La Stampa 03/01/2008, pag.18 FLAVIA AMABILE, 3 gennaio 2008
Suicidi-choc Il mal di vivere dei secondini. La Stampa 3 Gennaio 2008. ROMA. I primi due si sono ammazzati poco prima di Natale, gli altri due tra Natale e Capodanno: erano due agenti, un sovrintendente e un commissario di polizia penitenziaria, tutti abbastanza giovani ma stanchi di una vita diventata impossibile
Suicidi-choc Il mal di vivere dei secondini. La Stampa 3 Gennaio 2008. ROMA. I primi due si sono ammazzati poco prima di Natale, gli altri due tra Natale e Capodanno: erano due agenti, un sovrintendente e un commissario di polizia penitenziaria, tutti abbastanza giovani ma stanchi di una vita diventata impossibile. I primi due gesti sono passati quasi inosservati, ma gli altri hanno portato a galla il problema in tutta la sua tragica dimensione. «Quattro suicidi in dieci giorni è un’emergenza», avverte Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. «E’ un dato da leggere con estrema preoccupazione, rispetto al quale il ministro della Giustizia Clemente Mastella ed il capo dell’Amministrazione Penitenziaria Ernesto Ferrara devono assumere con urgenza provvedimenti», continua. Sui suicidi delle forze di polizia penitenziaria non esistono molti studi. I rappresentanti sindacali hanno provato da soli a tenere il conto. «All’incirca abbiamo calcolato una decina di casi in quattro-cinque anni», spiega Capece. «Siamo nell’ordine di quattro suicidi in un biennio» spiega Francesco Quinti, coordinatore nazionale della Cgil Funzione Pubblica per la polizia penitenziaria. Entrambi, insomma, si trovano d’accordo su una media di circa due suicidi l’anno. Fino a questo dicembre, quando all’improvviso le statistiche e le medie sono saltate. Che cosa è successo? Innanzitutto i dati, i pochi in grado di fotografare la vita e la desolazione degli agenti che lavorano nelle carceri. «Sono i dipendenti pubblici con il tasso più alto di pensionamento per malattie depressive. Tra il 20 e il 30% di loro viene riformato per problemi di questo tipo», avverte il segretario generale del Sappe. Guadagnano circa 1200 euro al mese netti, hanno in media almeno sei detenuti a testa di cui occuparsi, sono in buona parte originari del Sud e lavorano al Nord vivendo in caserma per risparmiare, lontano dalle famiglie e dalle loro città e senza prospettive di tornarci. «Con l’indulto si è persa una grande occasione» è l’opinione diel segretario del Sappe. «Le carceri si erano svuotate, era il momento di fare le riforme strutturali promesse. Invece, tutto è rimasto come prima ed ora le carceri si stanno di nuovo riempiendo al ritmo di 1300 nuovi detenuti al mese. E qualcuno scoppia». «E’ una situazione rispetto alla quale non esistono molte soluzioni - ammette Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale della Cgil Funzione Pubblica per il settore penitenziario - il carcere è un ambiente degradante per chi è dentro ma anche per chi ci lavora. Si possono però alleviare i disagi predisponendo una maggiore formazione professionale, un’organizzazione del lavoro che preveda più tempo libero per restare a casa con la propria famiglia, e un trattamento salariale differenziato fra chi fa un lavoro di tipo amministrativo e chi opera nelle carceri altrimenti i più deboli da un punto di vista psicologico finiscono per crollare». Per l’amministrazione penitenziaria così come per ogni altro dipendente publico esiste il blocco delle assunzioni. «E quindi sono tanti i meridionali spediti al Nord senza alcuna possibilità di ricongiungersi alle famiglie. Sono persone che hanno difficoltà ad integrarsi, trascorrono le loro serate a guardare la tv in caserma perché non possono permettersi l’affitto di una casa, e si sottopongono a turni massacranti per mettere insieme ogni mese i tre-quattro giorni necessari per riabbracciare la famiglia. In una situazione così, può capitare che qualcuno decida di farla finita», spiega Francesco Quinti. La soluzione? «Il personale va avvicendato, sono lavori difficili: non possono essere svolti per troppo tempo. Bisogna sbloccare le assunzioni e dopo un certo numero di anni prevedere il passaggio dalle carceri ad altre funzioni». FLAVIA AMABILE