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 2008  gennaio 03 Giovedì calendario

”Io, un’innamorata delusa dalla politica”. La Stampa 3 Gennaio 2008. Torino. Senatrice, l’Ansa titola: «Franca Rame: situazione pesante, mi dimetto»

”Io, un’innamorata delusa dalla politica”. La Stampa 3 Gennaio 2008. Torino. Senatrice, l’Ansa titola: «Franca Rame: situazione pesante, mi dimetto». Conferma? «Le dimissioni sono decise. Sto scrivendo la lettera, che manderò solo al presidente Marini e non ai giornali». Perché? «Perché non voglio che sia ridotta a qualche riga con il rischio di essere male interpretata». Ma così nessuno lo saprà. «No, perché acquisterò spazi sui maggiori quotidiani e la farò uscire lì. da quando sono senatrice che impegno il denaro dell’indennità nel sociale e per informare la gente del lavoro fatto». Con il governo che al Senato rischia un giorno sì e l’altro pure, il suo telefono sarà rovente. «Sì, è stata una giornata pesante». Cosa l’ha delusa del governo? «Vogliamo fare l’elenco? In diciannove mesi non ha avuto la forza di fare una legge sul conflitto d’interessi, sul falso in bilancio, sulla lottizzazione della Rai, sull’antitrust, sull’abolizione della Cirielli. In compenso ha detto sì alla base di Vicenza e ha creato le condizioni perché al pm De Magistris si scippassero le sue inchieste. E il pm Forleo è stata fatta passare per una bizzarra un po’ esaltata». Guardi che Prodi l’ha votato anche lei... «Sì, ma il guaio è che siamo costantemente sotto ricatto: votate così, altrimenti c’è la spallata e torna Berlusconi. Ma io sono stanca di ingoiare rospi. Sulla Finanziaria il senatore Turigliatto aveva proposto degli emendamenti. Alcuni mi trovavano d’accordo e li ho firmati. Sono stata convocata, non mi chieda da chi perché non lo direi, e mi è stato detto che se li avessi votati si rischiava di andare sotto». E lei cos’ha fatto? «Una dichiarazione di voto: ”Ritiro la firma agli emendamenti Turigliatto, non voglio spallate da Berlusconi”. Le assicuro che mi è costato proprio molto. E giù fischi dall’opposizione». Insomma, non salva niente? «Ma no, Prodi qualcosa di buono l’ha fatto: la riduzione del deficit, per esempio. Ma resta il problema di fondo: che c’azzecca, per dirla con Di Pietro, l’Udeur con Rifondazione?» E la Binetti con la Rame? «Niente, appunto. Però io la Binetti la stimo, perché è coerente con il suo cervello. Anzi, dico di più: sul piano umano, abbiamo molto in comune. Un giorno mi misi a piangere in pieno Senato perché un bambino in difficoltà di cui stavo seguendo il caso era sparito. Letteralmente: non si trovava più. Bene: una domenica, la senatrice Binetti è partita da Roma, il senatore Tomassini, di Forza Italia, da Varese, tutti e due sono andati a Firenze e hanno rintracciato e visto il bimbo». A proposito di azzeccarci: in novembre lei ha lasciato l’Italia dei valori, in disaccordo sul ponte sullo Stretto. I rapporti con Di Pietro oggi come sono? «Ottimi. un uomo imprevedibile, ma simpatico. Dopo che ho lasciato il suo partito mi ha mandato un sms: complimenti per la tua onestà». Lei si dimette proprio nel momento in cui si chiede di ridiscutere la legge 194. L’aborto è una delle sue battaglie. «La legge 194 non-si-toc-ca. E non si toccherà. Poi dare le dimissioni non vuol dire andarsene. Devono prima accettarle. Io non scappo. L’importante è che la pubblica opinione sappia come la penso. Ma poi è l’atmosfera generale che non mi piace». Perché? «Tutti parlano, ma nessuno ascolta. Non c’è comunicazione, non c’è amicizia, non c’è dialogo. Lo dissi all’Unità e il senatore Furio Colombo obiettò: ma come? Io e te parliamo. Sì, ma parlare non è chiedere come stai alla mattina. confrontarsi, discutere, magari litigare. Ma parlare di politica, di cose concrete. Appassionarsi. Invece il Senato è il frigorifero dei sentimenti». Questa è forte... «Nemmeno un po’. C’è una senatore della sinistra che per almeno due mesi mi è stato seduto accanto. Sempre zitto e serio. Mai un sorriso, una parola. E che è, Tutankhamon? Una mummia. Poi una sera lo vedo in tivù da Santoro: parlava e sorrideva perfino. Il giorno dopo l’ho affrontato vincendo la timidezza: ma allora sei vivo! E quando sorridi sei anche più bello. Da quel giorno mi sorride sempre...» Un ministro che le piace? «Cesare Damiano. Ha fatto un bel disegno di legge sulla sicurezza sul lavoro. Era ora!» E un parlamentare? «Siamo talmente tanti. C’è del buono perfino nelle proposte di Dini, che è tutto dire». Ma se hanno fatto infuriare la sinistra! «Sì. Però ce n’erano anche di sensate. Sull’abolizione delle province, per esempio, siamo d’accordo in molti. Allora, perché non dirlo?» Nell’opposizione chi le piace? «Quando il senatore Malan ha lanciato il libro del regolamento contro il presidente Marini, mi ha fatto una paura tremenda. Ero sbalordita. Non lo conoscevo per niente. Ma chi è questo ragazzaccio? Poi ho scoperto che è una persona pacata, ragionevole, perfino simpatica. Certo l’opposizione spesso si mette a sbraitare, a insultare, a tirare giornali. Cosa insegneranno ai loro figli?» Degli sprechi cosa dice? «Si parla, si parla, ma si conclude poco. Abbiamo più sottosegretari che al tempo di Berlusconi. Ogni proposta di diminuirci gli stipendi naufraga. Ancora: quando vedi che mancano trenta senatori, ma risultano presenti perché hanno inserito la tessera nel dispositivo per votare, beh, sei disgustata. La diaria è di 258 euro e 35 centesimi. Moltiplichi per 30 e vedrà quanto un furbo costa al contribuente in un mese». Suo marito cosa le ha detto, quando ha deciso di lasciare? «Alla mia età mi posso permettere di decidere da sola, lo dico senza arroganza. Comunque è d’accordo, mi vede stanca e non felice». Cosa farà, dopo? «Quel che ho sempre fatto: tornerò a recitare. Voglio essere libera, senza paura di sbagliare, irriverente con il potere. Indipendente lo sono sempre stata, anche al Senato. Tornerò a esserlo anche nella vita. Liberaaa!» E domani? «Domani (oggi per chi legge, ndr) andrò a Torino, al funerale dell’ultimo operaio ucciso alla Thyssen». Con Dario Fo? «Certo. Ci è tornata in mente una nostra vecchia canzone, che diceva: ”Addio addio amore, nelle galere di Lombardia e di Torino andiamo a crepare per poter campare”...». ALBERTO MATTIOLI