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 2008  gennaio 05 Sabato calendario

”Filmo l’Alzheimer per sconfiggerlo”. La Stampa 5 Gennaio 2008. BOLOGNA. Stavolta le immagini del film hanno un solo spettatore e un solo attore protagonista, qualcuno che un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro, perde memoria di sé fino a sprofondare nel buio della mente

”Filmo l’Alzheimer per sconfiggerlo”. La Stampa 5 Gennaio 2008. BOLOGNA. Stavolta le immagini del film hanno un solo spettatore e un solo attore protagonista, qualcuno che un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro, perde memoria di sé fino a sprofondare nel buio della mente. Memo Film servirà proprio a questo, a cercare di fissare i momenti più importanti della vita di un malato di Alzheimer per aiutarlo a non perdere il contatto con la realtà. Un’esperienza senza precedenti, con cinque registi impegnati a riprendere dieci anziani affetti da demenza senile seguiti dall’istituto Giovanni XXIII di Bologna. Fra i cineasti coinvolti c’è Giuseppe Bertolucci, presidente della Cineteca Comunale, che racconta com’è nata l’idea di usare la videocamera come strumento di cura per uno dei mali più temuti dei nostri tempi: «L’idea è stata dello sceneggiatore dei film di Stefano Incerti, Eugenio Melloni, che aveva una persona cara malata di Alzheimer che non riusciva a ricordare la morte della moglie. Le conseguenze erano strazianti, perché ogni volta, quando si parlava della cosa all’anziano vedovo, si rinnovava il lutto, allora Melloni ha pensato di memorizzare la notizia su una videocassetta». L’esperimento è servito, tanto che si è pensato di ripeterlo su scala più ampia coinvolgendo i pazienti e i terapeuti dell’istituto Giovanni XXIII: «Ci siamo chiesti se sia giusto o meno mostrare il soggetto a se stesso, filmare il paziente, che è poi l’unico spettatore del film. Credo sia difficile intervenire sulle forme molto gravi, ma farlo nelle fasi precoci può essere un supporto utile, tenuto conto che in questi casi è come se l’identità si sgretolasse poco a poco». I primi film sono già stati girati, il lavoro dovrebbe essere completato entro la fine del 2008, o nei primi mesi del 2009. Dato che si tratta di un progetto sperimentale non esiste una pratica comune, e ogni film è una storia a sé, secondo le condizioni e la situazione del malato: «Ogni volta è una piccola avventura – spiega il regista – In alcuni casi c’è il tentativo di dare elementi di identità al paziente ricostruendo i momenti salienti della sua vita. A volte ci si basa sulle notizie fornite dai parenti, ma ci sono anche anziani completamente soli, dunque ogni caso è diverso. Affrontiamo anche il problema del rapporto col personale sanitario, per cercare delle familiarità». Naturalmente c’è l’aspetto medico-terapeutico, nel valutare i benefici che gli anziani avranno nel rivedere la loro storia scorrere in video, ma per un cineasta di lungo corso come Bertolucci c’è anche un altro elemento singolare: «La cosa interessante per me è il fatto che il film abbia un destinatario unico, considerato che invece l’audiovisivo in genere è diretto a un pubblico esteso. Vengono messe in discussione la tradizionali categorie estetiche perché qui non è il bello che si cerca, e da un certo punto di vista tutto questo è stimolante, dato che si smonta il modo di lavorare abituale» Dal punto di vista umano, il contatto con una realtà così difficile e dolorosa è molto toccante: «Sono andato all’istituto Giovanni XXIII, a vedere i malati, e trovo sia molto difficile esprimere quei vissuti, raccontare qualcosa che in qualche modo ci aspetta tutti. Mi colpisce che siano raccolti tutti in un’unica struttura, sia pure una struttura d’eccellenza, è abbastanza impressionante questa concentrazione di senilità». Entrambi i genitori di Giuseppe Bertolucci, il poeta Attilio e la madre, sono morti molto anziani, a 89 e 93 anni: «L’esperienza della loro senilità l’ho vissuta da molto vicino. Per fortuna, loro non sono arrivati a forme così gravi, all’Alzheimer, ma a qualche episodio di perdita di memoria recente sì». Memo Film, aggiunge il regista, servirà a verificare l’efficacia del mezzo audiovisivo in territori inesplorati, oltre che a rispondere alla vocazione scientifica della Cineteca di Bologna: «Ci siamo informati, in Italia non sembra ci sia mai stata un’esperienza di questo genere. Sarà anche interessante vedere se in ambiti confinanti, come il disagio mentale, sia sperimentabile l’audiovisivo. D’altra parte tutta la nostra vita è monitorata e filmata, come avviene con le telecamere piazzate in vie e piazze delle città, mentre in chiave terapeutica questo strumento è molto poco usato». FRANCO GIUBILEI