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 2008  gennaio 04 Venerdì calendario

Gran Bretagna, declino molto british. La Stampa 4 Gennaio 2008. La grande crisi inglese ha il volto e l’umor nero di Gordon Brown, il primo ministro da sei mesi al potere e alle prese con una brusca inversione di tendenza rispetto al decennio dorato di Tony Blair

Gran Bretagna, declino molto british. La Stampa 4 Gennaio 2008. La grande crisi inglese ha il volto e l’umor nero di Gordon Brown, il primo ministro da sei mesi al potere e alle prese con una brusca inversione di tendenza rispetto al decennio dorato di Tony Blair. Dietro di lui, la fila dei musi lunghi s’ingrossa, chi dice migliaia, chi decine di migliaia, chi butta giù la cifra di 120 mila insolventi, il triplo del 2004, che dovranno vedersela con le severe leggi del credito inglesi, per debiti, mediamente, di 30 mila sterline, poco meno di 45 mila euro. Fa impressione vedere i grandi giornali, abituati a fare le bucce ai vicini europei, a cominciare dall’Italia, interrogarsi angosciati sul futuro del Regno Unito. Che - sia detto per inciso - ha chiuso il 2007 con una crescita del 3,2%. Ed è in ansia perché le previsioni per il 2008 non sono altrettanto buone, tra l’1 e l’1,5%: un dato su cui Italia e Francia sarebbero pronte a mettere la firma. Ieri di scena era la crisi della sterlina: se ne cambiava una contro due dollari fino a qualche mese fa, e se bastavano 65-68 centesimi di pound per un euro, ora si è arrivati a 75. La caduta della moneta è arrivata negli ultimi dell’anno, mentre gli inglesi erano intenti nel «last hurrah», l’ultimo giro di spese e regali pagati con carte di credito che ora non sono in grado di rifondere. Grande allarme delle società di rating e dei rappresentanti dei consumatori, gran lavoro per avvocati e commercialisti, per negoziare quantità impreviste di «Ivas», concordati preventivi per evitare pignoramenti. «Ma più che gli Ivas - spiega Malcom Hurlston, presidente di una società di sorveglianza sul mercato del credito - cresce il numero delle bancarotte». E Howard Archer, capo economista di Global Insight: «Nessuno ha capito per tempo che doveva prepararsi a una vita più frugale». Un sondaggio recentissimo rivela che 9,5 milioni di inglesi, il 23%, considerava la propria situazione debitoria «ingestibile» già prima del 2008. Figurarsi cosa succederà quando alcuni milioni di mutui a tasso fisso dovranno necessariamente diventare variabili, conteggiare un rincaro dei tassi di uno o due punti e un salasso per le tasche dei mutuatari mediamente calcolato tra 150 e 250 sterline in più al mese. Steve Barrow, capo delle strategie di Bear Stearns, grossa società di consulenza finanziaria, sostiene che la caduta della sterlina arriverà nel 2008 al 10%: «Crescita più bassa e interessi più alti come quelli che la Bank of England comincia a ventilare sono una ricetta per il disastro». A dir la verità la Banca d’Inghilterra ha lasciato intendere che il costo del denaro nell’anno continuerà a scendere, dall’attuale 5,75% forse fino al 5. Ma il punto, secondo gli analisti, è che anche una terapia del genere rischia di non bastare, per invertire la tendenza al ribasso, dopo un decennio di rialzi continui. Anche se non tutti lo dicono esplicitamente (in Inghilterra gli economisti sono molto meno politici che da noi), non è credibile che il male dell’economia possa dipendere dalla crisi dei mutui americana, qui rimbalzata fin da settembre con il collasso della Northern Rock e con le file dei clienti agli sportelli per ritirare i depositi, sommata alla sventatezza con cui gran parte degli inglesi della middle class accendono nuovi debiti, o addirittura all’eccesso di regali di Natale pagati con carte di credito scoperte. Fattori importanti che pesano sul rallentamento della crescita e sui timori di recessione. Ma è chiaro che c’è dell’altro. E l’altro ha il volto ingrugnito di Brown, invecchiato di un decennio nei primi mesi al governo, arruffato, nervoso, incerto, stando alla percezione dei sudditi di Sua Maestà. L’uomo che negli anni di attesa di succedere a Blair s’era presentato come la mente e il braccio del New Labour, rispetto a un primo ministro più leggero e circondato di pop stars, il Cancelliere dello Scacchiere che non perdeva occasione di ascriversi i meriti di una situazione economica ogni anno più brillante, il leader laburista più capace di sedare i mugugni di un partito sempre meno blairiano, deve ora fare i conti con un’ondata di malcontento di dimensioni impreviste. Indecisione, sfortuna, continuo calo di consensi hanno ridimensionato l’immagine del primo ministro. L’ammirazione per il duro esordio di giugno accompagnato da attentati terroristici fronteggiati con determinazione, s’è sciolta davanti a settembre, quando il governo tardava a prendere atto del disastro Northern Rock, all’incomprensibile ripensamento sulle elezioni, annunciate e poi ritirate, al debolissimo inseguimento delle ricette economiche dei conservatori, ormai stabilmente in testa nei sondaggi. Fino alla pantomima dell’ultimo vertice europeo, in cui Brown, arrivando in ritardo e non partecipando alla firma del nuovo trattato, è riuscito a scontentare sia i favorevoli che i contrari a un più pragmatico approccio verso la Ue. Per gran parte degli osservatori, non è chiaro cosa Brown abbia in testa: la sensazione - legata all’approvazione delle leggi anti-stranieri, alle restrizioni sui visti, alla maggior tassazione per i non residenti, oltre alle ipotesi di una specie di una tantum di 30 o 50 mila sterline per gli espatriati -, è che il nuovo primo ministro non creda più nella politica di apertura finanziaria alla quale lui stesso aveva contribuito ai tempi di Blair. Ma la sua maggior attenzione alle esigenze degli inglesi ha generato una sorta di panico nel mondo dei ricchi immigrati che consideravano Londra il loro porto franco. I primi segni di una crisi immobiliare che ha portato a un taglio di posti nelle agenzie di «real estate», dipendono anche dalla ritirata, per ora agli inizi, di russi e indiani che approdavano a Londra acquistando subito case principesche e contribuendo alla crescita di valore degli immobili. Politicamente, Brown è chiaramente sotto botta del leader conservatore David Cameron. Se con Blair, abilissimo nel confronto mediatico, Cameron aveva pane per i suoi denti, con un politico più tradizionale come il nuovo primo ministro, il giovane Tory si diverte tutti i giorni. Né è positivo l’arrivo di un nuovo giovane leader dei liberali come Nick Clegg, un argine a ogni possibile travaso di voti dal terzo partito verso i laburisti. Brown si consola sostenendo che i risultati della sua politica non sono pensati per il giorno per giorno, si vedranno tra qualche mese e forse tra qualche anno, in tempo per le nuove elezioni previste per l’autunno 2010. Ma si sprecano i paragoni tra lui e John Major, il successore della Thatcher che accompagnò verso la conclusione il più lungo periodo di governo dei conservatori. Anche per Gordon, ormai, lo spettro è quello del viale del tramonto. MARCELLO SORGI