Corriere della Sera 03/01/2008, pag.39 Sergio Romano, 3 gennaio 2008
L’ALITALIA E L’ALFA ROMEO ANALOGIE E DIFFERENZE
Corriere della Sera 3 gennaio 2008. Ancora una volta l’Italia si divide in due, questa volta per il caso Alitalia. Le dichiarazioni, in favore o contro si sprecano. Il Governo dice una cosa, poi la ritratta a metà, poi riprende e così via. Non volendo entrare troppo nel merito (anche se una volta per tutte, mi farebbe piacere che efficienza e mercato, siano a prevalere, dando questa azienda a chi fornisce il piano industriale più sano e veritiero), le chiedo se questa vicenda non ricordi quella della Alfa Romeo di Pomigliano D’Arco quando tra la Ford e la Fiat si scelse la soluzione italiana.
Se non ricordo male, molti politici fra cui il prof. Prodi e l’on. Craxi, intervennero nella vicenda suggerendo strade anche diverse. Qual è il suo parere?
Enzo Calabrese
Caro Calabrese,
F ra la vicenda dell’Alfa Romeo e quella di Alitalia esistono effettivamente parecchie analogie, ma anche, come vedrà, alcune differenze. Quando l’Iri di Romano Prodi e la Finmeccanica e di Fabiano Fabiani decisero di aprire trattative per la vendita dell’Alfa, agli inizi del 1986, l’industria aveva debiti per 1.600 miliardi di lire (su un fatturato di 2.200) e perdeva ogni anno 230 miliardi. La Ford si era dichiarata disposta ad entrare nell’azienda con una quota di minoranza e la Fiat, interpellata, era parsa indifferente. Secondo Valerio Castronovo, autore di una grande storia della Fiat apparsa nel 1999 presso Rizzoli, Gianni Agnelli, parlando all’assemblea degli azionisti nel giugno di quell’anno, disse: « preferibile avere un concorrente come Ford, abituato alle leggi del mercato, piuttosto che avere a che fare con un’azienda, la cui sopravvivenza è legata alla beneficenza dei fondi di dotazione».
Ma non appena i negoziati con l’azienda di Detroit divennero più concreti, i dirigenti di Torino cominciarono a preoccuparsi. Temettero che l’arrivo di una grande impresa straniera sul mercato italiano avrebbe intaccato lo status di interlocutore privilegiato del governo, di cui Fiat aveva goduto sino ad allora nelle vicende dell’economia nazionale. Prevalse, in altre parole, la cultura monopolistica che l’azienda aveva acquisito nel corso dei decenni passati. Giovanni Agnelli aveva già sventato un «pericolo Ford» verso la fine degli anni Venti e Vittorio Valletta, negli anni Sessanta, aveva mobilitato tutte le sue amicizie politiche per impedire a Volkswagen di mettere piede in Italia. L’intervento della Fiat nelle trattative per l’Alfa apparteneva alle tradizionali strategie dell’azienda torinese.
Ma la sua vittoria nella disputa con Ford fu il risultato di una battaglia condotta con le armi del mercato. Ford fece un’offerta prudente: era pronta a rilevare il 18% dell’Alfa e a prendere in considerazione l’acquisto della maggioranza delle azioni, ma non «volle mai, scrive Castronovo, rendere noto quale cifra intendesse sborsare per passare dal 18 al 51% del capitale».
Fiat invece «s’impegnava ad acquisire il 100% dell’Alfa Romeo per 1.050 miliardi di lire da pagare in cinque anni a partire dal 1992» e a sostenere i debiti dell’azienda. Iri e Finmeccanica, d’altro canto, negoziarono seriamente, senza pregiudizi, con ambedue i contendenti. probabile che la loro autonomia sia stata facilitata dalle incertezze edivisionidelmondopolitico.
L’Espresso pubblicò un’inchiesta da cui risultava che nella Dc esistevano due partiti: quello del segretario Ciriaco De Mita e del ministro delle Partecipazioni statali Clelio Darida, favorevole alla soluzione Fiat, e quello di Carlo Donat Cattin e dei parlamentari meridionali, favorevole alla soluzione Ford. Anche il Pci era diviso. Parteggiavano per Ford i milanesi e i napoletani, mentre dal-l’altra parte, ricorda Castronovo, «era schierato solo il gruppo dei "torinesi" con a capo il segretario della Federazione Piero Fassino». I piccoli partiti (liberali, repubblicani, social-democratici) erano con la Fiat, mentre Craxi, allora presidente del Consiglio, preferì, anche per evitare ricadute sui rapporti italo- americani, non prendere partito.
Come vede, caro Calabrese, tra questa vicenda e quella dell’Alitalia vi sono, insieme a molte analogie, alcune differenze. La principale è la mancanza, nel caso Alitalia, di un interlocutore nazionale capace di offrire, in misura sufficiente, denaro ed esperienza. Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa- Schioppa non ha torto quando sostiene ( Corriere
del 31 dicembre): «Ho sperato che l’Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord, ma senza trovarlo. stata una delusione».
Sergio Romano