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 2008  gennaio 03 Giovedì calendario

New York in posa per Singer. Corriere della Sera 3 gennaio 2008. NEW YORK – Andava pazzo per il budino di riso, il misticismo e le belle donne, non frequentava mai la sinagoga e si sentiva più a suo agio tra i poverissimi esuli ebrei della Lower East Side che nei salotti dell’intellighenzia internazionale dov’era gettonatissimo dopo il Nobel per la letteratura nel 1978

New York in posa per Singer. Corriere della Sera 3 gennaio 2008. NEW YORK – Andava pazzo per il budino di riso, il misticismo e le belle donne, non frequentava mai la sinagoga e si sentiva più a suo agio tra i poverissimi esuli ebrei della Lower East Side che nei salotti dell’intellighenzia internazionale dov’era gettonatissimo dopo il Nobel per la letteratura nel 1978. Isaac Bashevis Singer e la sua straordinaria odissea umana e artistica tornano in scena a New York grazie a «Isaac Bashevis Singer and the Lower East Side», la mostra allestita al Jewish Museum sino al 3 febbraio. Una cinquantina di fotografie e un film, «Isaac Singer’s Nightmare and Mrs. Pupko’s Beard», girato insieme all’amico fotografo Bruce Davidson nel 1972 e ispirato al suo racconto «The Beard », su uno scrittore yiddish sposato a una donna con la barba lunga che tiene sequestrata in casa. Durante la lavorazione del film, vincitore del primo premio all’American Film Festival del 1973, Davidson e Singer realizzarono anche un reportage fotografico intitolato «The Garden Cafeteria» che ritrae gli habitué del leggendario ristorante al numero 165 di East Broadway, dove Singer era di casa quando collaborava al «Jewish Daily Forward», nel palazzo di fronte. «La lente di Davidson immortala il mondo letterario di Singer », spiega la curatrice della mostra Jill Meredith. «Un mondo di sopravvissuti all’Olocausto, intellettuali e poveri emigranti ebrei dell’Europa orientale. Venditori di caramelle, rabbini, macellai Kasher, bottegai di Essex e Orchard Street e scrittori yiddish. Uomini e donne con l’indelebile numero tatuato sul braccio. Una cultura in esilio, ormai al crepuscolo». Il sodalizio con Davidson inizia nel 1965, quando l’allora 32enne fotografo di grido fu incaricato di fotografare Singer nel suo appartamento all’Upper West Side. «Quando ci incontrammo gli raccontai di essermi invaghito di una bella ragazza incontrata in metropolitana, ma di non avere avuto il coraggio di avvicinarla», racconta Davidson. "Come ti capisco", replicò lui, "Mi è successo un sacco di volte"». Più tardi Davidson si trasferì nel suo stesso palazzo sulla 86ª strada. Fu l’amico ad introdurlo al mondo segreto della Lower East Side, rimasto invisibile prima che Singer lo riportasse alla luce. «In quei caseggiati bui e sporchi ritrovava i personaggi dei suoi romanzi. Gente venuta dagli shtetl: anziani, malati e vecchi, tutti con delle vite segrete; vite uscite dall’Olocausto». La Cafeteria era il loro rifugio. Lì nessuno avrebbe più potuto far loro del male. «Per Singer la Cafeteria rappresentava ciò che i bar furono per Hemingway», teorizza lo studioso Ilan Stavans, autore di un’antologia in tre volumi sulla sua opera, «un luogo di ritrovo abituale e un ufficio privato». A quei tempi Singer viveva già nel grande appartamento sull’86ª strada, teatro di alcune della foto più personali della mostra. «Eppure si sentiva più a suo agio downtown, tra quella umanità traumatizzata, esiliata e derelitta». Nel film Singer mostra una certa divertita sorpresa quando scopre che la parte della donna barbuta in «The Beard» è interpretata da un uomo molto virile: l’attore Jack Wiener, travestito con tanto di corsetto, tacchi alti e calze di seta. «Non gli avevo svelato questo dettaglio per vedere la sua reazione », spiega Davidson, «ne rimase entusiasta, perché adorava la novità e le sfide». Le donne erano il suo debole. «Amava le intelligenti belle, come sua moglie Alma Haimann Wasserman», spiega il fotografo. «Un’energica signora di origine tedesca che lavorava in un grande magazzino per mantenere lui. Giovane scrittore di belle speranze che a quei tempi non riusciva a sbarcare il lunario scrivendo racconti in una lingua che nessuno conosceva. Non so se l’abbia mai tradita, ma non ne sarei sorpreso. Di certo aveva un debole per Dorothea, moglie del suo editore Roger Straus». Un giorno, quando Alma aveva invitato le amiche a casa per il suo compleanno, Singer chiamò Davidson a prendere un caffè con lui. «Mi fece accomodare nel suo studio, tra pile di manoscritti e libri in ebraico e yiddish e mi chiese se avevo mai partecipato ad un’orgia. "Di recente mia moglie ed io siamo stati invitati ad un party a San Francisco e dopo cena tutti gli ospiti sono entrati nudi nella vasca Jacuzzi", replicai io. "Hai avuto un’erezione?", indagò. "Se fossi stato tu al mio posto, con tua moglie e le sue amiche, l’avresti avuta?", ribattei. "In quella situazione neppure Dio ci sarebbe riuscito" fu la sua risposta». Che effetto gli farebbe, oggi, tornare nel vecchio quartiere? «Si sentirebbe come un pesce fuori d’acqua. Dopo essere diventata un ristorante cinese, la Garden Cafeteria non esiste più. La maggior parte di quella gente è morta e di ebraico nel quartiere ci sono solo le vecchie sinagoghe, molte abbandonate. Sapeva di essere testimone di un mondo in estinzione ma era ottimista. L’universo Yiddish è malato ma non morente, dice nel film. E tra essere malati e morire il passo è lungo». ALESSANDRA FARKAS