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 2007  dicembre 26 Mercoledì calendario

QUARTO POTERE ADDIO

L’espresso 26 dicembre 2007. C’è una grande mistificazione in Italia sul ruolo dell’informazione. La Corte costituzionale è stata chiara: il suo compito è informare e formare l’opinione pubblica. Ma per attuare questo scopo l’informazione deve avere maggiore libertà. L’informazione è cane da guardia del potere, quella che ha il dovere di controllo? Allora non si può punire chi pubblica atti di indagine. Perché il ruolo di chi fa informazione in un paese democratico è quello di violatore istituzionale del segreto». Oreste Flamminii Minuto ha vissuto in prima persona la lotta per la libertà di stampa nel nostro paese. Allievo di Piero Calamandrei, dagli anni Sessanta è stato protagonista di cause celebri. Adesso continua a difendere "l’Unità" e "L’espresso". E assiste con sgomento al moltiplicarsi delle iniziative della magistratura contro i giornalisti: dalle perquisizioni in piena notte, come accaduto a Giuseppe D’Avanzo di "Repubblica" e Giovanni Bianconi del "Corriere della Sera", alle accuse di ricettazione formulate dalla procura di Firenze per un articolo de "L’espresso". Fino alla vicenda più inquietante: il sequestro del libro "Ho visto l’uomo nero" di Claudio Cerasa, giornalista del "Foglio", fortemente critico verso le indagini sui presunti pedofili di Rignano. «Bisognerebbe leggere le motivazioni di quella sentenza, ma ci sono già alcuni punti su cui intervenire. Anzitutto, la giurisprudenza del tribunale civile di Roma è per lo più non favorevole alla libertà e tende ad applicare sentenze restrittive. Quanto alla motivazione che pare sia stata adottata, ossia il pericolo che si potessero identificare i minori, diventa un po’ pretestuosa poiché i genitori sono apparsi in trasmissioni televisive con il loro cognome. Ma la questione più importante è che la situazione giuridica complessiva del nostro paese permette che ci siano sequestri di testi anche quando ciò è palesemente in contrasto con la Costituzione e quindi illegittimo. un vulnus alla libertà di opinione». Sembra che nell’ultimo periodo le iniziative giudiziarie contro i giornalisti si siano moltiplicate... «Il problema è antico. Il legislatore dal 1945 in poi si è dimostrato schizofrenico. Da una parte la Costituzione sanciva la libertà della stampa, dall’altro la legge varata nel 1948 introduceva il carcere per la diffamazione con una pena doppia rispetto a quella prevista all’epoca per la rapina. In pratica, la libertà di stampa era un valore nominale, ignorato dagli stessi legislatori che l’avevano introdotto». Però non si era mai visto il ricorso a blitz notturni e accuse penali pesantissime... «L’accanimento è ciclico, con sempre nuove figure di reato contestate dai pm, spesso assurde: dal peculato alla ricettazione fino al favoreggiamento. Nel nostro paese abbiamo una magistratura con crisi di identità sul proprio ruolo. Nessuno le chiede di non applicare la legge, ma si pretende che l’applicazione non sia reazionaria, ossia non vada a contestare ipotesi di reato con un’interpretazione forzata e restrittiva nei confronti della libertà di stampa. Un paese che non ha il senso della libertà di informazione è un paese in cui la democrazia è sospesa». Nelle indagini per violazione del segreto però vengono presi di mira solo i giornalisti... «Il segreto deve essere tutelato da chi è preposto a farlo. Dal momento in cui un giornalista viene in possesso di una notizia, senza commettere ricatti o corruzioni, allora deve pubblicarla e non può essere giudicato colpevole della violazione del segreto. Altrimenti viene meno la funzione dell’informazione». Esiste una strada per porre fine a questo conflitto tra informazione e magistratura? «Il modo di uscirne è soprattutto quello di accettare un nuovo ruolo dell’informazione da parte del legislatore. In questo momento potrebbe esserci un’occasione unica: ci sono due grandi partiti che stanno nascendo - quello Democratico e quello chiamato Popolo delle Libertà - e accanto alle riforme istituzionali potrebbero anche mettere in agenda una riforma dell’informazione. Ma non penso che lo faranno». Perché? Non è un tema fondamentale per la democrazia? «Sì, ma il giornalismo italiano non è forza autonoma capace di imporre sua visione moderna dell’informazione come controllore degli atti del potere. divisa, subordinata agli editori. Ecco perché il potere legislativo può ignorare il problema».
GIANLUCA DI FEO