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 2008  gennaio 03 Giovedì calendario

LA RESA DEI CONTI DELL´ECONOMIA MONDIALE

La Repubblica 3 gennaio 2007. Le preoccupazioni per gli squilibri globali causati dall´enorme debito contratto con l´estero dagli Stati Uniti sussistono da anni. Gli Stati Uniti, a loro volta, sostengono che il mondo dovrebbe essere loro grato: vivendo al di sopra dei propri mezzi, hanno sostenuto la marcia dell´economia globale grazie, in particolare, all´alto tasso di risparmio dell´Asia, che ha accumulato così centinaia di miliardi di dollari in riserve. Tuttavia, che la crescita degli Stati Uniti sotto la presidenza di George W. Bush non fosse sostenibile è un dato da sempre accettato. Ma ora incombe il giorno della resa dei conti.
La guerra in Iraq così infelicemente concepita ha contribuito a quadruplicare il prezzo del petrolio dal 2003. Negli anni Settanta, gli shock petroliferi implicavano inflazione per alcuni paesi e recessione per altri, in ragione dell´aumento dei tassi di interesse da parte dei governi per far fronte ai prezzi in rialzo. Alcune economie, invece, si trovarono ad affrontare il peggio di queste due condizioni: la stagflazione.
Finora, sono tre i fattori cruciali che hanno aiutato il mondo a convivere con prezzi del petrolio in continua impennata. In primo luogo, la Cina, con il suo consistente aumento della produttività – affidato ad alti livelli di investimento, tra cui investimenti nell´istruzione e nella tecnologia – ha esportato la propria deflazione. In secondo luogo, il vantaggio che da ciò gli Stati Uniti hanno tratto, abbassando i tassi di interesse a livelli senza precedenti e inducendo una bolla del mercato immobiliare residenziale alimentata da mutui accessibili a chiunque fosse al di sopra del livello di sussistenza. E, infine, il fatto che i lavoratori di tutto il mondo abbiano sbattuto il muso accettando salari reali più bassi e una quota del Pil inferiore.
Il gioco è finito. La Cina ora affronta pressioni di tipo inflazionistico e, se gli Stati Uniti convinceranno questo Paese ad accettare un apprezzamento della sua valuta, il costo della vita negli Stati Uniti e altrove non potrà che aumentare. Inoltre, con l´emergere dei biocarburanti, i mercati alimentari e quelli dell´energia hanno subito una integrazione. Tutto ciò combinato con una crescente domanda da parte dei settori a più alto reddito e una offerta in diminuzione a causa dei problemi climatici interrelati al mutamento del clima, implica prezzi più alti dei prodotti alimentari: una minaccia letale per i paesi in via di sviluppo.
Le prospettive per il consumo senza limiti negli Stati Uniti sono anche esse cupe. Anche se la Federal Reserve continuasse ad abbassare i tassi di interesse, chi ha accesso al denaro non si affretterà a riaccendere nuovi mutui viziosi e, di fronte alla caduta dei prezzi delle case, saranno meno numerosi gli americani disposti a continuare a spendere in maniera dissipata.Il governo Bush spera, in qualche modo, di riuscire a bloccare una ondata di espropri di case da parte dei creditori e di passare i problemi dell´economia al prossimo presidente, come sta facendo con il pantano iracheno. Le possibilità che vi riesca sono limitate. Oggi, per gli Stati Uniti, i veri termini della domanda sono se si tratterà di una contrazione dell´economia brusca e breve o di un rallentamento più diluito ma più prolungato.
Inoltre, gli Stati Uniti hanno continuato a esportare i propri problemi, non soltanto con la vendita di mutui venefici e di cattive pratiche finanziarie, ma anche tramite un dollaro sempre più debole, il risultato in parte di cattive macro e micropolitiche. L´Europa, per esempio, incontrerà sempre più difficoltà ad esportare. E in un´economia mondiale che ha poggiato sulle fondamenta di un "dollaro forte", la conseguente instabilità del mercato finanziario avrà un costo esoso per tutti.
Al tempo stesso, a livello mondiale si è verificata una massiccia ridistribuzione del reddito dai paesi importatori di petrolio a quelli esportatori - tra i quali un numero sproporzionato di paesi nei quali non vige la democrazia - e dai lavoratori di tutto il mondo ai ceti più ricchi in assoluto. Non è dato sapere se i lavoratori continueranno ad accettare una contrazione del proprio standard di vita in nome di una globalizzazione sbilanciata le cui promesse appaiono sempre più lontane. Negli Stati Uniti, si percepisce il montare del contraccolpo.
Per chi è convinto che una globalizzazione ben gestita abbia il potenziale di beneficiare sia i paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo e crede nella giustizia sociale a livello mondiale e nell´importanza della democrazia (e della vitale classe media che la sostiene), tutto ciò costituisce delle cattive nuove. Gli aggiustamenti economici di queste entità sono sempre dolorosi, ma la sofferenza economica è oggi più intensa perché i vincitori sono meno propensi a spendere.
In effetti, il rovescio della medaglia di «un mondo straripante di liquidità» è un mondo che deve fare i conti con una flessione della domanda aggregata. Durante gli ultimi sette anni, questo vuoto è stato riempito dalla spesa sfrenata degli Stati Uniti. Ma ora, considerando che i candidati presidenziali di entrambi i partiti politici promettono un ritorno alla responsabilità in materia fiscale, è probabile che frenino sia la spesa dei consumatori sia quella federale. Dopo sette anni durante i quali il debito nazionale degli Stati Uniti ha raggiunto la cifra di 9.000 miliardi di dollari dai 5.600 miliardi di dollari iniziali, questa dovrebbe essere una buona notizia, ma il tempismo non potrebbe essere peggiore.
In questo quadro fosco vi è una nota positiva: le fonti della crescita globale sono oggi più diversificate di quanto non lo fossero un decennio fa. I veri motori della crescita mondiale negli ultimi anni sono stati i paesi in via di sviluppo.
Ciò nondimeno, è inevitabile che una crescita più lenta – o forse anche una recessione – dell´economia più grande del mondo abbia delle conseguenze, sotto forma di un rallentamento globale. Se le autorità monetarie reagiranno in maniera appropriata a una crescente pressione inflazionistica – riconoscendo che buona parte di essa è importata e non il risultato di un eccesso di domanda interna – potremmo essere in grado di uscirne. Ma se le autorità monetarie alzeranno i tassi di interesse senza riguardo per restare dentro i tetti dell´inflazione, dovremo prepararci al peggio: un altro periodo di stagflazione.
Se le banche centrali seguiranno questa strada, riusciranno senz´altro a tenere l´inflazione lontano dal sistema. Il costo, tuttavia, in posti di lavoro, salari e case persi, sarà enorme.
JOSEPH STIGLITZ