Libero 06/01/2008, pagg.1-11 RENATO FARINA, 6 gennaio 2008
Campi di rieducazione, e perché no? Libero 6 gennaio 2008°. Attenti, qui si parlerà di campi di rieducazione
Campi di rieducazione, e perché no? Libero 6 gennaio 2008°. Attenti, qui si parlerà di campi di rieducazione. La parola fa spavento. Sa di lager e di kapò. Per giunta li ha riproposti una tedesca, Angela Merkel, e quando l’idea è germanica l’accostamen to ad Adolf è obbligatorio. Per favore però non ragioniamo in astratto. Lavoriamo sulle cose, partiamo da una piccola storia. Nadia, la prostituta ragazzina, è ancora nella comunità dov’è stata accolta. La sua vicenda l’ha raccontata Libero venerdì. Speriamo tenga duro, che si lasci accogliere anche nella testa. Quindicenne veniva dalla Romania e a Bergamo un suo connazionale giovanissimo (18 anni) e la di lui moglie (17 anni) l’hanno messa sulla strada. Come raccontato, non si sa in base a quale demenzialità delle norme, il mascalzone, per altro maggiorenne, circola tranquillo. Non è stato incarcerato, figuriamoci. Nemmeno è stato rispedito in Romania, da cui rientrerebbe senza controlli dopo un paio di giorni, il tempo di rifornirsi di merce (umana) fresca. Quel pappone può restare - secondo il gip - in Italia, basta che si sposti da Bergamo. Ma anche se resta sotto i Monti Orobici, al massimo gli ridanno il foglietto con su scritto: fa’ il bravo, cambia città. Ora l’obbedien tissimo figliolo romeno starà riprendendo il suo lavoro da negriero di bambine. Tra qualche anno avrà una bella scuderia di povere ragazze, ha capito che conviene, non gli accadrà nulla, diventerà ricco. Un esempio da imitare, e questa propaganda la fanno le istituzioni. Ecco qui l’idea di campi di rieducazione coatti. Uno potrebbe dire: ci sono già le comunità di recupero. D’ac cordo. Ma vanno bene per chi è vittima, come Nadia, oppure per chi ha una tossicodipendenza da cui vuole uscire. Ma ci sono i violenti, ci sono i candidati alla guapperia e allo sfruttamento, come quel romeno di cui sopra. Le comunità non hanno serrature. In quel caso ci vogliono, eccome. Non sappiamo come si evolverà quest’idea nei progetti della Merkel, aspettiamo con fiducia, è una signora intelligente ed equilibrata. Motivazioni di riscatto Conoscendo la sua formazione elaborerà una proposta dove non sia lo Stato con le sue guardie a governare la situazione: non può in nessun caso esserci educazione di Stato, e neanche rieducazione dunque. Lo Stato reprime e previene: spedisce tramite magistratura o - in casi particolari - tramite autorità amministrativa i soggetti pericolosi e pericolanti di minore età in strutture animate da gente capace di voler bene, ma abbia anche la forza datagli dai codici di imporre disciplina e impartire un’educazione a tutto tondo. Dunque una crescita umana non basata soltanto su princìpi di legalità affermati in astratto, ma offrendo motivazioni di riscatto, come la Fatina a Pinocchio, insegnando soprattutto un lavoro e cominciando a svolgerlo. E così via. una cosa da studiare. Potrebbe es- sere pensata a livello europeo o addirittura coinvolgendo i Paesi dell’Ocse, tra cui ci sono Stati africani, come Marocco e Tunisia, balcanici e asiatici. Le convenzioni internazionali, a livello europeo, vietano espressamente il lavoro forzato. Per cui è inutile urlarne la necessità, sapendo bene che è impossibile obbligare qualcuno che non voglia. Ma luoghi di riabilitazione, dove si accetti di imparare qualcosa, magari un mestiere, e di seguire dei corsi formativi della sensibilità e della co- scienza, con insegnanti preparati e appassionati, sarebbe una grande chance. In Germania l’idea è nata in un dirigente della Cdu, la Democrazia cristiana tedesca. Ha visto che ci sono troppi ragazzi sotto i vent’anni, specialmente stranieri, propensi alla violenza, capaci di produrre reati come merci industriali. I giudici in Germania applicano blandamente leggi blande, pensate in tempi di sociologia perdonista. Per essa la società è la cau- sa del male, che colpa ne ha chi la pratica? Va bene, non sarà colpa sua - è la risposta della Merkel - ma meglio per lui e per tutti se intanto migliora la sua attitudine dinanzi al mondo e la smette di cercare di strangolare le ragazzine e di smerciare droga. Dunque: sì ai campi di rieducazione come alternativa al carcere dove tanto non va nessuno o quasi, e chi ci va peggiora. Rieducazione. La parola fa spavento. Vengono in mente i gulag cinesi e vietnamiti, dove le guardie rosse di Mao e di Ho Chi Minh infilavano i contaminati dal cristianesimo o dal capitalismo. A Cuba il grande delinquente Che Guevara trasformò un’isola (Isla de la Juventud) in un immenso lager dove cucinare a fuoco lento le teste dei bambini onde costruire l’uomo nuovo. Il risultato è stato disastroso. Basta fare un giro a Cuba per capirlo: gli iscritti al Partito comunista, il 7 per cento della popolazione, sono la classe parassitaria, tengono il calcagno sulla gola dei poveri, hanno le medicine, i dollari, gli altri crepino: hanno studiato là. La parola educazione però è bellissima. Va recuperata. Etimologicamente vuol dire: condurre fuori ( e-duco , latino). Introdurre nella realtà. Oggi però c’è un problema: pare che la società non sia d’accordo su nessuna verità oggettiva su cui possa reggersi la comunità, l’unica verità accettata sembra essere l’affermazione secondo cui una verità vale l’altra, e ciascuno fa quel che vuole. Però almeno non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, rispettare gli accordi: questi punti sono indiscutibili, vanno fatti valere pena la rovina e l’invasione della criminalità o dell’islamismo. L’esempio di Padova Allora occorre che chi ha proposte educative dove ci sia un’idea della vita (cristiana, laica, socialista, buddista, musulmana) propongano - sotto controlli statali, ovvio - una via d’uscita, una bozza di impianto educativo praticato sia nelle carceri sia in questi campi dove possano essere condotti e rieducati giovani teppisti. La possibilità esiste. A Padova, carceri Due Palazzi, ho visto all’opera un gruppo di persone sotto la guida di Nicola Boscoletto, dove qualcosa di simile accade. Aveva proposto nelle carceri la possibilità di imparare - tra gli altri - un mestiere duro ma che insieme richiede delicatezza: il pasticcere. Risultato panettoni, altre squisitezze (cooperativa Giotto), ma anche gente rieducata. All’uscita dal carcere nessuno delinque più. Non perché ha imparato a far lievitare la pasta e a scegliere la farina (anche), ma perché c’era chi gli ha trasmesso qualcosa in più. Non sogniamo, constatiamo. Il ministero della Giustizia sostiene il progetto. Allarghiamo queste possibilità. Certezza della pena e certezza della rieducazione. Se un ragazzo dice no, galera. Altro che foglio di via. Anche per i giovanotti. RENATO FARINA