La Stampa 03/01/2008, Maurizio Viroli, 3 gennaio 2008
TEO-DEM DI IERI: QUANDO LA PIRA VOLEVA DIO NELLA COSTITUZIONE
La Stampa 3 Gennaio 2008. Il popolo italiano, avendo sperimentato attraverso la dolorosa tirannia dello Stato totalitario fascista, come la dimenticanza e il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo e delle fondamentali comunità umane, siano davvero le cause massime delle sventure pubbliche, decide di esporre - come atto preliminare della sua nuova vita democratica e repubblicana - in una Dichiarazione solenne, questi diritti sacri ed inalienabili. Consapevole dei grandi problemi di rinnovamento che si agitano nel tempo presente, esso mira, con questa Dichiarazione e con la Costituzione che l’accompagna, a creare un ordine sociale e politico che sia conforme all’alta dignità della persona ed alla fraterna solidarietà umana e che assicuri, perciò, a ciascuno un posto ed una funzione nella ordinata comunità nazionale. Esso riprende così il posto che gli spetta nel seno della civiltà cristiana - lievito ed essenza della sua storia e della sua cultura - ed in quello della comunità dei popoli amanti della libertà, del lavoro, della giustizia e della pace. Pertanto esso proclama, al cospetto di Dio e della comunità umana, la Dichiarazione seguente dei diritti dell’uomo».
Questo avrebbe dovuto essere, secondo Giorgio La Pira, costituente eletto nelle liste della Democrazia cristiana, poi sindaco di Firenze dal 1951 al 1958 e dal 1961 al 1965, il preambolo alla nostra Costituzione. Come spiegò lo stesso La Pira nella relazione che presentò alla prima sottocommissione, la nuova Costituzione doveva essere in totale opposizione allo stato fascista che aveva proclamato e praticato la teoria che fonte esclusiva del diritto è lo Stato e dunque non ha senso rivendicare diritti inalienabili della persona.
La Pira, come altri credenti, considerava il fascismo un’ideologia e un regime che offendevano profondamente la coscienza cristiana. Per dare vita a una vera Costituzione antifascista era dunque indispensabile la dichiarazione dei diritti dell’uomo. Ma per proclamare i diritti inalienabili della persona bisognava in via preliminare affermare solennemente «la radice spirituale e religiosa dell’uomo». Senza tale affermazione, l’edificio dei diritti imprescrittibili della persona umana resta senza base ed è destinato a crollare. Per questo la Costituzione doveva aprirsi con una solenne proclamazione dei diritti «davanti a Dio».
La proposta di La Pira non fu accolta e la nostra Costituzione, a differenza di altre, non ha un preambolo e non ha riferimento a Dio. Molte delle obiezioni che furono sollevate contro la proposta anticipavano quelle che abbiamo letto a proposito dell’idea di inserire una invocazione a Dio, o un riconoscimento delle radici cristiane, nella Costituzione Europea. Da questo punto di vista la posizione di La Pira era assai netta: egli voleva infatti che il preambolo affermasse che grazie alla nuova Costituzione l’Italia riprendeva il posto che le spettava nel seno della «civiltà cristiana» dalla quale il fascismo l’aveva allontanata, e che la civiltà cristiana era «lievito ed essenza della sua storia e della sua cultura».
Le obiezioni più serie vennero da Concetto Marchesi, insigne latinista e comunista, e da Palmiro Togliatti. Marchesi obiettò che la formula di La Pira era o teologica o pagana e riproponeva uno Stato che assorbe in sé «fattori religiosi», e che non era «conveniente» in un Paese in cui la religione cattolica ha un saldo predominio sulle coscienze. E poi, riteneva Marchesi, è «preferibile non nominare il nome di Dio invano». Togliatti sottolineò che il preambolo soffriva di un «eccesso di ideologia», e che aveva un carattere religioso tale da comportare il rischio di «creare una scissione nel corpo della nazione».
La Costituente tornò ancora a dibattere la questione nella seduta plenaria antimeridiana del 22 dicembre 1947, il giorno dell’approvazione del testo definitivo. Fu La Pira a proporre che la Costituzione fosse preceduta da questa brevissima formula di natura spirituale: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». Seguirono interventi, fra gli altri, di Togliatti, Marchesi, Calamandrei e Nitti per persuadere La Pira a ritirare la proposta, perché avrebbe inevitabilmente diviso l’Assemblea. La Pira accettò le esortazioni e disse che aveva difeso il preambolo per obbedire a un dovere di coscienza.
Quel lontano dibattito, in questo sessantesimo anniversario, merita di essere riletto per l’alto livello morale e culturale degli interventi e perché ci invita a meditare se sia stato saggio non accogliere il preambolo con l’invocazione a Dio, e avere invece approvato l’articolo 7 con il riconoscimento dei Patti Lateranensi: essersi piegati al potere temporale della Chiesa e aver rigettato un principio spirituale.
Maurizio Viroli