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 2007  dicembre 26 Mercoledì calendario

IL GOVERNO

ombra. L’espresso 26 dicembre 2007. Potenti e sconosciuti. Quasi un governo ombra che crea e distrugge carriere, appalti, enti, aziende e persino il campionato di calcio. Dal reinsediamento di Angelo Maria Petroni al vertice della Rai alla revoca della rimozione del generalissimo Roberto Speciale, il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato negli ultimi mesi hanno assunto le sembianze di un vero contropotere, demolendo decisioni clamorose di ministri o grand commis. E mentre i pubblici ministeri da decenni sono star mediatiche, i magistrati amministrativi restano figure oscure, sacerdoti un po’ grigi di un rito giuridico dagli esiti imprevedibili e dagli effetti spesso devastanti. Facile definirli una casta, ma al loro interno questi giudici sono divisi in due grandi partiti: quelli dei Tar, i Tribunali amministrativi regionali, designati per concorso, e i consiglieri di Stato, molte volte scelti direttamente da Palazzo Chigi. Al loro interno non mancano cordate e baronie, più o meno direttamente legate a influenze esterne dei partiti o dei governi, ma le figure che contano sembrano guardare la politica dall’alto in basso. La loro forza infatti è quella di essere indispensabili. Poiché il Tar e il Gran Consiglio tutto possono cancellare, ogni gabinetto e ogni organo pubblico ricorre alla loro sapienza per mettersi al riparo dai guai. Ed eccoli fare lo slalom tra doppi incarichi e frequenti distacchi nelle stanze del governo. Oppure diventare docenti di prestigio nelle università e nelle scuole di formazione. O ancora, con esiti ben più remunerativi, fare da arbitri nelle liti tra aziende ed enti pubblici. Come un albero, intorno al tronco della loro funzione si ramificano opportunità di carriera e di guadagno uniche, invidiate dal resto della pubblica amministrazione. E troppo spesso in conflitto diretto con i loro colleghi in un paradossale scambio di ruoli tra giudici e giudicati. Il cuore di questo apparato è il Tar del Lazio, che oltre a essere competente sull’attività degli enti pubblici della regione si trova a giudicare anche le decisioni di tutti gli enti statali, dalla Rai alle federazioni sportive. Vista l’importanza, si potrebbe immaginarne il presidente come una sorta di Richelieu. Ma è un’immagine che non si addice a Pasquale De Lise, 70 anni, napoletano con la passione della lirica. Tecnico con competenze di livello, viene iscritto dai colleghi a quella ristretta schiera di supergiuristi che vivono il loro lavoro come "missione civile". Proviene dal "piano alto" del Consiglio di Stato e quindi ha l’abitudine a confrontarsi con i ministri, ma nessuno lo indica come legato a qualche carro politico. Diverso è il discorso degli incarichi esterni. Prima di lui era stata decisa una sorta di moratoria: vista la delicatezza delle cause affidate al Tar del Lazio, si suggeriva di evitare anche il sospetto di conflitti d’interessi. Con De Lise invece è stata segnalata l’ascesa di due sui fedelissimi, Roberto Proietti e Salvatore Mezzacapo, nel consiglio di presidenza che sovraintende la giustizia amministrativa. Così De Lise che in due anni si è visto assegnare l’incarico di componente della commissione per la riforma delle authority; la presidenza della commissione di garanzia della giustizia sportiva; l’incarico nel comitato etico dell’Autorità delle telecomunicazioni (17.500 euro l’anno), oltre a un arbitrato e varie docenze, tra cui quella all’Università di Salerno per 12.750 euro. E Proietti e Mezzacapo? Dall’alto della loro carica non si stanno risparmiando: il primo ha infatti avuto l’arbitrato Ispec-Usl di Lecce; l’incarico di esperto al ministero delle Infrastrutture e quello di sostituto procuratore federale alla Federazione gioco calcio. Quanto a Mezzacapo, oltre a una docenza a Salerno, si è fatto assegnare la presidenza del collegio arbitrale Mazzitelli-Regione Calabria (in discussione ci sono 5 milioni) e la presenza nell’Osservatorio sulla riforma delle amministrazioni locali istituito dalla provincia di Caserta, poltroncina da 36 mila euro annui. Piccole cose rispetto al peso dei giudizi del Tar laziale sulla vita degli italiani, che nell’agosto 2005 riformulò persino il campionato di serie A. Ma la gestione interna delle 12 tra sezioni e sottosezioni invece sembra ispirata solo a criteri organizzativi. I tre presidenti delle sezioni (oltre De Lise, La Medica e Baccarini) assegnano i fascicoli guardando solo i carichi di lavoro: questo è l’unico atto "gerarchico". L’indipendenza sostanziale segue modelli di tipo accademico, dove autorevolezza e autorità coincidono. Determinando anche l’influenza sui giudici più giovani e quindi "le cordate" che animano la vita interna. Ma il culto dell’autonomia spesso ha il sopravvento su qualunque interesse esterno e fa leva sul rigore formale. il copione che si è ripetuto bocciando le motivazioni del Csm che escludevano Vincenzo Carbone dalla carica di primo presidente della Cassazione, il giudice penale più importante. E non è un caso se nei commenti sul generale Speciale anche molti esponenti del centrosinistra hanno comunque posto in rilievo gli errori dei tecnici delle Finanze, riconoscendo così la professionalità del Tar. Se si vuole decifrare articolazioni e snodi di potere bisogna salire al livello supremo, nel capolavoro barocco che ospita il Consiglio di Stato. Anche lì a Palazzo Spada, la corporazione appare monolitica, ma un osservatore smaliziato non faticherà a cogliere le venature che segnano i movimenti di vari gruppi, che si diramano nelle istituzioni fino a costituire delle vere e proprie lobby. La più potente? Senza dubbio quella cresciuta all’ombra di Palazzo Chigi negli ultimi 15 anni e che tra gli sponsor conta Giuliano Amato, Gianni Letta, l’ex ministro e senatore dell’Ulivo Antonio Maccanico. Uno schieramento molto pragmatico, che si è plasticamente adattato all’alternanza dei governi dal ’94 a oggi ponendosi come un referente laico per centrodestra e centrosinistra. Gli alfieri di questa cordata? Anzitutto Antonio Catricalà, dal 2005 presidente dell’Authority della concorrenza, ma prima indifferentemente capo di gabinetto del ministro Maccanico in un governo di centrosinistra e poi segretario generale della presidenza del Consiglio con Berlusconi. E come trascurare Vincenzo Fortunato? Antonio Di Pietro se lo è portato come capo di gabinetto alle Infrastrutture, prima però è stato potentissimo collaboratore del forzista Giulio Tremonti all’Economia. Gli altri esponenti del pendolarismo amministrativo: Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le telecomunicazioni, il presidente di sezione Claudio Varrone e i consiglieri Marco Lipari, Claudio Zucchelli, Paolo Troiano (fresco capo di gabinetto dell’Authority concorrenza) e Alessandro Botto (già capo di gabinetto con Frattini). Il peso dell’accademia invece si fa determinante per definire l’influenza di Sabino Cassese, principe degli amministrativisti italiani oggi alla Consulta. In questo caso studi e pubblicazioni contano più degli incarichi esterni. Con un riferimento forte nel salotto di politici e giuristi che ruotano intorno ad Astrid, l’Associazione per gli studi e le ricerche sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche fondata dall’ex ministro ds Franco Bassanini. Ne fanno parte tra gli altri l’ex presidente del Consiglio di Stato Egidio Schinaia, il consigliere Giuseppe Barbagallo, ma soprattutto due potentissimi come Filippo Patroni Griffi e Alessandro Pajno: il primo è capo del dipartimento per gli Affari giuridici di palazzo Chigi; il secondo sottosegretario agli Interni. E il centrodestra? Un nome su tutti, Franco Frattini, quasi un modello di carriera costruita rimbalzando dalla giustizia amministrativa al governo. Diventa consigliere di Stato a 29 anni, nel 1986, e subito fa il consulente giuridico del ministro del Tesoro, poi del vicepremier, quindi del presidente del Consiglio poi di gradino in gradino nel ’94 arriva come segretario generale di Palazzo Chigi e l’anno dopo ministro. Nel ’96 presiede il Comitato di controllo sui servizi segreti, con la vittoria di Berlusconi torna ministro nel 2001 e prende infine il volo per la Commissione europea. Niente male per un cinquantenne, che in tutti questi balzi ha sempre mantenuto referenti devoti a Palazzo Spada.
PRIMO DI NICOLA