La Repubblica 06/01/2008, pag.38 ANTONIO MONDA, 6 gennaio 2008
Ritratto di Diane Keaton
Fotografie per l’ eternità. La Repubblica 6 gennaio 2007. NEW YORK Sin da quando era bambina, e viveva con i genitori, il fratello e due sorelle nella cittadina di Santa Ana, in California, Diane Keaton ha collezionato migliaia di fotografie di personaggi che la incuriosivano per le espressioni dei loro volti, per i vestiti di ogni foggia a colore, e per il rapporto tra quello che essi volevano apparire nelle immagini che li immortalavano e quello che probabilmente erano nella realtà. Si trattava quasi sempre di foto in posa, che avevano per protagonisti commessi viaggiatori e star del cinema, clown di circhi secondari (e a volte i quadri che li ritraevano), e sconosciuti commercianti di quell’ area meridionale della California che oppone orgogliosamente l’ American way of life alla povertà del vicino Messico. Crescendo, la fotografia si rivelò per la futura attrice un’ ossessione costante, a cui si aggiunse quella del paradiso. Oggi la Keaton si dichiara agnostica, ma, probabilmente a causa della fede cattolica del padre Jeremy e di quella metodista della madre Dorothy, si è interrogata sin da piccola sull’ esistenza di questo luogo di premio e felicità eterna, al punto di dedicare al tema un documentario che ha diretto, intitolato Heaven. Le due ossessioni si sono intrecciate ripetutamente, e quando la Keaton ha cominciato a sua volta a fotografare, seguendo le orme della madre, ha dichiarato che «la permanenza può trovarsi solo nell’ immortalità promessa dai risultati dello scatto di una macchina fotografica», aggiungendo poi «che piaccia o no, la vita si muove velocemente, a differenza della fotografia». Da quando ha superato recentemente i sessant’ anni, l’ attrice ha cominciato a dare alla fotografia un’ importanza centrale nella sua carriera e nella sua intera esistenza, e negli ultimi anni ha dato alle stampe un libro con i suoi scatti, al quale vanno aggiunti, nell’ arco di circa un ventennio, una serie di altri libri con immagini che ha raccolto e commentato in collaborazione con Marvin Heiferman: Still Life, Mr. Salesman, Clown Paintings e, soprattutto, Local News, una raccolta di fotografie tratte dal Los Angeles Herald Express, un tabloid oggi scomparso. Per comprendere il suo appassionato rapporto con l’ illusione di cristallizzare il tempo, e di rivisitarne i momenti apparentemente più insignificanti con un misto di ironia e malinconia, è necessario ripercorrere le tappe di un’ esistenza segnata dall’ eccentricità, dalla poliedricità e dalla relazione che ha costruito con l’ immagine che ha proiettato sullo schermo. Oltre a essere una fotografa e un’ acuta osservatrice della fotografia altrui, questa attrice originalissima, che ha dimostrato di saper eccellere sia nella commedia che nei ruoli drammatici, è una produttrice intelligente (tra i suoi film Elephant, di Gus van Sant), una regista di indubbio mestiere e versatilità (ha firmato un episodio di Twin Peaks), una cantante di notevole sensibilità (si esibisce con ottimi risultati sia in Io & Annie che in Radio Days), un’ appassionata attivista della Los Angeles Conservancy per la difesa dei siti storici della grande architettura americana, un’ apprezzata arredatrice di interni, e un’ abilissima agente immobiliare: una delle sue clienti è stata Madonna, alla quale ha venduto una villa a Beverly Hills per sei milioni e mezzo di dollari, dopo aver tentato di scritturarla per un remake dell’ Angelo azzurro che avrebbe visto la Keaton indossare nuovamente i panni della regista. Pochi sanno che il suo vero cognome è Hall, e che sin da piccola fu chiamata da tutti Annie Hall, nome scelto da Woody Allen per il personaggio che le chiese di interpretare in uno dei suoi film più belli, e per il quale vinse il premio Oscar come migliore attrice protagonista. Fu la stessa Keaton, all’ epoca del film, a spiegare che Annie era un suo ritratto in chiave glamour, divertendosi all’ idea che quel suo squinternato modo di vestire diventasse una vera e propria moda, a cominciare dagli occhiali, che presero, paradossalmente, il suo vero nome Annie Hall. L’ eccentricità di molti suoi personaggi è il contraltare del gelo dolente della Kay Adams del Padrino, la donna wasp che va in sposa a Michael Corleone illudendosi che quest’ ultimo possa essere diverso dal resto della sua famiglia ma, rimasta incinta, decide di abortire quando si rende conto che il marito è diventato un boss sanguinario, perseguitato dal proprio destino. Negli anni la Keaton ha dimostrato molte altre possibilità espressive (basti pensare al carattere solitario e represso della Theresa Dunn di Looking for Mr. Goodbar e alla passione di Louise Bryant in Reds), ma sono i caratteri forti di questi due film la chiave di lettura più interessante delle immagini che crea e che ha collezionato: la Keaton appare ossessionata dal fatto che si possa essere dimenticati, e che ogni esistenza possa rivelarsi nient’ altro che la messa in scena di una sceneggiatura priva di senso. Il paradiso potrebbe non esistere, e quello che rimane alla fine di una vita sono le immagini "eternate", molto spesso inconsapevolmente. La Keaton ribadisce come sia necessario essere sinceri sia con la propria immagine che con la propria realtà più intima, e non è un caso che tra le attrici americane si sia distinta per una battaglia senza quartiere contro la moda della chirurgia plastica. Nella raccolta Still Life si vedono Ronald Reagan e Jane Wyman in pieno relax mentre prendono il sole all’ epoca del film Brother Rat, e la Keaton si interroga su cosa abbia rappresentato quel momento per un uomo che allora era solo un modesto attore che ammirava Franklyn Delano Roosevelt e si dichiarava un convinto democratico. Di lì a poco Reagan avrebbe lasciato la Wyman per Nancy Davis, intrapreso la carriera politica passando con i repubblicani, e alla fine di un’ irresistibile ascesa sarebbe diventato il quarantesimo presidente degli Stati Uniti. Tra le cose dimenticate legate all’ immagine fotografica che seduce l’ attrice c’ è anche il film, il cui pallido ricordo è legato unicamente alla presenza dell’ attore di secondo piano che sarebbe diventato presidente. Di fronte a una foto pubblicitaria di un impettito Gregory Peck su sfondo arancione, la Keaton dichiara: «è difficile amare qualcuno che non hai mai conosciuto, ma è facile spasimare per qualcuno che hai idealizzato al punto da pensare di essere innamorata». Apprendiamo che l’ immagine era detestata dalla star al punto che tentò di bloccarne la pubblicazione, e l’ attrice affida a questo scatto la confessione del suo sentimento ambivalente: «Sono attratta da un uomo che non conosco e che detesta la foto in cui a me sembra irresistibile». Appaiono decisamente più tristi, e decisamente più inquietanti, le immagini dei commessi viaggiatori e la luce fortemente contrastata con la quale si illudevano di attribuirsi autorevolezza, unita a un’ introduzione in cui la Keaton scrive che scrive «Willy Loman non era solo», proietta un’ ombra sinistra sull’ intero libro, come se l’ operazione editoriale nascesse dalla rivelazione che l’ American way of life è una menzogna e che la terra delle opportunità in realtà non esiste. Non meno malinconiche le foto dei quadri dei clown: per quanto cerchi di evitare lo stereotipo del pagliaccio triste, la Keaton si specchia in immagini nelle quali l’ umanità è ridotta a maschere che promettono una felicità fallace, e scrive: «Il clown non impara mai. Non pensa, recita. La sua esperienza di vita non lo rende più saggio, ma solo più sorpreso e più ferito». Nei prossimi mesi, l’ attrice darà alle stampe una nuova raccolta che ha per protagonisti cittadini di Forth Worth, nel Texas, immortalati da un fotografo senza ambizioni artistiche di nome Bill Wood. La solennità di vite troppo normali, proposta anche nelle immagini che scatta in prima persona, contrasta il mistero dell’ esistenza quotidiana, e, forse, di un paradiso che attende i migliori. Probabilmente è questo il motivo per cui la Keaton ha presentato la sua ultima raccolta spiegando: «Penso alla morte ogni giorno della mia vita». NEW YORK Sin da quando era bambina, e viveva con i genitori, il fratello e due sorelle nella cittadina di Santa Ana, in California, Diane Keaton ha collezionato migliaia di fotografie di personaggi che la incuriosivano per le espressioni dei loro volti, per i vestiti di ogni foggia a colore, e per il rapporto tra quello che essi volevano apparire nelle immagini che li immortalavano e quello che probabilmente erano nella realtà. Si trattava quasi sempre di foto in posa, che avevano per protagonisti commessi viaggiatori e star del cinema, clown di circhi secondari (e a volte i quadri che li ritraevano), e sconosciuti commercianti di quell’ area meridionale della California che oppone orgogliosamente l’ American way of life alla povertà del vicino Messico. Crescendo, la fotografia si rivelò per la futura attrice un’ ossessione costante, a cui si aggiunse quella del paradiso. Oggi la Keaton si dichiara agnostica, ma, probabilmente a causa della fede cattolica del padre Jeremy e di quella metodista della madre Dorothy, si è interrogata sin da piccola sull’ esistenza di questo luogo di premio e felicità eterna, al punto di dedicare al tema un documentario che ha diretto, intitolato Heaven. Le due ossessioni si sono intrecciate ripetutamente, e quando la Keaton ha cominciato a sua volta a fotografare, seguendo le orme della madre, ha dichiarato che «la permanenza può trovarsi solo nell’ immortalità promessa dai risultati dello scatto di una macchina fotografica», aggiungendo poi «che piaccia o no, la vita si muove velocemente, a differenza della fotografia». Da quando ha superato recentemente i sessant’ anni, l’ attrice ha cominciato a dare alla fotografia un’ importanza centrale nella sua carriera e nella sua intera esistenza, e negli ultimi anni ha dato alle stampe un libro con i suoi scatti, al quale vanno aggiunti, nell’ arco di circa un ventennio, una serie di altri libri con immagini che ha raccolto e commentato in collaborazione con Marvin Heiferman: Still Life, Mr. Salesman, Clown Paintings e, soprattutto, Local News, una raccolta di fotografie tratte dal Los Angeles Herald Express, un tabloid oggi scomparso. Per comprendere il suo appassionato rapporto con l’ illusione di cristallizzare il tempo, e di rivisitarne i momenti apparentemente più insignificanti con un misto di ironia e malinconia, è necessario ripercorrere le tappe di un’ esistenza segnata dall’ eccentricità, dalla poliedricità e dalla relazione che ha costruito con l’ immagine che ha proiettato sullo schermo. Oltre a essere una fotografa e un’ acuta osservatrice della fotografia altrui, questa attrice originalissima, che ha dimostrato di saper eccellere sia nella commedia che nei ruoli drammatici, è una produttrice intelligente (tra i suoi film Elephant, di Gus van Sant), una regista di indubbio mestiere e versatilità (ha firmato un episodio di Twin Peaks), una cantante di notevole sensibilità (si esibisce con ottimi risultati sia in Io & Annie che in Radio Days), un’ appassionata attivista della Los Angeles Conservancy per la difesa dei siti storici della grande architettura americana, un’ apprezzata arredatrice di interni, e un’ abilissima agente immobiliare: una delle sue clienti è stata Madonna, alla quale ha venduto una villa a Beverly Hills per sei milioni e mezzo di dollari, dopo aver tentato di scritturarla per un remake dell’ Angelo azzurro che avrebbe visto la Keaton indossare nuovamente i panni della regista. Pochi sanno che il suo vero cognome è Hall, e che sin da piccola fu chiamata da tutti Annie Hall, nome scelto da Woody Allen per il personaggio che le chiese di interpretare in uno dei suoi film più belli, e per il quale vinse il premio Oscar come migliore attrice protagonista. Fu la stessa Keaton, all’ epoca del film, a spiegare che Annie era un suo ritratto in chiave glamour, divertendosi all’ idea che quel suo squinternato modo di vestire diventasse una vera e propria moda, a cominciare dagli occhiali, che presero, paradossalmente, il suo vero nome Annie Hall. L’ eccentricità di molti suoi personaggi è il contraltare del gelo dolente della Kay Adams del Padrino, la donna wasp che va in sposa a Michael Corleone illudendosi che quest’ ultimo possa essere diverso dal resto della sua famiglia ma, rimasta incinta, decide di abortire quando si rende conto che il marito è diventato un boss sanguinario, perseguitato dal proprio destino. Negli anni la Keaton ha dimostrato molte altre possibilità espressive (basti pensare al carattere solitario e represso della Theresa Dunn di Looking for Mr. Goodbar e alla passione di Louise Bryant in Reds), ma sono i caratteri forti di questi due film la chiave di lettura più interessante delle immagini che crea e che ha collezionato: la Keaton appare ossessionata dal fatto che si possa essere dimenticati, e che ogni esistenza possa rivelarsi nient’ altro che la messa in scena di una sceneggiatura priva di senso. Il paradiso potrebbe non esistere, e quello che rimane alla fine di una vita sono le immagini "eternate", molto spesso inconsapevolmente. La Keaton ribadisce come sia necessario essere sinceri sia con la propria immagine che con la propria realtà più intima, e non è un caso che tra le attrici americane si sia distinta per una battaglia senza quartiere contro la moda della chirurgia plastica. Nella raccolta Still Life si vedono Ronald Reagan e Jane Wyman in pieno relax mentre prendono il sole all’ epoca del film Brother Rat, e la Keaton si interroga su cosa abbia rappresentato quel momento per un uomo che allora era solo un modesto attore che ammirava Franklyn Delano Roosevelt e si dichiarava un convinto democratico. Di lì a poco Reagan avrebbe lasciato la Wyman per Nancy Davis, intrapreso la carriera politica passando con i repubblicani, e alla fine di un’ irresistibile ascesa sarebbe diventato il quarantesimo presidente degli Stati Uniti. Tra le cose dimenticate legate all’ immagine fotografica che seduce l’ attrice c’ è anche il film, il cui pallido ricordo è legato unicamente alla presenza dell’ attore di secondo piano che sarebbe diventato presidente. Di fronte a una foto pubblicitaria di un impettito Gregory Peck su sfondo arancione, la Keaton dichiara: «è difficile amare qualcuno che non hai mai conosciuto, ma è facile spasimare per qualcuno che hai idealizzato al punto da pensare di essere innamorata». Apprendiamo che l’ immagine era detestata dalla star al punto che tentò di bloccarne la pubblicazione, e l’ attrice affida a questo scatto la confessione del suo sentimento ambivalente: «Sono attratta da un uomo che non conosco e che detesta la foto in cui a me sembra irresistibile». Appaiono decisamente più tristi, e decisamente più inquietanti, le immagini dei commessi viaggiatori e la luce fortemente contrastata con la quale si illudevano di attribuirsi autorevolezza, unita a un’ introduzione in cui la Keaton scrive che scrive «Willy Loman non era solo», proietta un’ ombra sinistra sull’ intero libro, come se l’ operazione editoriale nascesse dalla rivelazione che l’ American way of life è una menzogna e che la terra delle opportunità in realtà non esiste. Non meno malinconiche le foto dei quadri dei clown: per quanto cerchi di evitare lo stereotipo del pagliaccio triste, la Keaton si specchia in immagini nelle quali l’ umanità è ridotta a maschere che promettono una felicità fallace, e scrive: «Il clown non impara mai. Non pensa, recita. La sua esperienza di vita non lo rende più saggio, ma solo più sorpreso e più ferito». Nei prossimi mesi, l’ attrice darà alle stampe una nuova raccolta che ha per protagonisti cittadini di Forth Worth, nel Texas, immortalati da un fotografo senza ambizioni artistiche di nome Bill Wood. La solennità di vite troppo normali, proposta anche nelle immagini che scatta in prima persona, contrasta il mistero dell’ esistenza quotidiana, e, forse, di un paradiso che attende i migliori. Probabilmente è questo il motivo per cui la Keaton ha presentato la sua ultima raccolta spiegando: «Penso alla morte ogni giorno della mia vita». ANTONIO MONDA