Sergio Romano, Corriere della Sera 7/1/2008, 7 gennaio 2008
Nel giugno del 1952 De Gasperi richiese un’udienza al Papa per sé e la propria famiglia. Era il trentesimo anniversario del suo matrimonio e sua figlia Lucia aveva appena preso i voti come suora
Nel giugno del 1952 De Gasperi richiese un’udienza al Papa per sé e la propria famiglia. Era il trentesimo anniversario del suo matrimonio e sua figlia Lucia aveva appena preso i voti come suora. Il Papa rifiutò e De Gasperi scrisse una lettera all’ambasciatore italiano in Vaticano, Giorgio Mameli, per protestare. Quale fu la risposta dell’ambasciatore? Giulio Prosperi giulio.prosperi@email.it Caro Prosperi, Credo che occorra anzitutto ricordare ai lettori le ragioni per cui Pio XII rifiutò di ricevere De Gasperi e i suoi familiari. Nella sua biografia dell’uomo di Stato trentino, pubblicata dall’editore Rubbettino, Alfredo Canavero scrive che tutto cominciò agli inizi del 1952 con a campagna elettorale per le elezioni amministrative a Roma e in altri Comuni italiani. Terrorizzati dalla possibilità di una vittoria delle sinistre nella capitale, alcuni cattolici conservatori, fra cui il presidente dell’Azione cattolica Luigi Gedda e mons. Roberto Ronca, sostennero che la Democrazia cristiana avrebbe dovuto formare una coalizione di centrodestra con i monarchici e i neofascisti del Movimento sociale italiano. Il Papa li appoggiò, ma De Gasperi non volle rinunciare alla politica centrista con cui aveva governato sino ad allora il Paese e rifiutò di obbedire alle pressioni che gli giungevano dal Vaticano. Era cattolico, ma credeva nell’autonomia del governo ed era convinto che l’alleanza con le destre avrebbe nuociuto alla credibilità della Dc. I fatti gli dettero ragione. Ma l’episodio indispettì Pio XII. Effettivamente, come lei ricorda, De Gasperi scrisse all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. La lettera, ritrovata da Canavero negli archivi del ministero degli Esteri, contiene un passaggio di grande dignità e fermezza: «Come cristiano accetto l’umiliazione, benché non sappia come giustificarla; come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità e l’autorità che rappresento e di cui non mi posso spogliare, anche nei rapporti privati, m’impone di esprimere stupore per un rifiuto così ccezionale e di riservarmi di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento». Il chiarimento non ebbe luogo. Qualche mese dopo un alto prelato, monsignor Pavan, fece visita a De Gasperi in Valsugana, dove passava le vacanze, e gli accennò alla possibilità di una udienza papale, ma chiese quale sarebbe stato in tal caso l’atteggiamento del presidente del Consiglio. Esiste a questo proposito un promemoria di mons. Pavan, ritrovato da Andrea Riccardi, da cui risulta quale fu la risposta di De Gasperi: «Esporrei al Papa con tutta franchezza la mia tesi: «1) Se il Santo Padre mostra di tenerla in considerazione, niente di meglio. «2) Se il Santo Padre – per ragioni sue proprie – non la ritiene convincente, ma lascia libertà di scelta, essendo io profondamente convinto della aderenza della mia tesi alla contingenza storica, agirei di conseguenza, nella certezza di fare il bene dell’Italia e della Chiesa. «3) Se il Santo Padre decide diversamente, in tal caso mi ritirerei dalla vita politica. Sono cristiano, sono sul finire dei miei giorni e non sarà mai che agisca contro la volontà espressa del Santo Padre (...). Mi ritirerei dalla vita politica, non potendo svolgere un’azione politica in coscienza ritenuta svantaggiosa alla Patria e alla stessa Chiesa. In tal caso altri mi sostituirà ». L’udienza non ebbe luogo. Canavero ricorda che un paio di mesi dopo, parlando con Nenni, De Gasperi disse: «Sono il primo presidente del Consiglio cattolico. Credo avere fatto verso la Chiesa tutto il mio dovere. Eppure sono appena un tollerato».