Simona Ravizza, Corriere della Sera 5/1/2008, 5 gennaio 2008
MILANO
«In base alle attuali conoscenze scientifiche è corretto considerare la 22esima settimana il tempo limite per l’aborto terapeutico ( normalmente viene considerata la 24esima, ndr). il termine oggi valido nella maggioranza dei casi per escludere la possibilità di vita autonoma del feto ». entrata in Mangiagalli da studentessa alla fine degli anni Settanta, quando la clinica di via Commenda 12 era al centro delle battaglie femministe per il diritto di aborto delle donne. Da sempre di sinistra, a capo del comitato lombardo pro Veltroni alle scorse Primarie, Alessandra Kustermann, responsabile del Servizio di diagnosi prenatale e del Centro soccorso violenza sessuale e domestica dell’ospedale, lo scorso settembre ha sottoscritto il nuovo codice di autoregolamentazione della Mangiagalli, ora preso a modello dal governatore Roberto Formigoni (Forza Italia) per fornire linee guida sulla 194.
Pentita?
«Nient’affatto. Praticare un’interruzione terapeutica di gravidanza quando il feto è in grado di sopravvivere vuol dire andare contro la 194. Per capirlo basta vedere l’articolo 7 della legge. il motivo per cui da sempre in Mangiagalli discutiamo con i neonatologi del problema».
Un aborto alla 24esima settimana, per dire, oggi che rischi comporta?
«Il feto può sopravvivere all’interruzione di gravidanza. E le odierne capacità terapeutiche gli possono permettere di continuare a vivere. Ma con il rischio di gravissimi danni cerebrali. Quindi è interesse della donna – e anche del neonato – non fare un aborto terapeutico quando il feto ha una possibilità di vita autonoma».
E se sopravvive?
«Va rianimato, senza se e senza ma. una questione di deontologia professionale. Ma è meglio evitare alla donna un doppio dramma: all’aborto terapeutico in questo caso va ad aggiungersi lo choc di trovarsi con un bambino con più problemi di quelli che l’avevano spinta a decidere per l’interruzione di gravidanza».
Il protocollo in vigore in Mangiagalli prevede anche che l’aborto per problemi di salute fisica o psichica della donna venga discusso da un’équipe di medici – tra cui una psicologa – al posto del solo ginecologo. una misura proprio necessaria?
« un modo per tutelare sia i medici sia le pazienti. I primi condividono le responsabilità, le seconde possono confrontarsi con più opinioni per ricevere l’aiuto necessario».
La sua faccia, però, è perplessa.
« importante che tutti capiscano che il documento della Mangiagalli (simile a quello del San Paolo, ndr)
non va contro la 194. In alcun modo. semplicemente una presa d’atto di un percorso diagnostico-terapeutico condiviso con i neonatologi all’interno dell’ospedale».
Queste linee guida vanno estese a tutti gli ospedali?
«Le conclusioni alle quali si arriva derivano innanzitutto dal buon senso e dal confronto clinico. Non credo sia necessario. sufficiente la 194».
Ma se la Mangiagalli, ospedale all’avanguardia in Italia, ha trovato utile dotarsi di un protocollo interno, non è meglio che anche agli ospedali «di seconda linea» vengano offerte linee guida?
«Io mi appello al senso di responsabilità dei medici. E alla loro coscienza. Ricordiamoci che l’interruzione di gravidanza dopo i 90 giorni viene fatta per salvaguardare la vita fisica e psichica della donna».
Non si rischiano così nuovi casi Careggi? (All’ospedale di Firenze nel marzo 2007 un feto è nato vivo dopo un aborto terapeutico).
«Una cosa è certa: gli errori umani sono sempre possibili».
Simona Ravizza