La Repubblica 06/01/2008, pag.36 NELLO AJELLO, 6 gennaio 2008
Le cattiverie di un cuore d’ oro. La Repubblica 6 gennaio 2007. «La padrona di casa», dice la didascalia, «teme che l’ ospite, premendo involontariamente l’ apposito bottone, trasformi in un letto la finta libreria»
Le cattiverie di un cuore d’ oro. La Repubblica 6 gennaio 2007. «La padrona di casa», dice la didascalia, «teme che l’ ospite, premendo involontariamente l’ apposito bottone, trasformi in un letto la finta libreria». Il disegno mostra un tipico interno di medie ma tenaci pretese, nel quale ciascuna suppellettile è un incrocio fra un mobile tradizionale e un elettrodomestico. L’ indaffarata anfitriona di mezza età, fresca di parrucchiere, sembra, all’ inizio di questa «seratina fra amici», un monumento all’ Ansia del benessere. Nel quadretto firmato da Giuseppe Novello, c’ è quella sospensione metafisica che è tutta sua. Stanno appena cominciando gli anni Sessanta. Da quaranta, Novello (1897-1988) è un impareggiabile narratore del mondo ridotto a vignette. Non che egli sia soltanto un disegnatore satirico (va infatti ricordato anche come pittore ad olio). è però la presenza nei giornali - soprattutto in quelli torinesi, dalla Gazzetta del Popolo alla Stampa - a fare di lui un biografo per immagini della borghesia nazionale. Vagando in spirito fra le case degli italiani, osservandone usi e costumi, sostando nei loro luoghi d’ incontro - salotti, tinelli, hall d’ albergo, platee, loggioni, negozi, stadi, gallerie d’ arte - egli si dedica a crocifiggerli. La sua cattiveria è però di genere colloquiale. I suoi peccati d’ arguzia invocano indulgenza. Non a caso Giampaolo Dossena lo ha definito «perfido come un angioletto». Le vittime degli scherzi cui il vignettista si abbandona non sono, per lui, nemici giurati. Sono suoi simili o addirittura complici. «Non appena dimenticavo l’ autoironia», egli confida al suo amico Guido Vergani, «ho sempre trovato qualcuno o qualcosa che mi ha tirato per la giacchetta». Ciò contribuisce ad acuirne lo sguardo. «Ha una vista da dieci decimi», testimoniava sempre Vergani, per vivisezionare la goffaggine dei suoi simili. Ogni vignetta sembra una meteora, ma la sua scia è lunga, fino a comunicarci la percezione amarognola del passaggio del tempo. Nella chiave di questo padre (o forse, con un opportuno calo di retorica, zio) dell’ illustrazione satirica si addensa una singolare galleria del Novecento, senza che le tappe della lunga carriera d’ italiano che Novello ha attraversato lascino in lui nulla di monumentale. Lo hanno predisposto, semmai, a una malinconia anti-eroica. I disegni da lui dedicati alle trincee della Quindici-Diciotto si ispirano a una massima lampante: «La guerra è bella ma è scomoda»; verità alla quale Paolo Monelli - che di Novello è stato a lungo un collaboratore "letterario" - aggiunse una postilla rivelatrice: «Ma nemmeno la vita è comoda». Ecco che, senza perdere un grammo della sua sostanza drammatica, l’ evento si trasforma in scenetta. Ogni titolo delle raccolte grafiche di questo artista è, di per sé, un vivaio di sorrisi. Da assaporare in mucchio: Il signore di buona famiglia, Che cosa dirà la gente, Nemmeno gratis, Le belle domeniche, I lunedì della zia Carolina, Dopo la giocondissima festa, Le toccanti parole del festeggiato, Quando un amico è diventato un pezzo grosso, Dunque dicevamo, Resti fra noi. Nel passare dalle pagine di un giornale a un album riassuntivo, i disegni non dissipano la loro contemporaneità. E non risultano "datati" nell’ alternarsi degli ambienti che intendono tormentare. Tornano in mente volumi patinati in ognuno dei quali la saga tracciata dall’ umorista lombardo - nato a Codogno, vi morirà più che novantenne - si compendia in un capitolo. Ce ne sono di storici: dagli egizi ai greci, da Carlo Magno alle Crociate, dall’ Illuminismo alle due guerre mondiali, da lui pazientemente vissute, l’ una e l’ altra, nel corpo degli alpini (e al termine della seconda fu pure deportato nella stessa baracca di lager che ospitava Giovannino Guareschi). Ma il clima resta attuale, quasi che il domestico profumo della classe media possa aleggiare intorno a un geometra dei nostri giorni così come intorno a un eroe di Livio o di Plutarco. Andando a caccia, attraverso i secoli, nelle riserve della banalità quotidiana, Novello torna sempre con il carniere pieno. Ecco una sua vignetta, riprodotta in un album che la Longanesi pubblicò sei anni fa. Mostra un anfiteatro deserto. A terra, nell’ arena, giacciono una lancia, uno scudo e un pugnale. Seduta su un gradino, una ragazza in peplo appoggia sulla mano destra il viso inconsolabile. La battuta è fulminea. «Dopo il ratto delle Sabine. La non rapita». Il disegno porta una data: 1934. Ma nulla, nella scena, sembra ricordare tempi goffamente marziali o retoriche d’ epoca. L’ atterraggio della sua satira a tempi più vicini al nostro è pacifico e senza scosse. Il "signore di buona famiglia" è il replicante inesauribile di una specie di sotto-Europa dedita alle convenzioni e incline alla gaffe. A volte, gli apologhi di Novello sono copioni in miniatura. «Quando in montagna piove da una settimana», si legge in cima a un disegno che mostra coppie di mezza età angustiate dalla noia e sonnecchianti in poltrona. In un angolo, tre villeggianti scatenate cercano di trasportare al centro della hall un quarantenne che resiste ai loro strattoni. Che cosa accade in quella tragica mattinata d’ albergo? «Il ragioniere, che sa fare tanto bene il ruggito del leone», riferisce il vignettista, «oggi si fa un po’ pregare». Le sciurette in cerca di un patetico status mondano - ne abbiamo contemplato una in apertura - vivono con Novello una domestica epopea. Ne scorgiamo una, mentre scruta il fondo polveroso di un’ anfora di cristallo. «La padrona di casa», sorride implacabile l’ autore, «scopre in un vaso quattro fette della sua famosa torta al maraschino, a due mesi dal ricevimento». Velleità che si trasformano in sconfitte, colpi bassi della sorte, incongrui fremiti culturali. Un adolescente assonnato, spettinato, in pantofole, siede alla scrivania con accanto, nel disordine della stanza da letto, un pianoforte e un violoncello. Ha in mano una penna, e traccia numeri su numeri in una risma di fogli. Titolo: La potenza della vocazione. Didascalia: «Il giovinetto, avviato dal padre organista allo studio della musica, s’ alza furtivo nottetempo per darsi ai suoi prediletti studi di ragioneria». Nel 1955 un gruppo di amici lanciò l’ idea di assegnare a Giuseppe Novello un "Premio della bontà". Da una parte Paolo Monelli e Dino Buzzati insistevano nel considerarlo, in contrasto con la progettata onorificenza, «uomo cattivo» e «artista perfido». Dall’ altra, Orio Vergani propendeva per giudicarlo un cuor d’ oro. Ancora oggi il dilemma non trova soluzione. Nella loro sorridente malinconia, le vignette di Novello non rispondono né sì né no. «La padrona di casa», dice la didascalia, «teme che l’ ospite, premendo involontariamente l’ apposito bottone, trasformi in un letto la finta libreria». Il disegno mostra un tipico interno di medie ma tenaci pretese, nel quale ciascuna suppellettile è un incrocio fra un mobile tradizionale e un elettrodomestico. L’ indaffarata anfitriona di mezza età, fresca di parrucchiere, sembra, all’ inizio di questa «seratina fra amici», un monumento all’ Ansia del benessere. Nel quadretto firmato da Giuseppe Novello, c’ è quella sospensione metafisica che è tutta sua. Stanno appena cominciando gli anni Sessanta. Da quaranta, Novello (1897-1988) è un impareggiabile narratore del mondo ridotto a vignette. Non che egli sia soltanto un disegnatore satirico (va infatti ricordato anche come pittore ad olio). è però la presenza nei giornali - soprattutto in quelli torinesi, dalla Gazzetta del Popolo alla Stampa - a fare di lui un biografo per immagini della borghesia nazionale. Vagando in spirito fra le case degli italiani, osservandone usi e costumi, sostando nei loro luoghi d’ incontro - salotti, tinelli, hall d’ albergo, platee, loggioni, negozi, stadi, gallerie d’ arte - egli si dedica a crocifiggerli. La sua cattiveria è però di genere colloquiale. I suoi peccati d’ arguzia invocano indulgenza. Non a caso Giampaolo Dossena lo ha definito «perfido come un angioletto». Le vittime degli scherzi cui il vignettista si abbandona non sono, per lui, nemici giurati. Sono suoi simili o addirittura complici. «Non appena dimenticavo l’ autoironia», egli confida al suo amico Guido Vergani, «ho sempre trovato qualcuno o qualcosa che mi ha tirato per la giacchetta». Ciò contribuisce ad acuirne lo sguardo. «Ha una vista da dieci decimi», testimoniava sempre Vergani, per vivisezionare la goffaggine dei suoi simili. Ogni vignetta sembra una meteora, ma la sua scia è lunga, fino a comunicarci la percezione amarognola del passaggio del tempo. Nella chiave di questo padre (o forse, con un opportuno calo di retorica, zio) dell’ illustrazione satirica si addensa una singolare galleria del Novecento, senza che le tappe della lunga carriera d’ italiano che Novello ha attraversato lascino in lui nulla di monumentale. Lo hanno predisposto, semmai, a una malinconia anti-eroica. I disegni da lui dedicati alle trincee della Quindici-Diciotto si ispirano a una massima lampante: «La guerra è bella ma è scomoda»; verità alla quale Paolo Monelli - che di Novello è stato a lungo un collaboratore "letterario" - aggiunse una postilla rivelatrice: «Ma nemmeno la vita è comoda». Ecco che, senza perdere un grammo della sua sostanza drammatica, l’ evento si trasforma in scenetta. Ogni titolo delle raccolte grafiche di questo artista è, di per sé, un vivaio di sorrisi. Da assaporare in mucchio: Il signore di buona famiglia, Che cosa dirà la gente, Nemmeno gratis, Le belle domeniche, I lunedì della zia Carolina, Dopo la giocondissima festa, Le toccanti parole del festeggiato, Quando un amico è diventato un pezzo grosso, Dunque dicevamo, Resti fra noi. Nel passare dalle pagine di un giornale a un album riassuntivo, i disegni non dissipano la loro contemporaneità. E non risultano "datati" nell’ alternarsi degli ambienti che intendono tormentare. Tornano in mente volumi patinati in ognuno dei quali la saga tracciata dall’ umorista lombardo - nato a Codogno, vi morirà più che novantenne - si compendia in un capitolo. Ce ne sono di storici: dagli egizi ai greci, da Carlo Magno alle Crociate, dall’ Illuminismo alle due guerre mondiali, da lui pazientemente vissute, l’ una e l’ altra, nel corpo degli alpini (e al termine della seconda fu pure deportato nella stessa baracca di lager che ospitava Giovannino Guareschi). Ma il clima resta attuale, quasi che il domestico profumo della classe media possa aleggiare intorno a un geometra dei nostri giorni così come intorno a un eroe di Livio o di Plutarco. Andando a caccia, attraverso i secoli, nelle riserve della banalità quotidiana, Novello torna sempre con il carniere pieno. Ecco una sua vignetta, riprodotta in un album che la Longanesi pubblicò sei anni fa. Mostra un anfiteatro deserto. A terra, nell’ arena, giacciono una lancia, uno scudo e un pugnale. Seduta su un gradino, una ragazza in peplo appoggia sulla mano destra il viso inconsolabile. La battuta è fulminea. «Dopo il ratto delle Sabine. La non rapita». Il disegno porta una data: 1934. Ma nulla, nella scena, sembra ricordare tempi goffamente marziali o retoriche d’ epoca. L’ atterraggio della sua satira a tempi più vicini al nostro è pacifico e senza scosse. Il "signore di buona famiglia" è il replicante inesauribile di una specie di sotto-Europa dedita alle convenzioni e incline alla gaffe. A volte, gli apologhi di Novello sono copioni in miniatura. «Quando in montagna piove da una settimana», si legge in cima a un disegno che mostra coppie di mezza età angustiate dalla noia e sonnecchianti in poltrona. In un angolo, tre villeggianti scatenate cercano di trasportare al centro della hall un quarantenne che resiste ai loro strattoni. Che cosa accade in quella tragica mattinata d’ albergo? «Il ragioniere, che sa fare tanto bene il ruggito del leone», riferisce il vignettista, «oggi si fa un po’ pregare». Le sciurette in cerca di un patetico status mondano - ne abbiamo contemplato una in apertura - vivono con Novello una domestica epopea. Ne scorgiamo una, mentre scruta il fondo polveroso di un’ anfora di cristallo. «La padrona di casa», sorride implacabile l’ autore, «scopre in un vaso quattro fette della sua famosa torta al maraschino, a due mesi dal ricevimento». Velleità che si trasformano in sconfitte, colpi bassi della sorte, incongrui fremiti culturali. Un adolescente assonnato, spettinato, in pantofole, siede alla scrivania con accanto, nel disordine della stanza da letto, un pianoforte e un violoncello. Ha in mano una penna, e traccia numeri su numeri in una risma di fogli. Titolo: La potenza della vocazione. Didascalia: «Il giovinetto, avviato dal padre organista allo studio della musica, s’ alza furtivo nottetempo per darsi ai suoi prediletti studi di ragioneria». Nel 1955 un gruppo di amici lanciò l’ idea di assegnare a Giuseppe Novello un "Premio della bontà". Da una parte Paolo Monelli e Dino Buzzati insistevano nel considerarlo, in contrasto con la progettata onorificenza, «uomo cattivo» e «artista perfido». Dall’ altra, Orio Vergani propendeva per giudicarlo un cuor d’ oro. Ancora oggi il dilemma non trova soluzione. Nella loro sorridente malinconia, le vignette di Novello non rispondono né sì né no. NELLO AJELLO