La Stampa 04/01/2008, pag.38 ALBERTO PAPUZZI, 4 gennaio 2008
Venezia è unica? No, ce ne sono 97. La Stampa 4 Gennaio 2008. A Londra c’è Little Venice, in un’area a Sud di Maida Vale, dove la confluenza di due canali (Regent’s Canal e Grand Union) crea un intreccio di vie acquee, battezzato con il nome della città dei dogi dal poeta Robert Browing verso metà Ottocento
Venezia è unica? No, ce ne sono 97. La Stampa 4 Gennaio 2008. A Londra c’è Little Venice, in un’area a Sud di Maida Vale, dove la confluenza di due canali (Regent’s Canal e Grand Union) crea un intreccio di vie acquee, battezzato con il nome della città dei dogi dal poeta Robert Browing verso metà Ottocento. Nel primo weekend di maggio si celebra a Little Venice una variopinta festa di long boat. A Las Vegas l’Hotel The Venetian, uno dei più grandi del mondo, è circondato da perfette (e cervellotiche) copie di monumenti veneziani: il Palazzo Ducale, la Ca’ d’Oro, il campanile di San Marco, un Ponte di Rialto sotto cui sfrecciano automobili. Nello Stato di New York il piccolo villaggio di Venice, fondato nel 1868, è immerso in un paesaggio rurale che è quanto di più lontano si possa immaginare dalla vera Venezia, però le vecchie case coloniche sono costruite nello stile architettonico delle ville palladiane. In Brasile nel 1891 venne fondata Nova Veneza da immigrati veneti: eretta in una zona di foresta vergine, fra banani e palmizi, fra rare specie di orchidea e animali come il bradipo, oggi conta dodicimila abitanti, e nella piazza principale esibisce una vera gondola nera composta di 280 pezzi. Un divertente libretto, Welcome to Venice, per la prima volta racconta tutte le Venezie del mondo, cioè tutti i modi in cui la città sull’acqua è stata imitata, copiata, sognata. Promosso, edito e distribuito dal Consorzio Venezia Nuova, istituzione ministeriale che realizza gli interventi per la salvaguardia della città, il volume è stato curato dal giornalista Guido Moltedo e raccoglie i contributi di un gruppo di autori: la giornalista americana Judith Stiles, del newyorkese The Villager, lo scrittore argentino Enrique M. Butti, la giornalista e saggista Elza Maria das Nevas Fraga, i romanzieri italiani Alessandro Carrera e Rita Ciresi, il fotografo free lance Carlo Benucci. Il risultato finale è un ritratto, per descrizioni, per ricordi e per immagini, non tanto della Venezia fisica quanto della Venezia mentale, cioè dell’idea di Venezia e dei frammenti di fascino che la compongono. In totale, il libro censisce 97 Venezie, così sparse: 32 negli Stati Uniti, 22 in Brasile, 16 in Colombia, 6 in Messico, 4 in Nicaragua, 3 in Ecuador, Guatemala e Costa Rica, 2 in Bolivia, El Salvador e Perù, 1 in Canada. Ce ne fu una anche in Australia, ma dalla vita breve. La Venezia artificiale più nota è quella in California, fondata agli inizi del Novecento, in una palude non lontana da Los Angeles, da Abbot Kinney, un self-made-man poliglotta che aveva fatto fortuna con il tabacco. Oggi conta ventimila abitanti, è ormai inglobata nella metropoli californiana e la si è vista in alcuni musical hollywoodiani. Kinney venne nella vera Venezia e arruolò trentasei gondolieri, con le rispettive gondole, portandoli a vogare nei canali della sua finta città, non a caso ribattezzata «la follia di Abbot». C’erano ponti in stile veneziano, un molo, un auditorium. Ma al tempo della grande depressione la maggior parte dei canali vennero interrati. Caduta in stato di abbandono, sembrava senza scampo, quando, invece, i bassi affitti e il suggestivo panorama attirarono negli anni sessanta poeti, artisti, musicisti della beat generation. Furono i beatnik e gli hippies a salvarla, gente come lo scrittore di fantascienza Ray Bradbury e il leggendario musicista Jim Morrison. Perciò è considerata la città più funky d’America, vale a dire la più eccentrica (dallo stile musicale funk che mescola jazz, blues e soul). Dietro la moltiplicazione delle finte Venezie, ci sono storie, soprattutto negli Usa, di personaggi visionari. Un tipo alla Kinney era Sheldon Gary Adelson, pure lui un self-made-man che emerge dal nulla: quinto uomo più ricco del mondo secondo la classifica di Forbes, strillone da bambino per il Boston Globe, a dodici anni aveva già un’edicola di giornali. Da grande ha ideato e realizzato a Las Vegas nel 1999 il già citato Hotel The Venetian (3036 stanze, 250 artisti) con annesse copie di Palazzo Ducale, Ponte dei Sospiri, Ca’ d’Oro, e così via. Ha dichiarato alla stampa di aver buttato decine di milioni di dollari per replicare i tratti celebri dell’architettura veneziana: «Vogliamo trasmettere il lusso e la decadenza dei palazzi veneziani», ha confessato ai giornalisti. S’impegnò scientificamente, assumendo per consulente la storica israeliana Dorit Raines. Magnate dalle idee grandiose, ha dovuto accettare dei ridimensionamenti. Voleva riprodurre i masegni, le pietre che lastricano Venezia. Ma hanno più di seicento anni, per cui era impossibile ottenerne oggi di uguali. Si è dovuto arrangiare con il poliuretano espanso. Si dice che uno dei trentasei gondolieri di Abbot Kinney, tale John Scarpa, avrebbe remato per miglia e miglia, arrivando in una baia dove organizzò un servizio di gondole, facendo la fortuna americana di questa icona veneziana. Dal 1983 esiste una Gondola Society of America, con il fine dichiarato di promuovere «gondolas and gondoliering». Nella Venice della Florida si pubblica d’altronde il Gondolier Sun, mentre l’elegante imbarcazione ondeggia nei luoghi meno immaginabili del mondo, da Sydney a Tokyo, da Boston a Houston. Nel Nebraska, anzi, si può fare una gita sul lago ai remi di una caorlina, tipica e pesante imbarcazione di Burano, che partecipa regolarmente alla Regata storica. E poi ci sono i campanili di San Marco rifatti in copia persino a Maracaibo in Venezuela. Così il mito di Venezia insegue se stesso, giù giù, fino alle case su palafitte della Venice della Louisiana, ultima comunità raggiungibile in auto lungo la riva occidentale del Missisipi, perciò chiamata «La fine del mondo». Ma il caso più stupefacente è l’ultimo: a Macao in Cina, il 28 agosto 2007, si è inaugurato un colossale albergo che è la copia del Venetian di Las Vegas. Una replica della replica. La trasformazione definitiva di Venezia (e Venice) in prodotto seriale. ALBERTO PAPUZZI