, nel Trevigiano, la capitale e la mecca della ”scarpa che respira”. Un modello di efficienza e di eccellenza in un’Italia dove la demagogia, la litigiosità, l’esosità, il pressapochismo, il lassismo della classe politica stanno producendo più guasti e mietendo più vittime di un’epidemia. Quella di Moretti Polegato è una vita esemplare, che avrebbe entusiasmato Plutarco e appassionato Lytton Strachey. Una vita che tutti i giovani dovrebbero conoscere e prendere a modello, facendo tesoro della grande lezione di chi da lustri la impartisce. Il suo debutto nel mondo delle calzature? L’idea mi venne nel 1989. E l’azienda, quando nacque? Nel 1995. Perché Geox? Geo, in greco, significa terra. E X?  sinonimo di tecnologia. Il vostro posto in Italia? Il primo. Nel mondo? Per le scarpe, il terzo. Con un tasso di crescita del trenta per cento. Quante scarpe producete? Nel 2007, dai nostri stabilimenti ne sono uscite ventun milioni. Contro i quattro e cinque del 2002. La fascia? Medio-alta. Quanti negozi nel mondo? Plurimarca, undicimila. Monomarca? Settecento, di cui ventidue solo a Milano. Quanti stabilimenti in Italia? Le scarpe sono prodotte in outsourcing. In Italia? Nelle Marche, in Toscana, nel Napoletano. Nel mondo? In ventotto Paesi, fra cui il Brasile, l’Est europeo, la Cina, l’India, l’Indonesia. Il quartier generale? A Montebelluna. I dipendenti? Fra diretti e indiretti, gli addetti sono trentacinquemila. Quanti laureati? Il 75 per cento. Siamo una specie di Microsoft. Il fatturato? L’ultimo (2006) di seicentoquindici milioni. Il prossimo? Visto l’andamento, gli analisti prevedono settecentocinquanta milioni. Meglio assumere un giovane pieno di entusiasmo o uno meno giovane con tanta esperienza? L’entusiasmo è necessario quanto l’esperienza. Cosa chiede ai dipendenti? Buona volontà, sincerità, onestà. E, naturalmente, ambizione. E cosa gli offre? La possibilità di emergere, di far carriera, di girare il mondo. E ai suoi dirigenti? Di essere parte vitale dell’azienda, di sentirsi anche loro padroni. La nostra è un’azienda manageriale, non familiare. E cosa chiede a se stesso? La salute e la concentrazione sull’azienda e sui suoi obiettivi. Voglio essere un vero imprenditore. Con un senso etico, che chiedo anche ai collaboratori. Il suo primo fatturato? Quello ricavato dalle cento paia di scarpe messe in vendita in un negozio multimarca milanese. Le smaltì tutte? No: molte tornarono indietro. Ma non mi persi d’animo. Non ho mai dubitato di farcela. Quanto investite nella ricerca? Il tre per cento. In azienda è più amato, temuto, invidiato? Sono per ognuno il punto di riferimento, la garanzia. Sono il leader. Leader o padre-padrone? Leader. Passo nei reparti, saluto tutti perché conosco tutti. Molti anche per nome. Le doti di un buon imprenditore? La creatività, la capacità d’innovazione e di scegliere i collaboratori, di gestire il progetto. Leader è chi sa convincere i seguaci (nella fattispecie, i dipendenti) della bontà delle sue idee e della redditività delle sue scelte. Chi vi dà più filo da torcere? Nessuno. Non ha competitori? No. Che sangue scorre fra lei e i politici? I politici sono assenti. Si limitano a non mettermi i bastoni fra le ruote. E fra lei e i sindacati? I capi vengono a Montebelluna, toccano con mano quel che ho fatto e come l’ho fatto. Si rallegrano con me. Ricordano che a Montebelluna c’era solo una filanda. Lo statuto dei lavoratori è sempre attuale? Sì, ma c’è, rispetto al passato, molta più flessibilità. Grazie a che cosa? Alla delocalizzazione. Il tecnico specializzato sostituirà presto il manovale. La legge Biagi è una buona legge? Sì. Perché? Perché consente più flessibilità.  felice anche lei di pagare le tasse? Felice o infelice, un buon cittadino deve pagarle. Una sola cosa mi rammarica: vedere sperperare tanto denaro pubblico. Ha mai pensato alla politica? Chi fa politica la deve fare bene, e a tempo pieno. Io, a tempo pieno, faccio scarpe. Chi comanda oggi in Italia? L’impresa. O, meglio, le forze produttive collegate al sistema. E chi ubbidisce? Non si tratta di ubbidire. Si tratta di rispettare le regole. Gli imprenditori, i veri imprenditori sanno che la rete mondiale li tiene sotto osservazione. Perché il nostro Parastato è così improduttivo? Il grande problema in Italia è il Sud: troppi giovani sono senza lavoro e, quel che è peggio, senza prospettive. L’obiettivo del Mezzogiorno? Produrre come al Nord. L’Italia ha più bisogno d’imprenditori, di banchieri, di statisti o di fantasisti? Tutti sono indispensabili. Purtroppo qualcuno passa dall’impresa alla politica. Magari sognando allori quirinalizi. Cosa sarebbe dell’Italia senza l’Europa? Sarebbe diventata un feudo. Non mi chieda di chi. Cos’è l’Unione europea? Non è ancora un’entità reale. Quando lo sarà? Quando avrà una costituzione, una difesa, un’economia comuni. Siamo sempre un Paese libero, liberale e liberista? Sì. Cosa c’è di buono nel capitalismo? Dà all’uomo la possibilità di affermarsi, di esprimere al meglio le sue possibilità e i suoi talenti. E di cattivo? Lo diventa quando non difende il debole dalle prevaricazioni del più dotato e aggressivo. Da cosa nasce l’invidia sociale? L’invidia è congenita nell’uomo. L’importante è contenerla. Se un suo concorrente ha successo? Se meritato, ne sono felice. L’inflazione distrugge solo l’economia o mette a repentaglio anche la democrazia? Fino a ieri l’Italia è convissuta con l’inflazione. Poi, ha saputo reagire. A cosa è dovuto lo strepitoso boom economico indiano e cinese? Alla voglia di fare, di emergere, di riscattarsi, delle due grandi potenze asiatiche. Fa ancora l’agricoltore e il vignaiolo? No. E, in famiglia, chi lo fa? Lo fa, con grande successo, mio fratello Giancarlo. Io produco ventun milioni di paia di scarpe. Lui ventun milioni di bottiglie di vino e di prosecco. Lei lavora o sgobba? Lavoro, e non mi risparmio. Sono il padre di tanti figli. E chi sono questi figli? I miei progetti. Quante ore al giorno allo scagno? Mai contate. A occhio e croce? Tante. Ha mai fatto il passo più lungo della gamba? Mai. Sono cosciente che l’impresa è un rischio. Per garantirle la salute e il buon rendimento va amministrata come Dio comanda. Cioè? Con responsabilità, ordine, pulizia. Tutto va fatto al meglio e alla luce del sole. La ricchezza dà la felicità? No. E cosa dà? Le comodità. Solo queste? A me anche la possibilità d’incontrare e dialogare con i big mondiali in ogni campo. Cosa fa quando non fa l’imprenditore? Vedo gli amici, i vecchi amici d’infanzia. Serate insieme all’osteria a ”ciacolare”, a raccontare barzellette, a ricordare il tempo passato. Rimpiangendolo? No: ogni frutto ha la sua stagione. Hobby? I cavalli, le moto, la palestra. Amo le cose semplici. L’ultimo rifugio, diceva Oscar Wilde, delle persone complicate. Ma io non sono complicato. Io sono quello che sono. Io sono me stesso. Indossa mai le pantofole? Prima delle scarpe Geox, sì. Oggi? Non più. Si può brindare a Venere con un paio di scarpe Geox? Le coup de canapé, la volgare ”sveltina”, rende l’operazione possibile. Ma uno se le può anche togliere. un attimo. Qualcuno ha mai cercato di farle le scarpe? Nessuno. Cos’è stato, e cos’è, per lei il successo? Sa cosa diceva Churchill? Ne ha dette tante. ’Il successo non è mai definitivo”. La vita te lo può sempre revocare. ROBERTO GERVASO