La Repubblica 06/01/2008, pag.44 IRENE MARIA SCALISE, 6 gennaio 2008
L’ incontro. La Repubblica 6 gennaio 2007. Roma La storia di Raffaella Carrà, icona italiana conosciuta in tutto il mondo, è la storia di un pianerottolo
L’ incontro. La Repubblica 6 gennaio 2007. Roma La storia di Raffaella Carrà, icona italiana conosciuta in tutto il mondo, è la storia di un pianerottolo. Quello che, da trentacinque anni, divide la sua casa privata dallo studio. Da un lato gli incontri con pochi e fidati amici, dall’ altro la vita professionale. A sinistra aromi di tagliatelle alla bolognese, cucinate da lei, e scatenati tornei di tressette e scopone scientifico. A destra la Raffa nazionale che, con estrema cura, gestisce se stessa. Perché Raffaella Carrà è prima di tutto un’ ottima imprenditrice. Ha cominciato a esserlo a tre anni e mezzo, quando ha comunicato alla madre che voleva fare la coreografa. E ha proseguito a otto quando è voluta andare in collegio, a Roma, per studiare ballo con Ruskaia. Tacco e punta per cinque ore al giorno, senza mai fare un lamento. Quando tornava nella sua casa, nel centro di Bologna, faceva ballare tutta la famiglia, nonna compresa. Un turbine di energia vitale. Una lavoratrice instancabile. Tanta risolutezza di carattere le deriva forse dal sangue misto. Quello della nonna romagnola, con cui è cresciuta, e quello del nonno, poliziotto siciliano. «Ho imparato a gestirmi presto da sola perché i miei genitori si sono separati subito dopo il matrimonio. Per l’ epoca di allora era una rarità e mio padre mi minacciava che, se non mi fossi comportata bene, mi avrebbe tolto a mia madre». E Raffaella, per non correre il pericolo, è diventata un soldato. Una vita senza adolescenza: la mattina la scuola e gli studi rigorosi, il pomeriggio il ballo. Un’ istitutrice di se stessa. «Diventavo una ragazza normale solo quando l’ estate andavo al mare in Romagna con i miei cugini, quella era ancora l’ Italia spensierata e io ero solamente la figlia dell’ Iris». Poi in settembre tornava a Roma, con sempre lo stesso sogno: un futuro da coreografa. Quando è andata in America le hanno regalato un biglietto per il musical Hair. Ci è tornata tutte le sere per un mese. Una meravigliosa ossessione. A quindici anni è entrata al Centro sperimentale di cinematografia. Ha girato Ciao Rudy con Marcello Mastroianni e ha lavorato al Piccolo Eliseo. «Era il ’68 e, mentre i miei coetanei scendevano in piazza, io ero già una piccola lavoratrice. Avevo un mondo mio completamente diverso anche se m’ interessavo di tutto». Ride quando si racconta e quella voce un po’ roca è un salto in un mondo che non c’ è più. Il mondo in cui la televisione si faceva per tenere le famiglie serenamente unite davanti allo schermo e non per farle litigare tra di loro. Ma lei, invece, sembra sempre la stessa. Il caschetto biondo platino ideato dai Vergottini, forse il più imitato dai parrucchieri negli ultimi anni, risplende sulla camicia nera. Le gambe sono toniche nei pantaloni di pelle. Il viso è vero, le rughe ci sono ma gli occhi brillano. Le mani forti. Sullo sfondo targhe e riconoscimenti. La Carrà stupisce perché riesce a essere una cosa, ma anche il suo opposto. Ha fatto sognare milioni di telespettatori davanti al suo ombelico, ma non è mai diventata un sex symbol. è stata la prima icona pop, ma è sempre piaciuta alle casalinghe. Ha rivoluzionato il modo di intrattenere il pubblico, ma poi è diventata la tradizione. è stata famosissima, ma mai diva. è alla mano, ma mai sguaiata. è affettuosa ma, anche, impenetrabile. Ha dato tanto amore, ma non si è mai sposata. «La bellezza dell’ amore è che è imprevedibile, guardi una persona negli occhi e la tua vita cambia all’ improvviso. Io mi sono innamorata di un uomo meraviglioso come Gianni Boncompagni da giovane ed è stato bellissimo perché, dopo il difficile rapporto con mio padre, mi ha ridato la fiducia negli uomini. La nostra è stata una coppia paritaria e mi ha fatto un gran bene: stando vicino all’ aretino si è sviluppata la mia ironia». Dopo undici anni la storia è finita e si è messa con Sergio Japino. Lui faceva il coreografo. Quello che lei avrebbe sempre voluto fare. Ed è stato un sodalizio totale. Compagni e amanti. Soci e amici. Poi anche con lui il rapporto è cambiato ma si vogliono bene. Tutti e tre. Raffaella, Sergio e Gianni, uniti per sempre. «Sergio e Gianni vivono nel mio stesso condominio, qui a Roma, e ora abbiamo realizzato la vera famiglia allargata». Intorno a loro tanti amici: Renato Zero, Antonello Venditti e molti altri. Non ha avuto figli ma ha due nipoti, Matteo e Federica, che adora. Sono i figli del fratello Enzo, morto qualche anno fa. «Per loro sono un punto di riferimento perché non si può buttare all’ aria tutto quello che mio fratello aveva costruito, purtroppo però uno vive a Parigi e l’ altra in Belgio». Figli adottivi, ottenuti con l’ adozione a distanza, ne ha addirittura nove. Forse quest’ inverno ne arriverà un altro. Di alcuni ha la foto nello studio, insieme al nipote di pochi mesi. «Vado a trovarli spesso e così ho capito che a un bambino devi dare tutto, da zero a sette anni, una scorta di serenità che gli resterà tutta la vita». Nel lavoro, invece, la svolta è arrivata quando ha convinto la Rai a darle tre minuti nel programma Io Agata e tu. Tre minuti per esibirsi come voleva lei. Senza rete. «Tre minuti che mi hanno cambiato la vita. I produttori hanno acconsentito solamente perché non era una trasmissione di punta e io ho approfittato: ho ballato come nessuna aveva mai osato, ho rotto gli schemi, ho inventato lo show. In Rai erano sconvolti e, il giorno dopo, anche mia madre mi ha chiamato per chiedermi se ero veramente io». E da lì è iniziata la carriera. Quella vera. Il Tuca Tuca di Canzonissima, Maga Maghella, Mille luci con Mina, l’ album Fiesta tradotto in tutto il mondo. Le coreografie di Gino Landi. In quegli anni la Carrà viveva negli aeroporti: Spagna, Canada, Russia, Olanda, Giappone. Un volo e una valigia. Una sala di registrazione dietro l’ altra. «E pensare che ho paura di tutto, sono talmente terrorizzata che penso di avere il coraggio della paura». Poi il grande rientro in Italia, nel 1982, con Pronto~ Raffaella. Un format, che ha rivoluzionato la televisione. Lì è diventata la signora dei fagioli, la vera Raffaella nazionale. Per parlare trenta secondi la gente si metteva in coda. All’ ora del pranzo l’ auditel schizzava verso l’ alto. Chiamavano tutti: intellettuali e casalinghe. «Il rapporto con i telespettatori era bellissimo, la sera lavoravo sino a notte fonda ma era il vero modo di sentire il pubblico. Allora Berlusconi mi offrì di lavorare a Mediaset ma ho rifiutato perché senza diretta sarebbe stata tutta un’ altra cosa, io ho sempre difeso la genuinità dei miei programmi, per questo non sopporto la tv tarocca». Quindi la parentesi spagnola. Cinque anni sempre a fianco di Japino. «è stata tutta una sorpresa». Ancora adesso ha una piccola casa vicino Madrid: «Sono solo sessanta metri quadrati ma comodissimi». La Spagna è il paese che ama di più. E viceversa. «In Italia sono Raffaella Carrà in Spagna sono Raffaella». E poi ancora l’ Italia, nel ’96, con Carramba che sorpresa!. Altro successo travolgente. Soprattutto di pubblico. La critica l’ ha amata meno. «Il rapporto con la gente normale è facile, mi hanno capito perché sono una persona autentica. Invece, proprio su questa trasmissione, alcuni critici hanno messo in dubbio la genuinità e sono diventata una leonessa». Lavorare con i bambini è la cosa più bella: «Bisogna rivolgersi ai più piccoli come si fa con gli adulti e riuscire a dare loro degli esempi». Il suo peggior difetto è l’ emozione. L’ ansia. «Dal momento in cui firmo un contratto entro in un tunnel, penso mille volte se ho fatto bene, come dovrò organizzarmi. Poi la sera prima del debutto crollo per la stanchezza, mi sono consumata prima, e a quel punto è finito l’ incubo e inizia il divertimento». Il suo maggior pregio l’ ironia. Saper ridere si se stessa. «Peccato che me l’ abbiano riconosciuta solo a sessant’ anni». E anche la forza di volontà: «Sarei una pigra ma poi il desiderio di arrivare sempre preparata mi ha corretto il carattere». Tra una trasmissione e l’ altra Raffaella si riposa. La televisione non la guarda molto. «Troppe tragedie e ripetizioni nei programmi». Preferisce il teatro, il balletto o un bel film. Qualche giorno in un centro benessere spagnolo. I viaggi per andare dai nipoti. La casa al mare al Monte Argentario da dividere con una decina di amici. Ma sempre troppo poco. «Per il lavoro ho sacrificato il privato, anche se ho rifiutato tante proposte. Per accettare un programma mi deve passare prima dalla pancia, poi ci devono essere il gusto della scommessa e del rischio». Sarà quest’ adrenalina che la mantiene giovane. «Non è certo il chirurgo plastico, perché anche li è questione di paura. Se potessi prendere una pillola miracolosa sarei la prima ma, visto che non è possibile, mi tengo le rughe e cerco di nuotare per mantenermi in forma. In definitiva non mi preoccupo troppo della mia faccia: credo che mi ritirerò prima di essere crollata». Raffaella non è praticante. Però si attribuisce una forte spiritualità. «Il mio rapporto con i preti è molto emiliano». L’ analisi, di qualsiasi scuola, non l’ ha mai voluta affrontare. «Mi sarei messa a ballare sul lettino, ho fatto da sola». L’ Italia, invece, la fa soffrire. «Patisco questo immobilismo, questa generale mancanza di speranza del Paese e il malessere collettivo». Crede nella fatalità: «Ho un unico vizio e sono le sigarette, che facciano male me ne frego. Del resto mio fratello non aveva mai fumato e in quattro mesi è morto di cancro ai polmoni». Non è vendicativa, dimentica. «Se qualcuno mi fa del male, lo cancello. Se incontro una persona che mi ha fatto un torto e non la saluto, non è perché sia arrabbiata, l’ ho rimossa dai ricordi». Vuole rinnovarsi, sempre. Per il futuro ha un sogno: «Un programma solo mio, un talk show di interviste faccia a faccia, di circa venti minuti, in cui tirare fuori le pieghe più intime di chi ho di fronte. Ma senza aggressività, ho sempre ottenuto grandi confessioni senza mai violentare nessuno». Chissà se la Rai le darà, come allora, quei minuti per essere se stessa. Roma La storia di Raffaella Carrà, icona italiana conosciuta in tutto il mondo, è la storia di un pianerottolo. Quello che, da trentacinque anni, divide la sua casa privata dallo studio. Da un lato gli incontri con pochi e fidati amici, dall’ altro la vita professionale. A sinistra aromi di tagliatelle alla bolognese, cucinate da lei, e scatenati tornei di tressette e scopone scientifico. A destra la Raffa nazionale che, con estrema cura, gestisce se stessa. Perché Raffaella Carrà è prima di tutto un’ ottima imprenditrice. Ha cominciato a esserlo a tre anni e mezzo, quando ha comunicato alla madre che voleva fare la coreografa. E ha proseguito a otto quando è voluta andare in collegio, a Roma, per studiare ballo con Ruskaia. Tacco e punta per cinque ore al giorno, senza mai fare un lamento. Quando tornava nella sua casa, nel centro di Bologna, faceva ballare tutta la famiglia, nonna compresa. Un turbine di energia vitale. Una lavoratrice instancabile. Tanta risolutezza di carattere le deriva forse dal sangue misto. Quello della nonna romagnola, con cui è cresciuta, e quello del nonno, poliziotto siciliano. «Ho imparato a gestirmi presto da sola perché i miei genitori si sono separati subito dopo il matrimonio. Per l’ epoca di allora era una rarità e mio padre mi minacciava che, se non mi fossi comportata bene, mi avrebbe tolto a mia madre». E Raffaella, per non correre il pericolo, è diventata un soldato. Una vita senza adolescenza: la mattina la scuola e gli studi rigorosi, il pomeriggio il ballo. Un’ istitutrice di se stessa. «Diventavo una ragazza normale solo quando l’ estate andavo al mare in Romagna con i miei cugini, quella era ancora l’ Italia spensierata e io ero solamente la figlia dell’ Iris». Poi in settembre tornava a Roma, con sempre lo stesso sogno: un futuro da coreografa. Quando è andata in America le hanno regalato un biglietto per il musical Hair. Ci è tornata tutte le sere per un mese. Una meravigliosa ossessione. A quindici anni è entrata al Centro sperimentale di cinematografia. Ha girato Ciao Rudy con Marcello Mastroianni e ha lavorato al Piccolo Eliseo. «Era il ’68 e, mentre i miei coetanei scendevano in piazza, io ero già una piccola lavoratrice. Avevo un mondo mio completamente diverso anche se m’ interessavo di tutto». Ride quando si racconta e quella voce un po’ roca è un salto in un mondo che non c’ è più. Il mondo in cui la televisione si faceva per tenere le famiglie serenamente unite davanti allo schermo e non per farle litigare tra di loro. Ma lei, invece, sembra sempre la stessa. Il caschetto biondo platino ideato dai Vergottini, forse il più imitato dai parrucchieri negli ultimi anni, risplende sulla camicia nera. Le gambe sono toniche nei pantaloni di pelle. Il viso è vero, le rughe ci sono ma gli occhi brillano. Le mani forti. Sullo sfondo targhe e riconoscimenti. La Carrà stupisce perché riesce a essere una cosa, ma anche il suo opposto. Ha fatto sognare milioni di telespettatori davanti al suo ombelico, ma non è mai diventata un sex symbol. è stata la prima icona pop, ma è sempre piaciuta alle casalinghe. Ha rivoluzionato il modo di intrattenere il pubblico, ma poi è diventata la tradizione. è stata famosissima, ma mai diva. è alla mano, ma mai sguaiata. è affettuosa ma, anche, impenetrabile. Ha dato tanto amore, ma non si è mai sposata. «La bellezza dell’ amore è che è imprevedibile, guardi una persona negli occhi e la tua vita cambia all’ improvviso. Io mi sono innamorata di un uomo meraviglioso come Gianni Boncompagni da giovane ed è stato bellissimo perché, dopo il difficile rapporto con mio padre, mi ha ridato la fiducia negli uomini. La nostra è stata una coppia paritaria e mi ha fatto un gran bene: stando vicino all’ aretino si è sviluppata la mia ironia». Dopo undici anni la storia è finita e si è messa con Sergio Japino. Lui faceva il coreografo. Quello che lei avrebbe sempre voluto fare. Ed è stato un sodalizio totale. Compagni e amanti. Soci e amici. Poi anche con lui il rapporto è cambiato ma si vogliono bene. Tutti e tre. Raffaella, Sergio e Gianni, uniti per sempre. «Sergio e Gianni vivono nel mio stesso condominio, qui a Roma, e ora abbiamo realizzato la vera famiglia allargata». Intorno a loro tanti amici: Renato Zero, Antonello Venditti e molti altri. Non ha avuto figli ma ha due nipoti, Matteo e Federica, che adora. Sono i figli del fratello Enzo, morto qualche anno fa. «Per loro sono un punto di riferimento perché non si può buttare all’ aria tutto quello che mio fratello aveva costruito, purtroppo però uno vive a Parigi e l’ altra in Belgio». Figli adottivi, ottenuti con l’ adozione a distanza, ne ha addirittura nove. Forse quest’ inverno ne arriverà un altro. Di alcuni ha la foto nello studio, insieme al nipote di pochi mesi. «Vado a trovarli spesso e così ho capito che a un bambino devi dare tutto, da zero a sette anni, una scorta di serenità che gli resterà tutta la vita». Nel lavoro, invece, la svolta è arrivata quando ha convinto la Rai a darle tre minuti nel programma Io Agata e tu. Tre minuti per esibirsi come voleva lei. Senza rete. «Tre minuti che mi hanno cambiato la vita. I produttori hanno acconsentito solamente perché non era una trasmissione di punta e io ho approfittato: ho ballato come nessuna aveva mai osato, ho rotto gli schemi, ho inventato lo show. In Rai erano sconvolti e, il giorno dopo, anche mia madre mi ha chiamato per chiedermi se ero veramente io». E da lì è iniziata la carriera. Quella vera. Il Tuca Tuca di Canzonissima, Maga Maghella, Mille luci con Mina, l’ album Fiesta tradotto in tutto il mondo. Le coreografie di Gino Landi. In quegli anni la Carrà viveva negli aeroporti: Spagna, Canada, Russia, Olanda, Giappone. Un volo e una valigia. Una sala di registrazione dietro l’ altra. «E pensare che ho paura di tutto, sono talmente terrorizzata che penso di avere il coraggio della paura». Poi il grande rientro in Italia, nel 1982, con Pronto~ Raffaella. Un format, che ha rivoluzionato la televisione. Lì è diventata la signora dei fagioli, la vera Raffaella nazionale. Per parlare trenta secondi la gente si metteva in coda. All’ ora del pranzo l’ auditel schizzava verso l’ alto. Chiamavano tutti: intellettuali e casalinghe. «Il rapporto con i telespettatori era bellissimo, la sera lavoravo sino a notte fonda ma era il vero modo di sentire il pubblico. Allora Berlusconi mi offrì di lavorare a Mediaset ma ho rifiutato perché senza diretta sarebbe stata tutta un’ altra cosa, io ho sempre difeso la genuinità dei miei programmi, per questo non sopporto la tv tarocca». Quindi la parentesi spagnola. Cinque anni sempre a fianco di Japino. «è stata tutta una sorpresa». Ancora adesso ha una piccola casa vicino Madrid: «Sono solo sessanta metri quadrati ma comodissimi». La Spagna è il paese che ama di più. E viceversa. «In Italia sono Raffaella Carrà in Spagna sono Raffaella». E poi ancora l’ Italia, nel ’96, con Carramba che sorpresa!. Altro successo travolgente. Soprattutto di pubblico. La critica l’ ha amata meno. «Il rapporto con la gente normale è facile, mi hanno capito perché sono una persona autentica. Invece, proprio su questa trasmissione, alcuni critici hanno messo in dubbio la genuinità e sono diventata una leonessa». Lavorare con i bambini è la cosa più bella: «Bisogna rivolgersi ai più piccoli come si fa con gli adulti e riuscire a dare loro degli esempi». Il suo peggior difetto è l’ emozione. L’ ansia. «Dal momento in cui firmo un contratto entro in un tunnel, penso mille volte se ho fatto bene, come dovrò organizzarmi. Poi la sera prima del debutto crollo per la stanchezza, mi sono consumata prima, e a quel punto è finito l’ incubo e inizia il divertimento». Il suo maggior pregio l’ ironia. Saper ridere si se stessa. «Peccato che me l’ abbiano riconosciuta solo a sessant’ anni». E anche la forza di volontà: «Sarei una pigra ma poi il desiderio di arrivare sempre preparata mi ha corretto il carattere». Tra una trasmissione e l’ altra Raffaella si riposa. La televisione non la guarda molto. «Troppe tragedie e ripetizioni nei programmi». Preferisce il teatro, il balletto o un bel film. Qualche giorno in un centro benessere spagnolo. I viaggi per andare dai nipoti. La casa al mare al Monte Argentario da dividere con una decina di amici. Ma sempre troppo poco. «Per il lavoro ho sacrificato il privato, anche se ho rifiutato tante proposte. Per accettare un programma mi deve passare prima dalla pancia, poi ci devono essere il gusto della scommessa e del rischio». Sarà quest’ adrenalina che la mantiene giovane. «Non è certo il chirurgo plastico, perché anche li è questione di paura. Se potessi prendere una pillola miracolosa sarei la prima ma, visto che non è possibile, mi tengo le rughe e cerco di nuotare per mantenermi in forma. In definitiva non mi preoccupo troppo della mia faccia: credo che mi ritirerò prima di essere crollata». Raffaella non è praticante. Però si attribuisce una forte spiritualità. «Il mio rapporto con i preti è molto emiliano». L’ analisi, di qualsiasi scuola, non l’ ha mai voluta affrontare. «Mi sarei messa a ballare sul lettino, ho fatto da sola». L’ Italia, invece, la fa soffrire. «Patisco questo immobilismo, questa generale mancanza di speranza del Paese e il malessere collettivo». Crede nella fatalità: «Ho un unico vizio e sono le sigarette, che facciano male me ne frego. Del resto mio fratello non aveva mai fumato e in quattro mesi è morto di cancro ai polmoni». Non è vendicativa, dimentica. «Se qualcuno mi fa del male, lo cancello. Se incontro una persona che mi ha fatto un torto e non la saluto, non è perché sia arrabbiata, l’ ho rimossa dai ricordi». Vuole rinnovarsi, sempre. Per il futuro ha un sogno: «Un programma solo mio, un talk show di interviste faccia a faccia, di circa venti minuti, in cui tirare fuori le pieghe più intime di chi ho di fronte. Ma senza aggressività, ho sempre ottenuto grandi confessioni senza mai violentare nessuno». Chissà se la Rai le darà, come allora, quei minuti per essere se stessa. IRENE MARIA SCALISE