La Stampa 07/01/2008, ALESSANDRO BARBERA, 7 gennaio 2008
Giochi proibiti sul petrolio. La Stampa 7 gennaio 2008. ROMA. Lo speculatore tipo sul mercato petrolifero ha il volto della massaia del New Jersey o di un dentista dell’Ohio
Giochi proibiti sul petrolio. La Stampa 7 gennaio 2008. ROMA. Lo speculatore tipo sul mercato petrolifero ha il volto della massaia del New Jersey o di un dentista dell’Ohio. Per loro comprare un contratto «futures» sul petrolio al New York Mercantile Exchange è semplicissimo: basta un conto nello Stato di New York e un deposito pari a circa il 10% del valore della transazione. Un futures su mille barili di petrolio con scadenza maggio a 98 dollari ne costa 98.000, basta versarne 9800. Se il contratto scommette che a primavera il barile varrà 110 dollari e alla scadenza il valore è salito, incassano la differenza. Se nel frattempo il barile scende, ci perdono. Dire che i picchi dei prezzi del gasolio di questi giorni dipendano da quanti dentisti americani fanno affari al Nymex sarebbe troppo. Ma poiché di petrolio c’è sempre più domanda, e il barile comincia ad essere richiesto come l’oro o il platino, è vero che il prezzo del petrolio lo fa ormai la grande speculazione finanziaria. Gli enti federali americani che vigilano su queste transazioni stimano la speculazione pura nel 17-20% degli scambi. Il resto, almeno in teoria, dovrebbero essere operatori «commercial», ovvero coloro che comprano e vendono petrolio vero. I più grossi ed esperti sono le grandi banche d’affari come Morgan Stanley, Merrill Lynch, Goldman Sachs, Bnp Paribas. A loro basta avere la commessa da qualche grande produttore e uscire dalla lista degli speculatori puri. Così invece non è: secondo alcune stime il mercato degli speculatori è pari al 60% degli scambi al Nymex. Basta leggere le statistiche che raffrontano la quantità di petrolio estratto con quello scambiato: uno studio di ottobre del Center for Global energy studies stimava che in un giorno sul solo mercato di New York si scambiano mediamente oltre 500 milioni di barili contro gli 85 milioni estratti. «Il prezzo del petrolio lo fa il mercato», dice il ministro del Petrolio saudita Ali Al Naimiil. Ha motivo di compiacersene: Davide Tabarelli di Nomisma Energia stima che un barile di greggio costi ai produttori sauditi circa cinque dollari. Il prezzo di un panino per uno qualunque degli operatori del Nymex attorno a Wall Street. Per noi italiani, che compriamo all’estero l’82% della nostra energia, c’è da rifletterci. Umberto Carpi, consigliere del ministro Pierluigi Bersani, si accalora: «La politica farebbe bene a smettere di strapparsi le vesti per i Dico e i sistemi elettorali e occuparsi di più di questi problemi». Carpi considera la questione petrolifera un tema esplosivo: «Quando due mesi fa il barile valeva 80-85 dollari gli esperti discutevano se il peso della speculazione valesse 20 o 30 dollari. Oggi, poiché le condizioni strutturali della domanda non sono cambiate, non vedo a cosa dovremmo attribuire la soglia dei cento dollari. Dunque, nella più cauta delle ipotesi, su cento dollari almeno trenta li paghiamo a causa della speculazione». Tabarelli scuote la testa: «Calcolare quanto vale la speculazione è riduttivo. Per assurdo, se ragioniamo come si fa per le zucchine, la speculazione su un barile estratto dovrebbe essere pari a 95 dollari». Il direttore di Nomisma Energia non è d’accordo con i numeri di Carpi ma sulle cause vere della speculazione la pensa allo stesso modo: il problema petrolio è anzitutto un problema di domanda (troppo alta) e di offerta (sempre scarsa). «E’ inutile farne una questione religiosa o geopolitica», dice Carpi. «Il petrolio è purtroppo un bene sempre più caro. Soprattutto dopo la crisi dei mutui ”subprime” fare soldi con altri strumenti finanziari è diventato più difficile. Cosa c’è di meglio che vendere greggio?». Tabarelli annuisce: «Gli ultimi numeri che abbiamo raccolto ci dicono che l’anno prossimo la domanda di greggio salirà di circa due milioni di barili al giorno, ovvero la produzione media giornaliera di un grosso membro dell’Opec come la Libia». Tabarelli non è invece d’accordo con Carpi nel puntare il dito sulla speculazione: «Non c’è dubbio che si tratti di una esasperazione sulla quale i governi di tutto il mondo dovrebbero riflettere. Ma chi specula sul mercato del petrolio, esattamente come è avvenuto nel caso della crisi dei subprime, approfitta delle enormi masse di liquidità e di strumenti derivati a disposizione». Fu proprio una grande banca d’affari, Goldman Sachs, a scommettere per prima che il prezzo del petrolio avrebbe raggiunto quota cento. Era il febbraio del 2005. «Una profezia che sembra essersi auto-avverata. Ora io, come altri esperti del settore, scommetto che raggiunta la fatidica soglia il prezzo del barile comincerà lentamente a scendere». Questione di punti di vista. E di dentisti speculatori. ALESSANDRO BARBERA