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 2008  gennaio 06 Domenica calendario

Mi è capitato di leggere sulla stampa italiana che esisterebbero dei teorici che sostengono la necessità per alcuni Paesi di incerta democrazia di dotarsi di un «benevolent dictator» in quanto immaturi per una democrazia

Mi è capitato di leggere sulla stampa italiana che esisterebbero dei teorici che sostengono la necessità per alcuni Paesi di incerta democrazia di dotarsi di un «benevolent dictator» in quanto immaturi per una democrazia. Questi Paesi avrebbero bisogno di un tale tipo di dittatore per essere traghettati da una situazione di caos verso una democrazia compiuta. Sembra si ripresenti il dilemma se una blanda dittatura sia meglio di una cattiva democrazia. Ricordando le esperienze dell’Europa nei primi decenni del secolo scorso mi sembra un’idea pericolosissima, salvo l’esperienza di De Gaulle. Mi saprebbe dare maggiori informazioni su questa teoria ed esprimermi un suo pensiero in proposito? Giuseppe Gloria geppogloria@tiscali.it Caro Gloria, N onostante gli utili chiarimenti di un editoriale di Angelo Panebianco, ho l’impressione che il dibattito sul dittatore sia spesso viziato da un equivoco; e ne vedo una prova, tra l’altro, nel nome di De Gaulle, citato nella sua lettera. Il generale non fu un dittatore, sia pure blando o benevolo. Non soppresse il Parlamento. Non attentò all’indipendenza dei giudici. Non eliminò le istituzione intermedie, come la Corte dei conti e il Consiglio di Stato, che si oppongono agli arbitri dell’esecutivo e della pubblica amministrazione. Interpellò il Paese con un referendum nei momenti decisivi della Francia: adozione di una nuova carta costituzionale, elezione diretta del capo dello Stato, indipendenza dell’Algeria, nuova riforma dello Stato dopo i moti del 1968. E quando il Paese gli dette torto, come accadde per l’appunto con il referendum dell’aprile del 1969, non esitò a dimettersi e ad assumere, nelle vicende dei mesi seguenti, una posizione scrupolosamente neutrale. Esiste oggi in Italia un eccellente saggio biografico sul generale De Gaulle scritto da Gaetano Quagliariello per Il Mulino in cui lei potrà trovare la descrizione e l’analisi di questi momenti cruciali della Francia moderna. Il modello gollista, adottato sostanzialmente da tutti i suoi successori fino a Nicolas Sarkozy, è quello della responsabilità democratica. Il generale non amava un sistema politico in cui il potere è esercitato in modo opaco e irresponsabile, in cui i partiti si frappongono come diaframmi tra il Paese e il governo, in cui tutti governano perché nessuno governa. Pensava che la Francia avesse bisogno di un potere forte e stabile, ma legittimato da un mandato popolare, e che il Primo ministro dovesse rispondere delle proprie azioni al Parlamento. La sua reazione, quando il Paese, nel maggio del 1968, sembrò precipitare nel caos, non fu quella di proclamare lo stato d’assedio o la legge marziale, ma di indire nuove elezioni. Fra il momento in cui le annunciò e quello in cui il Paese tornò alle urne passarono tre settimane. La consultazione ebbe l’effetto di verificare i sentimenti dei francesi e di mettere termine alla stagione delle turbolenze. Da noi il ’68 durò più di dieci anni e per certi aspetti non è ancora finito. In Italia De Gaulle non piacque e non piace perché il suo modello minaccia il sistema prediletto dai piccoli partiti, dai notabili, dall’amministrazione pletorica e irresponsabile, dagli intellettuali conservatori della costituzione del 1948, dalla politica chiacchierona e procrastinatrice. E per meglio esorcizzare tutto ciò che può nuocere al loro quotidiano tran-tran gli oppositori della democrazia efficiente la chiamano «dittatura»: una trappola in cui sembrano cadere, purtroppo, molti italiani.