La Stampa 03/01/2008, pagg.2-3 LUIGI GRASSIA, 3 gennaio 2008
Mazzata sull’Africa L’aumento si mangia tutti i debiti condonati. La Stampa 3 Gennaio 2008. Il barile di petrolio si sta bevendo tutti i benefici portati all’Africa da tre anni di aiuti internazionali e di sforzi per cancellare il debito degli Stati più poveri
Mazzata sull’Africa L’aumento si mangia tutti i debiti condonati. La Stampa 3 Gennaio 2008. Il barile di petrolio si sta bevendo tutti i benefici portati all’Africa da tre anni di aiuti internazionali e di sforzi per cancellare il debito degli Stati più poveri. Lo dice l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) mettendo il dito nella piaga del più trascurato fra i risvolti dell’aumento del prezzo del greggio: se i Paesi sviluppati e anche quelli emergenti riescono a pagare l’oro nero cento dollari al barile e a tirare avanti quasi come niente fosse, per quelli poverissimi la faccenda è molto diversa e molto più grave, tanto grave che il problema dell’energia basta da solo ad azzerare le loro speranze di riscatto. L’Aie ha condotto la sua ricerca in 13 Paesi africani privi di risorse petrolifere, tra cui Ghana, Senegal, Tanzania ed Etiopia, ma anche uno Stato piuttosto sviluppato e benestante (rispetto alla media del continente) come il Sud Africa, e il sondaggio ha evidenziato che il rincaro del greggio acquistato da questi Paesi a partire dal 2004 ammonta a 10,6 miliardi di dollari extra ed equivale a 3 punti percentuali del prodotto interno lordo. La cifra è superiore agli aiuti ricevuti da questi 13 Stati nello stesso lasso di tempo dai Paesi donatori e alla somma di debito cancellato. amaro constatare come l’opera condotta nell’arco di più anni da personaggi dello spettacolo (il cantante Bono degli U2, Bob Geldof e altri) e dai leader politici meglio intenzionati d’Europa e d’America sia riuscita, pian piano e con fatica, a far breccia nell’egoismo di governi e banchieri solo per «girare» a qualche sceicco i soldi (non pochi) messi alla fine sul piatto. Ma l’aritmetica dice che è proprio questo che sta succedendo. E non è neanche la prima volta che va in onda questo film: già negli Anni 70 del secolo scorso i Paesi più poveri, soprattutto dell’Africa nera, subirono un prolungato salasso a opera dell’Opec che poi portò, con altri fattori, alla crisi debitoria del decennio successivo. Fra l’altro, la divergenza di interessi fra produttori di petrolio e consumatori di questa indispensabile risorsa fu tra i motivi che spezzarono il fronte dei Paesi non allineati, che sembrava consolidarsi contro il neo-colonialismo e invece naufragò miseramente. Per quanto l’Africa nera abbia economie a bassa intensità energetica (perché ci sono poche automobili, pochi aerei e poche fabbriche, e perché le necessità di riscaldamento sono minime, grazie al clima caldo tutto l’anno), resta il fatto che un certo flusso di idrocarburi è assolutamente vitale anche da queste parti. L’aumento dei costi di trasporto, dovuto alla benzina che rincara, si ripercuote su tutti i prezzi, incluso quello dei prodotti alimentari, e questo rallenta la crescita economica e sottrae risorse per gli investimenti in settori chiave per lo sviluppo dell’Africa come l’istruzione e la salute. Il ministro delle Finanze nigeriano, Shamsuddeen Usman, dice che «i Paesi senza ricchezze petrolifere vedranno diminuire la possibilità di raggiungere gli Obiettivi del Millennio», cioè il programma a lungo termine di lotta alla povertà delle Nazioni Unite. Il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, dice che si rischiano «rivolte e violenze» in Africa a causa del «rovinoso prezzo del greggio». «Sta aumentando la consapevolezza - dice Wade - che oggi la principale sfida per l’Africa è quella di ottenere energia a costi abbordabili». Per ovviare al problema, il Senegal vorrebbe promuove un’unione fra gli Stati africani privi di risorse petrolifere, in modo da costituire una compagnia petrolifera che vada in giro a conquistare concessioni petrolifere (possibilmente in altre zone dell’Africa). Un’idea nuova e ambiziosa, forse anche troppo visto che per entrare nel business del petrolio servono capitali e competenze tecnologiche. Comunque è un’indicazione positiva di come gli africani siano stufi di piangersi addosso e cerchino di prendere fra le mani il loro futuro. LUIGI GRASSIA