Carlo Pedretti*, Corriere della Sera 5/1/2008, 5 gennaio 2008
Leonardo da Vinci visse a Milano, dove operò come pittore, architetto e ingegnere, per diciotto anni al servizio degli Sforza dal 1482 al 1500 e ancora dal 1508 al 1513 al servizio dei governanti francesi e quindi dello stesso re Luigi XII
Leonardo da Vinci visse a Milano, dove operò come pittore, architetto e ingegnere, per diciotto anni al servizio degli Sforza dal 1482 al 1500 e ancora dal 1508 al 1513 al servizio dei governanti francesi e quindi dello stesso re Luigi XII. Del periodo sforzesco sono ben noti i suoi capolavori di pittura, dalla «Vergine delle rocce» e dai ritratti maschili e femminili al Cenacolo e alla decorazione della Sala delle Asse al castello. Documenti storici e i suoi stessi manoscritti forniscono informazioni su altri aspetti della sua attività durante quel primo periodo, soprattutto come architetto e tecnologo oltre che come scultore col progetto del colossale monumento equestre a Francesco Sforza rimasto incompiuto con l’ingresso dei francesi nel 1499. Del secondo periodo si sa ancora ben poco: nulla di certo per quanto riguarda committenze di opere artistiche da parte dei francesi e solo qualche indizio di opere di architettura e idraulica per gli stessi. Lo stesso governatore francese elogia le prestazioni di Leonardo con una lettera del 16 dicembre 1506 alla Signora Fiorentina affermando che «il nome suo, celebrato per pictura è oscuro a quello che meritarla essere laudato in le altre parte che sono in lui de grandissima virtute» e precisa che, richiesto «de disegni et architettura e altre cose pertinenti alla condizione nostra» (cioè come governatore e quindi luogotenente del re in tempo di guerra), «ha satisfacto cum tale modo, che non solo siamo restati satisfacti de lui, ma ne havemo preso admitatione ». Se Leonardo, come è prevedibile, sarà al centro delle celebrazioni milanesi del 2015, sarebbe bene non insistere troppo sulla sua opera artistica ormai studiata a fondo e concentrarsi invece sugli aspetti scientifici e tecnologici della sua opera, che dal 1508 in poi si presenta ancora con allarmanti lacune dovute soprattutto dalla mancanza di documenti. Ma a cercar bene prima o poi i documenti saltano fuori anche se da tempo perduti o dimenticati, per esempio quello che prova come il 9 dicembre 1515 Leonardo fosse di nuovo a Milano da dove avrebbe scritto al suo castaldo (fattore) a Fiesole per dirgli come meglio coltivare le vigne per produrre vino migliore di quello che gli aveva appena inviato. A Milano Leonardo avrebbe potuto incontrare il re Francesco I che a metà dicembre si sarebbe recato a Bologna per lo storico incontro col papa Leone X. Solo di recente si è potuto accertare che cinque mesi prima il nuovo re veniva accolto dalla comunità fiorentina di Lione dal leone meccanico di Leonardo come operazione politica che faceva capo al papa mediceo (vedi «Corriere della Sera», 17 novembre scorso). La prova che il re avesse accolto con ammirazione il singolare capolavoro tecnologico al punto di volere Leonardo al proprio servizio si ricava da un altro documento pure scoperto di recente e non ancora pubblicato: il 16 marzo 1516 il celebre e potente Grande Ammiraglio di Francia, Guglielmo Gouffier signore di Bonnivet, scrivendo ad Anton Maria Pallavicino a Roma lo prega fra l’altro di sollecitare Leonardo a trasferirsi in Francia dove il re e sua madre lo aspettano a braccia aperte. Il Bonnivet proprio nel 1517 iniziava la costruzione del grandioso portocanale di Le Havre con accorgimenti innovativi nei quali un nostro ingegnere portuale, Agatino d’Arrigo, non aveva esitato a riconoscere, nel 1940, un’idea di Leonardo. Ma c’è di più. Un documento scoperto di recente mostra che una prima versione del leone meccanico di Leonardo, non ancora programmato a camminare, era già stata realizzata per l’ingresso di Luigi XII a Milano il primo luglio 1509: «In su l’entrata del Re in Milano, oltre al altre ghale ( feste di gala, ndr), Lionardo da Vinci, pictor famoso e nostro fiorentino excogitò una tale intramesse ( intermezzo). Figurò un lione ( nell’interlinea: sopra la porta) el quale giacendo, alla venuta del re si levò in piè: e colla brancha s’apersi il pecto e di quello trasse palle azurre piene di gigli d’oro; quali gittò e seminò per terra. Di poi si trasse il cuore e premendolo n’( ne fece) uscire medesimamente gigli d’oro. A dimostratione come marzocco dei fiorentini figurato per tale animale haveano piene le viscere di gigli: fermassi oltre ( il re) ad tale spectacolo piaqueli e molto se ne allegrò». Questo è scritto su una strisciolina di carta inserita fra i fogli 16 e 17 nel quinto e ultimo volume della Historia fiorentina di Piero Parenti – storico e cronista fiorentino del primo ’500 ”, opera solo in parte pubblicata e conservata manoscritta nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Questo ultimo volume, infatti, è ancora inedito. Si tratta dunque di un documento di immensa importanza per gli studi su Leonardo. Lo ha pubblicato in modo esemplare Jill Burke con un saggio intitolato «Meaning and Crisis in the Early Sixteenth Century: Interpreting Leonardo’s Lion», nell’ «Oxford Art Journal» nel 2006. L’evento al quale questo nuovo documento si riferisce è l’ingresso a Milano di Luigi XII il primo luglio 1509 dopo le vittorie riportate nella campagna contro Venezia, a cominciare con la battaglia di Agnadello del 14 maggio di quell’anno, la vittoria che segnò il successo della Lega di Cambrai in quanto fu seguita dalla rapida e disastrosa ritirata dell’armata veneta, lasciando il passo all’invasore, senza colpo ferire, per tutto il territorio bergamasco, via via fino a Brescia. Nei mesi di quelle operazioni Leonardo era a Milano. E infatti lo stesso storico fiorentino aggiunge alcune straordinarie precisazioni sul ruolo di Leonardo come regista dell’ingresso trionfale del re: «Adoperassi assai nel disegno della pompa Lionardo da Vinci famoso nostro pictore Fiorentino, il quale fece molti ornamenti a uso d’archi trionfali per le strade coperte con molte diversità di tende e con trionfo drieto della victoria con molte imagini di Città expugnate etc.». Una cronaca contemporanea, il «De bello veneto» di Bernardino Arluno, descrive minuziosamente quegli apparati senza nominare Leonardo, ma lo storico milanese Baldassare Oltrocchi, nel 1777, aveva sostenuto che solo Leonardo avrebbe potuto occuparsi di tale impresa. Ci sono voluti più di due secoli per provare che aveva ragione. *Ucla University (Usa)