Il Messaggero 06/01/2008, pagg.1-20 CARLO JEAN, 6 gennaio 2008
CHE COSA C’ DIETRO AL PETROLIO RECORD
Il Messaggero 6 Gennaio 2008. IL superamento del greggio della ”mitica” soglia di 100 dollari al barile avrà effetti più psicologici che reali. Era stato annunciato sin dal 2005. Non provocherà una crisi dell’economia mondiale, a differenza degli shocks del 1973 e 1979. Essi erano derivati da una brusca riduzione dei rifornimenti petroliferi dal Medio Oriente. Anche allora il barile aveva superato i 100 dollari al loro valore attuale. Poi era scoppiata la ”bolla petrolifera”. Il prezzo del barile era crollato. Le capacità di produzione eccedenti la domanda del mercato erano salite a 16 milioni di barili al giorno (mbg) a metà degli anni ottanta. Erano ancora di 7 mbg, pari al 9% dei consumi mondiali, nel 2003. Oggi sono scese al preoccupante livello di 1,5 mbg, pari al 2% dei consumi. Una crisi geopolitica, che faccia diminuire l’offerta, o un improvviso aumento della domanda non potranno più essere soddisfatte. In tal caso la crisi sarebbe inevitabile. Il mercato è dominato dai produttori, non più dai consumatori. La Russia può usarlo come un’arma per riprendere il controllo dell’ex-impero.
L’aumento del prezzo attuale è dovuto a ragioni geopolitiche e geoeconomiche. Non deriva dalla ”fine del petrolio”. Essa avverrà, ma nel lungo termine, forse fra secoli. Le cause sono diverse. In primo luogo, ha influito la finanziarizzazione del mercato petrolifero. Agli hedge funds si sono aggiunti i fondi pensioni. Il petrolio è divenuto un bene rifugio, come le altre materie prime. In questi giorni, l’oro ha toccato i suoi massimi storici. Si sono così determinati forti interessi a mantenerne elevato il prezzo. Agli Stati esportatori e alle compagnie petrolifere, si sono aggiunti molti risparmiatori ed anche gli Stati come sono in generale quelli europei che impongono sui combustibili forti tasse. Essi, poi, riescono a coprire l’aumento del prezzo del petrolio con il rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro.
In secondo luogo, all’aumento della domanda, di Paesi come la Cina, non ha corrisposto lo sviluppo di nuove capacità. I grandi giacimenti, valorizzati negli anni Sessanta, si stanno esaurendo. Da qualche anno, con l’aumento del prezzo del greggio, gli investimenti sono però ripresi. I loro effetti positivi sull’offerta si avranno in futuro. Oggi, l’intera catena logistica del petrolio presenta carenze: dagli ingegneri minerari, alle capacità esplorative, estrattive, di raffinazione e di trasporto. Se finora la domanda ha potuto essere soddisfatta lo si deve alle nuove tecnologie, che sono però costose. Anch’esse hanno concorso all’aumento del prezzo. Lo sono particolarmente quelle per i petroli non convenzionali: ad esempio, le sabbie e i bitumi.
La crisi attuale è dovuta poi alla struttura del mercato del petrolio. Esso è una commodity globale, caratterizzata da un’elevatissima fungibilità. Sia l’offerta che la domanda sono estremamente rigide. Qualsiasi perturbazione si ripercuote in tutto il mondo. Si potrebbe dire che non esiste un petrolio straniero. La speculazione ”gioca” su un effetto panico globale. Ha ottime occasioni per poterlo fare. Gran parte delle esportazioni petrolifere proviene da Stati instabili, come quelli del Golfo o la Nigeria. Non parliamo della situazione in Venezuela, in Iraq e in Iran. Ogni venticello può essere trasformato in tempesta. Sull’attuale prezzo del greggio, la quota ”del terrore” ammonta ad una ventina di dollari al barile. Quella della speculazione è analoga.
Sugli aumenti hanno infine influito la debolezza del dollaro; la previsione di un inverno particolarmente freddo; la notizia che le compagnie petrolifere Usa hanno visto diminuire a dicembre le loro riserve di circa l’1%; la scarsa consistenza delle riserve strategiche. Solo quelle Usa hanno la rispettabile consistenza di 650 milioni di barili, stoccati in depositi salini sulle loro coste. Per conferire una certa tranquillità, ne sarebbero necessari 3 miliardi di barili: uno nelle Americhe, uno in Europa e uno in Estremo Oriente.
Ma quali saranno le conseguenze economiche di un prezzo del petrolio tanto alto? Le catastrofiche previsioni di dieci anni fa sono state smentite. Allora, la Banca Mondiale aveva ipotizzato che ciascun aumento di 10 dollari al barile avrebbe provocato nel mondo un rallentamento della crescita dello 0,5% del Pil e un aumento dell’inflazione dello 0,35%. Invece, benché il prezzo del petrolio sia quadruplicato dal 2000, l’economia mondiale ha continuato a crescere e l’inflazione è stata contenuta. Certamente è stato merito della globalizzazione e dei suoi effetti anti-inflattivi. I più gravi problemi dell’economia mondiale sono altri: i troppo alti consumi americani; i bassi consumi e gli eccessivi risparmi cinesi; e la ridotta crescita dell’Europa.
CARLO JEAN