La Stampa 04/01/2008, pag.17 PABLO TRINCIA, 4 gennaio 2008
Un pezzo di Liguria in pieno Atlantico. La Stampa 4 Gennaio 2008. Ormai non passa alba senza che il signor Lavarello scruti impaziente il calendario, contando mentalmente le ore e i minuti che lo separano dal prossimo 19 gennaio
Un pezzo di Liguria in pieno Atlantico. La Stampa 4 Gennaio 2008. Ormai non passa alba senza che il signor Lavarello scruti impaziente il calendario, contando mentalmente le ore e i minuti che lo separano dal prossimo 19 gennaio. Una data qualsiasi nella storia futura dell’umanità. Ma non nella sua. Perché quel giorno, dopo mezzo secolo esatto di carriera da pescatore, appenderà la rete al chiodo per godersi la pensione. «E’ davvero incredibile - ci racconta il sessantacinquenne quasi pensionato -. Ho passato cinquant’anni della mia vita a pescare, ogni giorno, con lo stesso collega. Ora sta per finire tutto». Non che questo cambi molto le cose, in realtà. Specie per chi, come lui, vive a Tristan da Cunha: un’isoletta a forma di vulcano nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico meridionale, schiaffeggiata dal vento e dalle correnti, all’incrocio tra il 37° meridiano in direzione Sud, e il 12° parallelo Ovest. In pratica, un grosso scoglio che fa parte di un arcipelago grande tre volte l’Europa, e per lo più sommerso dalle acque. Non a caso detiene il primato di luogo abitato più isolato del pianeta. Oltre a gamberi, albatros ed elefanti marini ci vivono 275 persone, tra le quali una piccola comunità di origini liguri. Per la precisione due famiglie, i Lavarello e i Repetto, entrambi di Camogli, i cui discendenti ancora oggi si tramandano un’antica ricetta di pasta al pesto. «Non sono mai stato dalle vostre parti, anche se mi piacerebbe molto - dice il signor Lavarello, che di nome fa Cheseldon, in uno strano inglese creolo -. Non parlo nemmeno la lingua. Fu il mio trisavolo ad arrivare qui dall’Italia. Da allora siamo rimasti qui. Ma sentiamo molto forte il legame con la nostra terra d’origine. Siamo italiani anche noi, no?». Tristan da Cunha è un nome familiare a pochi, a parte gli uomini di mare e i cacciatori di balene. E’ l’ultimo avamposto abitato dei territori d’oltremare britannici prima dell’immensa distesa di ghiaccio antartica – migliaia di chilometri più a Sud. Lasciate le coste dell’unica isola popolata dell’arcipelago, non si incontrano altri esseri umani prima di aver fatto più di duemila chilometri di mare - cinque giorni di navigazione - verso l’isola di Sant’Elena (dov’è morto in esilio Napoleone), che è il suo capoluogo amministrativo. Il continente più vicino – l’Africa – è a oltre 2800 chilometri, più della distanza Lisbona-Varsavia. Non esistono piste di atterraggio, né porti per attraccare. Le uniche navi passano una volta ogni due mesi. Un luogo forse più adatto a poeti ed eremiti, la cui breve storia altro non è se non un susseguirsi di eventi dettati dal caso e dai destini incrociati di avventurieri, naufraghi e pescatori di passaggio. Il navigatore portoghese Tristao da Cunha fu il primo, nel 1506, ad avvistare e battezzare con il suo nome il gruppetto di isole, dopo essere sfuggito a un temporale nei mari del Sud. La sua nave non riuscì ad approdare a causa del maltempo, ma ci riuscirono più tardi altri navigatori di varia nazionalità, anche se nessuno tentò di abitare l’isola fino al 1810, quando due americani e un livornese, un certo Tommaso Corri, vi giunsero dal porto di Rio de Janeiro per aprire una piccola stazione commerciale. Sei anni dopo la Gran Bretagna vi mandò una nave, per sfruttare la posizione strategica dell’isola. Al loro arrivo, gli inglesi trovarono l’italiano solo e in stato confusionale, che raccontava dell’atroce morte per annegamento dei due compagni. Nessuno gli credette. Le cronache del tempo ne parlano come di un personaggio losco e inaffidabile, oltre che alcolizzato. Corri è rimasto finora l’unico sospettato dell’unico omicidio che vi sia mai stato commesso. Per anni, gli abitanti di Tristan da Cunha sono sopravvissuti vendendo provviste alimentari ai commercianti e alle baleniere di passaggio. Oppure assistendo i naufraghi che ci andavano a sbattere contro. Nel 1892, un brigantino partito dall’Italia e diretto in Sudamerica affondò poco lontano dalle sue coste. A bordo c’erano anche i marinai Andrea Repetto e Gaetano Lavarello, che decisero di fermarsi. «E’ stata la loro storia a farmi venir voglia di vedere l’Italia», dice Andre Repetto, 36 anni, uno dei discendenti. Elettricista, frustrato dalla mancanza di lavoro sull’isola, quattro anni fa si è trasferito in Inghilterra, dove ha trovato solo lavoretti saltuari. Così è tornato a Tristaan dove, dice, si sta meglio che in qualsiasi altro posto: «Mi ha colpito la violenza che ho visto fuori da quest’isola. Qui invece si vive tranquilli, non succede mai nulla, nessuno cercherà mai di farti male». L’ultimo fattaccio sull’isola è avvenuto nel 1992, quando due veicoli si sono tamponati. Andre non sa ancora quando tornerà in Inghilterra. Forse con la prossima nave. Forse mai più. Dopotutto, questo luogo è rimasto sostanzialmente immune da guerre, stravolgimenti politici e dall’onnipresente globalizzazione. Se nel resto del mondo il 2001 è l’anno dell’11 settembre, a Tristan se lo ricordano perché alcuni bovini furono sorpresi a volare in cielo (a causa di un violento uragano) e sull’isola arrivò il primo televisore. La connessione internet è disponibile dal 2006. Il primo telefono ha cominciato a squillare solo qualche mese fa. Oggi sono rimaste un’ottantina di famiglie – divise per otto cognomi – che sopravvivono grazie alla vendita di gamberi e di francobolli per collezionisti, autentiche rarità, che possono valere anche centinaia di euro. Per il resto, il grande passatempo è la coltivazione delle patate, gli unici vegetali che resistono ai violenti venti atlantici. Ma l’isolamento e le continue unioni endogamiche hanno prodotto nuove generazioni geneticamente sempre più deboli. Le stesse famiglie Lavarello e Repetto si sono incrociate più volte, col risultato che una percentuale significativa della popolazione soffre di asma, diventata ereditaria. A settembre, una nave sudamericana di passaggio ha portato con sé il virus di un’influenza che ha colpito praticamente tutti, facendo temere un’emergenza medica. «E’ vero che siamo isolati, ma qui nessuno deve pagare il mutuo e non c’è bisogno di denaro per mettere del cibo in tavola», dice Andy Repetto, cugino di Andre e discendente di Andrea. Anche se il vero rischio è che l’isola si spopoli entro breve. I giovani sotto i quindici anni non sono che il 10 per cento degli abitanti. E a differenza dei decenni passati, è alquanto improbabile che una nave in avaria porti nuovi naufraghi. Forse, in futuro, i piccoli di oggi cercheranno fortuna su qualche continente. «Eppure sono felice di vivere qui e non ho nessuna intenzione di andarmene - continua Andy -. Questo è un posto sicuro. Certo, siamo in pochi e c’è il rischio che un giorno non rimanga più nessuno qui. Ma questo sarà il destino a deciderlo». PABLO TRINCIA