La Repubblica 02/01/2008, TIMOTHY GARTON ASH, 2 gennaio 2008
Cosa chiediamo alla fede di un leader. La Repubblica 2 gennaio 2008. In questa stagione di buona volontà mi sforzo di pensare ad un aggettivo più gentile per definire "quanto attiene alla rivelazione dell’ angelo Moroni"
Cosa chiediamo alla fede di un leader. La Repubblica 2 gennaio 2008. In questa stagione di buona volontà mi sforzo di pensare ad un aggettivo più gentile per definire "quanto attiene alla rivelazione dell’ angelo Moroni". Moroniano? Moronico? L’ angelo Moroni, i lettori lo ricorderanno, si vuole apparso nel 1820 ad un giovane americano di nome Joseph Smith. Lo condusse - stando al racconto di Joseph - a delle tavole d’ oro "splendidamente incise, non spesse quanto la comune latta" , sepolte sul pendio di una collina presso la sua casa nell’ ovest dello stato di New York. - I testi, scritti in una lingua altrimenti sconosciuta chiamata egiziano riformato, e decifrata con l’ ausilio di due pietre chiamate Urim and Thummim, divennero il Libro di Mormon , considerato dai mormoni una rivelazione divina paragonabile alla Bibbia. Il nome "Mormon", spiegava Smith in una lettera ad un giornale, deriva dalla parola mon che in egiziano riformato significa bene, «per cui, aggiungendo "more", (più, maggiore in inglese), abbreviato in mor, abbiamo Mormon, che letteralmente significa maggior bene». In questo sacro libro l’ America del nord viene descritta come «una terra che è scelta sopra tutte le altre terre» (II Nefi 1:5) e agli americani del diciannovesimo secolo si garantiva, in una sorta di profezia retrospettiva che «sarà per loro una terra di libertà» (II Nefi 1:7). Inoltre, se gli indiani americani si fossero convertiti alla vera fede, avrebbero avuto l’ opportunità di tornare ad essere un popolo «bianco e delizioso» (II Nefi 30:6). (La versione ufficiale on-line del Libro di Mormon ha corretto la frase in «popolo puro e delizioso»). Gli aderenti alla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni possono aspirare essi stessi alla divinità, per il tramite di strenui sforzi e buone opere. In seconda battuta possono aspirare al gradino immediatamente inferiore alla divinità, ovvero alla presidenza degli Stati Uniti. Il motivo di questo mio richiamo alla saggezza moronica è, ovviamente, che uno dei principali candidati repubblicani alla presidenza, Mitt Romney, si professa devoto mormone e la sua religione è diventata oggetto di dibattito in campagna elettorale. Secondo il profilo del candidato apparso sul New York Times, il padre di Mitt, George Romney, nacque «in una colonia di mormoni stabilitasi in Messico per sfuggire alla repressione contro la poligamia~ In qualità di missionario mormone fu incaricato di far proseliti a Londra predicando in Hyde Park, ove sviluppò il talento di venditore che divenne segno distintivo della sua carriera». Mitt a sua volta operò come missionario in Francia. (Parla il francese, come John Kerry, anche se verosimilmente ne sentiremo poco in questa campagna). La religione di Mitt rappresenta un problema per molti cristiani evangelici appartenenti alla destra religiosa che sarebbero altrimenti parte del suo elettorato. Potrebbero invece preferirgli il battista del sud Mike Huckabee, che si limita a prendere alla lettera il libro della Genesi. Per ovviare a questo rischio, in un discorso tenuto all’ inizio di questo mese Romney ha tracciato altrove lo spartiacque, non tra mormoni e veri cristiani, bensì tra uomini di fede, da un lato, e tutto il resto dei senza dio. Solo i primi possono essere veri americani. «E’ bene render grazie al Creatore come fecero i padri fondatori, con cerimonie e con le parole». «Potete starne certi», ha detto nel tentativo di rassicurare gli elettori, «chiunque creda nella libertà di religione, chiunque si sia inginocchiato in preghiera di fronte all’ Onnipotente, ha in me un amico e un alleato~ noi non insistiamo su un unico tipo di religione, bensì vediamo con favore la sinfonia di fedi della nostra nazione». Quindi non conta quale credenza irrazionale si abbia, purché se ne abbia una. L’ unica discriminante che impedisce a un individuo di far parte a tutti gli effetti della comunità nazionale è sostenere quello che la ragione fondata sulla scienza indica con un grado di probabilità al limite della certezza, ovvero che non esiste l’ Onnipotente. Il motto di Romney è «tutti, esclusi gli atei». Questa formula gli consentirà di non perdere molti voti repubblicani, ma come ricetta per un paese libero è inaccettabile. Come minimo i politici religiosi dei paesi liberi devono trovare un linguaggio che metta sullo stesso piano nella sfera pubblica gli appartenenti a tutte le fedi e chi non ne ha nessuna. Anche in Gran Bretagna ci si imbatte in tentativi di indicare che la "fede" ha una qualche superiorità intrinseca rispetto all’ assenza di un credo religioso. Poco prima di Natale l’ ex ministro dell’ interno britannico Charles Clarke mi ha mandato per e-mail il testo di una conferenza che ha tenuto su questo tema. La sua argomentazione chiave era che «la fede è in primo luogo e anzitutto una forza per il bene». Sia sotto il profilo storico che nella realtà attuale è una tesi che non regge. Dato che per gran parte della storia gli uomini e le donne hanno avuto in gran parte un qualche credo religioso e persino nel mondo odierno i più continuano ad averlo, pressoché tutte le azioni compiute dagli esseri umani nei confronti di altri esseri umani o della natura hanno trovato giustificazione in una qualche fede: molto di buono e molto di cattivo. E’ antistorico negare che le persone hanno fatto il bene per come lo intendiamo noi liberali laici spinte da motivazioni giudicate religiose tanto quanto negare che si sono compiute azioni terribili sulla base di motivazioni giudicate religiose. La mia posizione a riguardo è empirica: Dai loro frutti li riconoscerete. Forse un giorno tutti si convinceranno delle verità scientifiche del darwinismo, benché la scienza stessa stia producendo prove che un qualche genere di istinto religioso è per così dire congenito. Bisogna continuare a combattere la battaglia di idee sulla verità, ma, nel frattempo, ciò che i nostri politici credono nel recesso religioso delle loro menti conta meno di quello che fanno. Se si presentano con le politiche giuste credendosi mormoni, cattolici (come Tony Blair, recentemente convertito) o musulmani, faremmo bene a sostenerli. Se si presentano con le politiche sbagliate, anche se sono atei, faremmo bene ad opporci. Il mio problema nei confronti di Romney mormone non nasce dal fatto che il mormonismo sia una fede (il problema dell’ ateo) né che non sia senza ambiguità una fede cristiana (problema del cristiano), è che mi sembra una raccolta stravagante di assurdità moroniche a opera dell’ uomo. E mi chiedo: anche se Romney è di natura conservatore, anche se il mormonismo è, a suo dire, «la fede dei miei padri», tra cui il padre più recente, idolatrato, come può un uomo istruito che aspira a guidare la nazione più potente e moderna del mondo credere davvero a certe cose? Strana la gente! TIMOTHY GARTON ASH